sabato 31 ottobre 2009

Ho visto cose... - Torta doppia alla ricotta


Torta doppia alla ricotta, inserito originariamente da la tartina.

... che voi umani non potreste immaginarvi.
Ho visto tre povere ragazze (Claudia-Giulia-Claudia tanto per cambiare) frequentanti il primo - e dico primo anno di Medicina e Chirurgia, essere spedite in un tirocinio di tre settimane in ospedale - reparto CHIRURGIA GENERALE, senza la minima competenza e/o esperienza nel settore (se trascuriamo l'applicazione di una cremina antibrufoli o lo scartare un cerotto o l'apertura di una busta di aspirina). Ho visto il loro supervisore portare la divisa aperta con tanto di villoso petto prorompente e con collanina rossa a doppio giro annessa. Ho visto infermiere crudeli che chiudevano loro la porta in faccia, ma anche alcune che, sorridendo gentili, facevano vedere loro che cosa stessero facendo al paziente. Ho visto tartina la maggior parte delle volte fissare il corridoio con sguardo vacuo, chiedendosi quando mai avessero termine quelle tre strazianti ore, troppo lunghe se non si ha da fare niente. Ho visto una paziente di professione poliziotta avere il terrore di una semplice operazione ad un'ernia, tanto da risultare pesante ed insopportabile, con una paura verso la morte che mai ci aspetteremmo da una che pratica tale mestiere (e che cosa potrebbe succedere le capitasse qualcosa di più grave?). Ho visto chirurghi primari di fama nazionale scherzare tra loro come bambini alle elementari. Ho visto un malsano rapporto medico/infermieri, quando invece ci dovrebbe essere solo collaborazione. Ho visto un'anziana signora vicentina dispensare alle tirocinanti buoni consigli, con parole affettuose come se rivolte alle proprie nipoti. Ho visto un ospedale italiano mancare di alcuni strumenti, come le pinze e addirittura la carta, necessari e indispensabili e ho effettivamente capito quanto lo Stato poco si preoccupi della sanità pubblica. Ho visto dei semolini poco invitanti spatasciati in delle ciotoline di plastica altrettanto poco invitanti e del purè pallido essere servito con tacchino anemico. Il giorno dopo l'ho rivisto. E anche quello ancora. Ho visto una ferita di almeno 10 cm di diametro a livello dell'intestino essere riempita con garza intrisa di Betadine, e manco poco svengo. Ho visto organizzare per i già pieni di impegni tirocinanti degli incontri di breefing con tanto di psicologa (a mo' di alcolisti anonimi, attorno ad un tavolo, "Dicci il tuo nome e perché hai scelto di fare questa università") per parlare delle nostre esperienze in reparto - la psicologa era guercia. Ho visto alcuni compagni di corso raccontare di essersi infiltrati in sala operatoria, e le tre povere tirocinanti di cui vi parlavo all'inizio del post provare una certa invidia, perché loro il massimo che hanno visto è stato il cambio di un drenaggio e l'applicazione di una sonda anale. Ho visto il tirocinio finire proprio ieri e le tre tirocinanti, esauste, tirare un respiro di sollievo, con la promessa "non perdiamoci di vista", ma che tanto poi sanno bene che sono tipi così diversi che rimarranno delle semplici compagne di corso che da ora in poi parleranno solo di esami e appunti quando si incontrano.
In conclusione? Date retta a me, l'ospedale italiano non ha niente a che vedere con Grey's Anatomy o Dr. House o ancora E.R., piuttosto a Scrubs, quello sì.

Prima di passare alla ricetta del giorno, voglio ringraziare Giulia dans le noir del blog che ho appena scoperto Filosoficamente Sostenibile. Sono stata infatti insignita da lei con un premio davvero speciale, e nominata addirittura nell'empireo delle sue Muse! Manca poco mi commuovo.

Le dolcissime parole sopra riportate vogliono significare: "Esseri invisibili, ma che danno amore, danno compagnia, ci prestano attenzione, parlano da dentro il proprio cuore. Sono grato per il sostegno, perché ci sei alla mia finestra e fai del mio un giorno di più."

Detto ciò, oggi vi propongo una ricetta tratta da Sale&Pepe di questo mese. In questi tempi di plagio e nessun rispetto verso i foodbloggers (sconcertanti i casi di plagio ai danni di Lydia e Adriano, soprattutto da parte di gente che per prima dovrebbe incentivare e premiare le ricette dei foodbloggers!), ci tengo a ricordare che la stessa ricetta è stata postata pochi giorni fa anche da sweetcook di Deliziando. Io l'ho provata sabato scorso, e ne sono rimasta letteralmente estasiata: delizioso il risultato ottenuto dall'incontro della frolla montata con la crema di ricotta e cioccolato. Unica modifica? La mia torta non è proprio doppia, in quanto ho fatto la ricetta con mezza dose, ma in uno stampo da 26 cm.


Torta doppia alla ricotta

Ingredienti

per la pasta frolla lievitata:

500 g di farina
150 g di burro
2 uova
250 g di zucchero1 bustina di lievito vanigliato
qualche cucchiaio di latte
sale

per il ripieno:

500 gr di ricotta cremosa
80 gr di cioccolato fondente
1 uovo
2 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di liquore all'amaretto
zucchero a velo

Procedimento:

Preparare la pasta: montare le uova e lo zucchero finché sono gonfie, incorporare il burro e un terzo della farina setacciata con il lievito. Con la farina rimasta fare una fontana e unire il composto di uova e burro. Impastare velocemente, aggiungendo, se serve, il latte; formare una palla, avvolgerla in un foglio di pellicola trasparente e farla riposare nel frigo per un'ora.
Per il ripieno, montare la ricotta ben fredda, aggiungendo a poco a poco lo zucchero, l'uovo e il liquore e, alla fine, il cioccolato tritato.
Foderare con carta da fogno bagnata e strizzata uno stampo a cerniera di circa 28 cm di diametro. Dividere la pasta frolla in 2 parti, una un po' più grande dell'altra, e con il matterello stenderla in 2 dischi. Con il disco più grande foderare lo stampo e riempirlo con il composto di ricotta, lasciando tutt'intorno un cm libero. Coprire con il secondo disco, sigillare i bordi e infornare a 180° per circa 40 minuti. Cospargere di zucchero a velo e servire.

mercoledì 28 ottobre 2009

Sincerità (un elemento imprescindibile)


Finalmente, come da promesso, svolgo i miei compiti da blogger, ovvero rispondo ad un meme. Questi test/domande/giochetti, di per sé del tutto innocenti, nascondono la tendenza a farci riflettere su aspetti di noi che magari non terremmo in considerazione. Questo meme mi è stato passato da Alice e Martino del blog alice nella cucina delle meraviglie: trattasi diffondere 10 cose di me per far conoscere meglio tartina. L'impresa si è rivelata più ardua del previsto, ma ecco a voi:

1. ho saltato la prima elementare, infatti, pur essendo nata nel 1990, sono al secondo (ahimé primo, maledetto test di ingresso!) anno di università. Sono stata istruita da mia madre e dalla mia migliore amica d'infanzia classe 1989 che mi portava gli esercizi che svolgeva in classe, ho fatto un piccolo esame (banale! dichiarai con acerba superiorità) e mi hanno promossa direttamente in seconda elementare. Quindi quando i miei amici dell'ultimo anno di scuola materna guardavano L'incantevole Creamy mangiando fette di pane e Nutella per merenda, io sfacchinavo su somme e moltiplicazioni.

2. sono una drogata di telefilm americani, con accentuata dipendenza verso quelli patinati e superficiali (Gossip Girl, Desperate Housewives, Sex & The City, Dirty sexy money, Lipstick Jungle), ma vado pazza anche per quelli ospedalieri (E.R. fin dalla tenera età, Greys' anatomy, Dr. House, Nip/Tuck) e quelli creati da sceneggiatori sicuramente nel bel mezzo di un trip allucinogeno (Lost, Pushing Daises). Scarico febbrilmente le puntate appena uscite in America con tanto di sottotitoli e provo avversione verso i telefilm italiani.

3. mentre da piccola ero estroversa ed intraprendente, circondata da un gruppo vastissimo di amici e senza remore né timidezze alcune mi rivolgevo con nonchalance all'altro sesso, adesso sono piuttosto timida e sto sulle mie e mi apro solamente con chi mi sento a mio agio. Conosco molta gente, ma ho solo una stretta cerchia di amicizie di cui posso fidarmi ciecamente. Comunque sia, quando mi apro sono socievole ed esuberante, l'unico problema è il tentativo di approccio. Work in progress alias ci sto lavorando su.

4. sono affascinata ed attratta dalla cultura inglese e francese del Settecento e dell'Ottocento. Prediligo infatti i romanzi-mattone che si soffermano persino sulla descrizione delle nervature di una foglia in autunno. La Austen, non me ne vogliate, rimane una delle mie scrittrici preferite e ogni tanto sogno anch'io di ritrovarmi con un'acconciatura pomposa in testa e di salire sulla prima carrozza diretta verso il Bedfordshire.

5. sono figlia unica e - sì, dai, non sfatiamo questo mito, sono anche viziata, coccolata e riverita. I miei genitori farebbero per me qualsiasi cosa, delle volte non me ne rendo conto neanche io quanto dovrei essere loro grata.

6. ho iniziato a mangiare la frutta solo all'età di 17 anni. Prima optavo per una mela ogni tanto, adesso ne sono praticamente dipendente. La mia giornata inizia con un frutto (il kiwi) al quale ne seguono circa altri 6. Non mi stanco mai della frutta, anche con una pancia strapiena, la mia capacità gastrica riuscirebbe a sopportare benissimo uno spicchio d'ananas, ecco.

7. detesto i miei polpacci. Sono a mio parere sproporzionati col resto del corpo, e imputo questo difetto ai 7 anni di nuoto praticato fin da quando avevo 3 anni. Sebbene si veda che sono muscolosi e dovuti ad anni e anni di sport (pallavolo per 8 anni e un anno di fit-boxe), restano comunque in disarmonia col resto della gamba.

8. le grandi cerimonie, i pranzoni e i cenoni coi parenti mi buttano inizialmente nello sconforto più totale. Alla notizia che mi toccherà presenziare ad un evento simile sbraito, mi arrabbio, urlo "io non ci vengo!". Poi mi abituo all'idea, mi arrendo e magari passo anche una piacevole giornata.

9. sono una perenne indecisa. Potrei stare ore a scegliere il gusto di un gelato, drammatica è anche la scelta di cosa portare a Firenze quando faccio la valigia o il colore di un quaderno. L'impulsività non rientra nelle mie caratteristiche, diciamo.

10. da piccola animavo con la fantasia qualsiasi cosa. Non solo parlavo coi pupazzi, ma avevo affibbiato un nome anche alle penne che avevo dentro l'astuccio. Tutto ciò è estremamente imbarazzante e denota un certo disequilibrio mentale, ne sono consapevole.

Purtroppo non ho il tempo di girare il meme ad altri 10 foodbloggers, ma sarebbe comunque troppo tardi, visto che il gioco circola in rete già da due settimane e ho notato che più o meno lo hanno fatto tutti. Mi avvalgo del diritto di girarlo a chi lo voglia fare, quindi!

Enjoy yourselves!

sabato 24 ottobre 2009

Lessico famigliare - Natalia Ginzburg insegna


Marmellata piccante di cipolle, inserito originariamente da la tartina.

Esistono detti a mio parere un po' controversi, il cui senso può essere facilmente alterato oppure male interpretato. "Ma parla come mangi!" è, a mio parere, uno di questi. Il proverbio, infatti, cercherebbe di consigliare all'interessato un uso del linguaggio più appropriato e più consono alla situazione in cui si trova: per esempio, se ci stessimo rivolgendo ad un bambino, non dovremmo usare paroloni come eccipiente o spiritualità (per non parlare di edulcorante), anche perché il povero innocente non ne coglierebbe il significato. Tuttavia, l'antico detto potrebbe essere decifrato erroneamente: chi mentre mangia è abituato a ruminare a bocca aperta come una mucca, potrebbe avvalersi del diritto di parlare in modo sboccato e rozzo; chi invece si attiene alle regole del galateo anche quando fa colazione da solo in cucina, si sentirebbe in dovere di parlare solamente attraverso un linguaggio aulico e ricercato. Per evitare problemi, dovremmo solo parlare con semplicità e spontaneità, sentendoci a nostro agio con i termini e le desinenze che tiriamo in ballo. L'unico ambito in cui possiamo permetterci di sgarrare, è in assoluto quello familiare. Anzi, in famiglia c'è secondo me la licenza, anzi l'obbligo di utilizzare parole che fuori non sarebbero neanche comprese, neologismi a cui siamo affezionati venuti fuori dalle abitudini che abbiamo acquisito a casa. Ciò non significa che nell'ambiente domestico ci sia il dovere di utilizzare parolacce, imprecazioni o volgarità simili (anche se, confesso, ogni tanto quando ci vuole ci vuole! il tutto meglio dentro le nostre amabili mura che a cielo aperto); io mi sto riferendo a quei termini anche inventati che però, nell'ambiente familiare, hanno il loro porco significato (scusate il francesismo). C'è chi in casa il proprio padre lo chiama "babbo", chi "papà", chi "pé", chi "padre", io Cioppo. Io per mia mamma sono Bubisa (per favore, non chiedetemi l'assurdo motivo della scelta del soprannome, perché non lo so neppure io). Da quando sono piccola mio padre ha l'abitudine, ogni giorno, di dedicare un'ora a ginnastica e pesi (prima li teneva sotto il letto, è un culturista mancato a mio parere): ecco, è da quando ero piccola che tale consuetudine va sotto il nome di opi-opi. Ancora oggi, quando mio padre di pomeriggio sparisce, è perché è a fare opi opi, appunto. Le pantofole sono le pappusse. Per una mia infantile storpiatura - che si è protratta fino alla seconda elementare, ma lasciamo perdere, il cinema è il cimena. Senza continuare ad aumentare il mio imbarazzo per queste confessioni, vi invito a non dimenticare le vostre personali perle lessicali, ben più intrise di valore di un "retorico-semantico" o di una "psicostasia" o ancora di un "sincretismo".

Rimanendo in tema domestico, vi segnalo oggi una ricetta nata dalla mente creativa di mia madre: una marmellata agrodolce ottima se accompagnata da formaggi e crostini di pane.


Marmellata piccante di cipolle

Ingredienti:

1 kg cipolle rosse (in estate quelle di Tropea, se si gradisce un sapore più delicato)
500 g zucchero
da mezzo a un intero peperoncino lungo piccante (dipende se si preferisce un gusto più deciso o più delicato)

Procedimento:

Pulire le cipolle e tagliarle a lamelle sottili (si piange tanto!), quindi aggiungere lo zucchero, il peperoncino e un bicchiere d’acqua in una padella a bordi alti (saltapasta) e antiaderente.
Porre sul fuoco e far bollire lentamente per circa un’ora e 30 minuti. Se vi accorgete che si sta asciugando potete anche ridurre i tempi di cottura o prolungarli in caso contrario. Se vi piace il gusto del miele mettete un etto in meno di zucchero e aggiungete a metà cottura un etto di miele. Servire con pecorini stagionati.

sabato 17 ottobre 2009

I can get satisfaction 'cause i try and i try and i try


Torta di ricotta, mele, uvetta , inserito originariamente da la tartina.

Il passaggio da avere troppo tempo a disposizione da non sapere neanche come usufruirne al non averne neanche per respirare, è stato rapido come lo strappo di un cerotto. Quindi anche un po' doloroso - colpa di quei peletti che si attaccano alla colla che poi va rimossa con il solvente per lo smalto nelle unghie. Sono passata in quello che mi è parso un istante, dal ciondolare senza meta o obiettivo per casa al frullare, girovagare, piroettare senza sosta a Firenze tra casa-università-ospedale. Ma non parlerò del tirocinio con tanto di camice per gli studenti del primo anno e del reparto che mi è toccato, in cui le infermiere mi sbattono le porte in faccia, no. E neppure del gelido inverno che sembra essere arrivato all'improvviso, lasciandomi per una settimana con una copertina leggera per la notte e solo un inconsistente blazer per il giorno. Pensate quindi che vi parli delle pesanti lezioni, della professoressa di biologia che ha la fama di bocciare ogni studente, degli esamini che avrò già tra due settimane? Non voglio tediarvi, quindi non lo farò. Vi parlerò del fatto che sto bene, che sono felice. Che con la nuova coinquilina stare in casa è un divertimento, che non c'è bisogno di suonare il campanello con l'angoscia di entrare e trovare il bagno tutto in disordine e la caffettiera usata nel lavello e qualcuno che ti soffoca con la storia della sua vita e biascica come una mucca mentre mangia. Che ho un nuovo gruppo di amici all'università con cui mi trovo davvero bene. Che serate e concerti sono ormai all'ordine della settimana. Che non mi fermo un attimo, è vero, ma che finalmente posso dirmi soddisfatta. Non so se ciò è dovuto al fatto che, essendo comunque al secondo anno di università, ho imparato a capire come devono andare le cose, o semplicemente al fatto che, seppur impegnativo, faccio quello che da sempre ho desiderato fare. Aspirazioni e desideri sono come una scatola cinese, non finiscono mai. L'essere umano, così scontento e inappagabile per sua stessa natura, trova sempre qualche mèta da raggiungere e, una volta arrivato al traguardo, se ne prefissa un'altra, e via dicendo. Diciamo che per il momento io ho rallentato la mia corsa, sono ancora al momento dell'arrivo al traguardo e me lo voglio godere.
Purtroppo la mancanza di tempo mi permette di aggiornare il blog sporadicamente, ciononostante è sempre un piacere rendervi partecipi delle mie creazioni culinarie in pixel.

La ricetta di una torta coccolosa che sa d'autunno, anche se le mezze stagioni di una volta - ahimè, purtroppo è vero - non ci sono più.


Torta d'autunno

Ingredienti

250 g ricotta fresca
250 g farina
160 g zucchero
2 uova
mezza bustina di lievito per dolci
una bustina di vanillina
2 mele
una manciata di pinoli tostati (o mandorle, o noci, o nocciole tritate)
3 pugni di uvetta

Procedimento

Lavare l'uvetta, facendola poi rinvenire in acqua tiepida per almeno mezz'ora. Tritare la frutta secca prescelta e metterla da parte (i pinoli io li ho lasciati interi). Lavare, sbucciare e tagliare a dadini le mele. Mescolare la ricotta con lo zucchero e la vanillina, fino ad ottenere
una crema liscia ed omogenea; aggiungere poi uno alla volta i tuorli. Setacciare quindi la farina col lievito e aggiungerla al composto. A questo punto unire la frutta secca precedentemente preparata. Montare a neve gli albumi e unirli delicatamente all'impasto, che andrà poi versato in uno stampo del diametro di 24-26 cm ricoperto da carta da forno. Infornare a 180° per 35 minuti circa (vale la prova-stecchino).