sabato 30 maggio 2009

Apologia della lingua italiana



No, ancora nessuno mi ha chiesto di entrare a far parte dell'Accademia della Crusca. Tengo innanzitutto a precisare che la crusca di cui sto parlando non è il "residuo della fabbricazione della farina di graminacee frumento, orzo, segale, avena e altri cereali per il consumo umano" (grazie Wiki), ma piuttosto è "un'istituzione che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia italiana e, fra quelle esistenti, è la più antica accademia italiana" (ri-grazie Wiki). Detto questo, posso tornare a parlarvi del problema principale: negli ultimi tempi si parla spesso di decadenza della lingua italiana. Gli accademici cruscaioli, in particolare, col loro vocabolario risalente al 1612, si fanno portatori - anzi, parlatori della vera lingua italiana, impegnandosi a riportare in auge quella che era la nostra lingua. Prima di tutto, però, cerchiamo di capire qual era effettivamente la nostra lingua perché, a mio parere, non c'è mai stata. Ormai da secoli, l'italiano, la lingua italiana, è solo una miriade di dialetti: mai c'è stata una lingua unificatrice, e neppure il Manzoni e l'Alighieri sembrano poi così tanto convinti della scelta adottata (anche se il fiorentino sembrava essere molto apprezzato). Molte volte, nella vita di tutti i giorni, capita di parlare con qualcuno che proviene da un'altra regione, o semplicemente dalla provincia vicina, confrontando termini e parole tipiche della parlata di appartenenza (volete sapere quanto è fine l'aretino? Giammai!) Ciò evidenzia il fatto che non esiste l'Italiano Puro, con la lettera i e p maiuscole. A parte forse Umberto Eco, nessuno di noi parla veramente l'italiano. Se si considerasse l'italiano in base al lessico che le persone condividono ed utilizzano, paradossalmente non si potrebbe parlare neanche di italiano, perché i termini sarebbero davvero un numero esiguo, ridotto ed imbarazzante (mangiare, dormire, pizza). Cosa vogliono difendere quindi gli accademici? Ancora la cosa non è ben chiara. Soprattutto è ancora torbida la questione: da cosa si vuol difendere l'italiano? La risposta apparirà subito, veloce e lampante: dalla CONTAMINAZIONE. Ora, a meno che non si stia parlando di febbre suina, aviaria o anfibia, non capisco la ragion d'essere di questa questione. I Paladini della Lingua affermano infatti che sempre più, nella lingua italiana, si stanno introducendo termini inglesi, o stranieri in generale, e ancora termini derivanti dal web. Sveglia, ragazzi! Il fatto è inevitabile, e rispecchia lo scorrere del tempo, l'avanzare della tecnologia, il futuro che verrà. L'inglese è, non a caso, la lingua più parlata al mondo, quella che soppianterà tutte le altre, quella che tutti dovrebbero sapere perfettamente per eliminare le barriere linguistiche che ci dividono da giapponesi e tibetani. Purtroppo, vuoi per incompetenza degli insegnanti, vuoi per scarso interesse da parte nostra, vuoi per una miriade di cose, l'inglese si trova costretto a penetrare solo parzialmente nel nostro modo di parlare, insinuandosi con docili vocaboli come "corner", "match point" o "scones". Non vedo cosa ci sia di male. Sarebbe peggio tradurre "shortbread" con "biscottino scozzese burroso ad alto tasso calorico, ma alquanto gradevole al palato; causa dipendenza", no? Questo è solamente il segno dei tempi: che ci piaccia o no, ci stiamo avviando verso un grande Villaggio Globale. Il mondo sta diventando come una grande città, in cui le nazioni quasi non hanno più ragion d'essere, tante sono le etnie che ne fanno parte. Tanto per restare in tema, il meltin' pot è alla sua massima espansione. I Paladini della Lingua vanno così incontro ad un processo che non si può scansare. Lo stesso vale per i termini derivanti dal computer: io sono favorevole al verbo "chattare" per più motivi. Per prima cosa è inesprimibile in italiano, infatti diventerebbe alquanto difficoltoso dire ogni volta "parlare virtualmente su una finestra che si apre sul monitor"; poi perché è il segno di quanto il computer sia divenuto fondamentale per la nostra stessa vita (non sono esagerata, provate a stare per più di due mesi senza computer, poi ne riparliamo), quindi, come detto in precedenza, rispecchia l'evoluzione della vita e del mondo. Arrendetevi, non si può difendere una lingua, ma soprattutto non ha senso farlo, comunque sia non adducendo motivazioni politiche-moralistiche-culturali-religiose-culinarie che non possono fare di un Paese una realtà che è tutto meno che unita.
Vi dirò, io in realtà sono favorevole ad un parziale ripristino della lingua italiana. Con questa affermazione non vorrei gettarvi nello sconforto, dopo tutte le convinzioni esternate. E non voglio neppure creare un paradosso o qualche altro giochetto linguistico. Io sono favorevole al ritorno dell'italiano corretto, ecco. Quanti errori di ortografia si possono leggere anche da persone che dovrebbero essere le ultime a commetterli (vedi insegnanti di italiano)! Quanta esasperazione di alcune espressioni dialettali già di per sé poco edificanti! Il mio desiderio, non lo nascondo, sarebbe quello semmai di uso più consono dell'italiano, cercando solo di fare uno sforzo e di mettere l'apostrofo davanti all'articolo indeterminativo "un" se seguito da una parola di genere femminile, l'acca davanti all'"a" se si tratta del verbo "possedere", ridurre l'uso di ibridi come "xké", "k 6?" e "cmq" (anche sul cellulare non mi piacciono proprio). Poche accortezze che ci aiuterebbero a comprenderci meglio l'un l'altro, e a fare dell'italiano, probabilmente, una Lingua Vera. Lunga vita all'italiano correggiuto!

Tratta da "Sale&Pepe" di questo mese, una ricetta fresca, ideale piatto unico per l'estate che verrà, e che già si è fatta sentire.


Riso con verdure e gamberi

Ingredienti per 3 persone come piatto unico

300 g riso per insalate (meglio "Flora")
1 piccola melanzana
2 zucchine
1 peperone rosso
150 g pisellini (in alternativa, piselli surgelati)
200 g code di gamberi (in alternativa, gamberi surgelati)
1 limone
olio extravergine di oliva
sale
prezzemolo

Procedimento

Portare ad ebollizione una pentola d'acqua, alla quale aggiungere sale e qualche scorzetta di limone. Unire il riso, mescolare, e cuocere scoperto per 14-15 minuti circa (i chicchi dovranno risultare al dente). Scolare il riso, passarlo velocemente sotto l'acqua fredda e porlo in un'insalatiera, mescolando con 3 cucchiai di olio.
Tagliare a fette dello spessore di 3-4 mm la melanzana e la zucchina, e a larghe falde il peperone. Scaldare bene una griglia o una piastra, spennellare leggermente le verdure di olio e far cuocere per un paio di minuti, girandole una sola volta. Salare poco le verdure, lasciarle intiepidire, quindi tagliarle a dadini.
Lessare i pisellini e cuocer a vapore i gamberi; unirli al riso con le verdure grigliate e condire con una salsina preparata con olio, succo di limone e un trito di prezzemolo e scorza.
L'insalata di riso si può preparare anche in anticipo e tenere in frigorifero; in questo caso condirla solo con una parte della salsina e aggiungere il resto prima di servire, per mantenerla più profumata.

domenica 24 maggio 2009

x o x o - Gossip Girl - Rose del deserto


Solitamente l'espressione "percorso obbligato" viene utilizzata in senso metaforico per indicare qualcosa di inevitabile nella vita di ciascuno di noi. Per esempio, per chi voglia iscriversi ad un qualunque istituto superiore, conseguire il diploma di terza media costituisce un percorso obbligato. E ancora, per chi voglia imparare a cucinare, saper rompere un uovo senza spatasciare tuorlo e albume sul pavimento della cucina, diventa un percorso obbligato. La nostra esistenza è costellata da percorsi obbligati, strade che, volenti o nolenti, dobbiamo intraprendere per forza (ce lo dicono il destino, la società e le regole). Da quest'anno, nel momento in cui sono andata a vivere a Firenze dove si trova la mia università, mi sono ritrovata a dover fare più percorsi obbligati: quello per eccellenza però, proprio perché è un percorso obbligato nel vero senso del termine, è il tragitto che devo compiere per arrivare, straziata dall'enorme peso della mia valigia, la quale riesce ad essere insostenibile anche quando sto via per soli due giorni, dalla stazione a casa; e, ogni venerdì, da casa alla stazione. Non esistono altre scorciatoie: ogni volta devo insinuarmi in un complesso di palazzi che comprende bar, condomini e uffici lavorativi, per giungere alla mia meta. Ogni volta lo stesso cammino: asfalto - marciapiede - scalino - cancello - "rampa" - strisce pedonali - rotonda - strisce pedonali - marciapiede - casa (per chi volesse sapere quello del ritorno, leggere in senso contrario). Proprio tra il cancello e la rampa con le virgolette perché non è proprio una rampa, quanto un lastricato che prima sale e poi scende, devo passare per un palazzo davanti al quale, sistematicamente, trovo appostati alla porta coloro che, probabilmente, lavorano le palazzo stesso. Nonostante non sappia neanche che tipo di lavoro possa essere, chi siano le persone presenti nel miscuglio eterogeneo di individui che mi metto ad osservare, di che colore siano state dipinte le pareti all'interno dell'edificio, trovo estremamente interessante vedere cosa fanno, ascoltare i loro discorsi, ipotizzare sulle loro vite. Purtroppo non mi è consentito piantarmi lì di fronte per più motivi, tra cui il fatto che potrei essere scambiata per una psicopatica e quindi internata ed il non aver tempo da perdere per queste cose. Comunque sia, rimane un affascinante Caso Sociale. Passare lì nel mezzo mi fa capire meglio cosa si celi dietro a tutti quei telefilm americani infarciti di caffè alle macchinette, chiacchiere d'ufficio, vite private oltre all'ufficio, misteri e sotterfugi, riunioni aziendali e lavoratori poco motivati. Sarei quasi spinta dalla voglia di piazzare lì davanti un distributore di Kinder Pinguì (ora che fa caldo) che funzioni come la "Camera Cafè" di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu (scioglilingua non da poco, altro che "Trentatré trentini..."). Ma soprattutto, mi fa comprendere meglio una cosa: quanto il pettegolezzo sia importante - anzi no, fondamentale nella vita umana. Questi famigerati Impiegati Ignoti, infatti, si trascinano fuori con la scusante di fumarsi una sigaretta. In realtà potrebbero resistere benissimo all'atroce astinenza da nicotina, ma non all'atroce astinenza da gossip. Passando in mezzo al crocchio, come un'antenna satellitare, capto i loro vari "Ma sai che mi ha detto Maria Grazia? Non ci crederai mai..." o i "Sì, però lui non ci va mai, mentre a noi tocca sempre...", rigorosamente sussurrati e bisbigliati, lo sguardo circospetto di chi ha appena compiuto un furto di proporzioni epiche. Se mi nascondessi dietro alla colonna che si trova di fronte all'ingresso (sono stata più volte tentata) e mi appuntassi sul Moleskine i discorsi degli Ignoti Impiegati, vi assicuro che riuscirei a racimolare del materiale per un bel romanzo, un telefilm di successo e forse anche per una serie a puntate su Topolino. È effettivamente più forte di noi: stare lontani dalla soffiata o dalla spiata ci è inconcepibile, anche inconsapevolmente. Se ognuno di noi pensasse ai fatti propri, sarebbe davvero un mondo migliore. E invece no, sembriamo creati per ficcare il naso nelle vicende altrui, chi più e chi meno. Anche coloro che affermano di badare solo alla propria vita, in realtà non vedono l'ora di esprimere il proprio parere sulla nuova automobile di Tizio e sul rapporto coniugale ormai alla frutta di Caio e Sempronia. Sembra quasi che, facendo così, ci si possa estraniare almeno per un po' dalla nostra, di vita. Dai nostri problemi, dalle nostre angosce, dalle nostre fissazioni, concentrandosi su quelli altrui. Avete mai visto l'emozione che si può leggere negli occhi di chi vi sta appena confidando un segreto riferendosi alla vicina, all'amico o al portinaio? E se siete al telefono, avete mai sentito il tono di voce che si incrina giusto un attimo, la concitazione che impedisce quasi di parlare e la voglia irrefrenabile di fare, su quello appena rivelato, un caso di stato, congetturando e facendo infinite considerazioni sull'argomento? Parlare alle spalle di qualcuno è brutto, ma è purtroppo inevitabile. Che siano apprezzamenti o pensieri negativi, ci sarà sempre qualcuno che esprime dei pareri sulle nostre azioni, sul nostro modo d'essere, come quando si è al cinema e non riusciamo a concepire perché mai Brad Pitt, che all'esterno sembrava tanto mansueto, voglia uccidere tutta quella gente innocente. E ancor più purtroppo, molte volte frasi, eventi e fatti vengono completamente stravolti, gettandoci in posizioni difficili da gestire, anche se non abbiamo fatto proprio niente di quello che si vocifera. Ultimo caso è quello in cui alcune azioni vengono invece nascoste, sottratte al pettegolezzo proprio perché di estrema pericolosità, oppure storpiate in modo da renderle migliori, più plausibili. Ma questo solitamente succede più che altro per questioni di criminalità, soldi e politica. Oppure per tutte e tre insieme. Touché, viva l'Italia.

Per accompagnare le vostre chiacchiere e pettegolezzi, serviti insieme a tè, caffè o semplicemente da soli, uno dei miei biscotti preferiti in assoluto.


Rose del deserto

Ingredienti per 20 biscotti circa

125 g farina 00
80 g burro
100 g zucchero
1 uovo
1/2 bustina di lievito per dolci
150 g corn-flakes
(uvetta, prugne denocciolate, albicocche secche...)

Procedimento

Sbattere l'uovo con lo zucchero servendosi delle fruste elettriche; unire il burro fuso continuando a sbattere. Aggiungere la farina col lievito, amalgamando il tutto con un cucchiaio di legno. A scelta, aggiungere, a seconda del gusto, uvetta precedentemente ammollata in acqua tiepida, prugne o albicocche a pezzettini. A questo punto, servendosi di due cucchiai, prelevare il composto un po' alla volta e formare delle "polpettine", quindi farle rotolare nei corn-flakes, facendoli aderire bene al composto. Posizionare i biscotti su una teglia ricoperta da carta da forno, e schiacciare leggermente ogni biscotto con un cucchiaio. Infornare per 15 minuti circa in forno preriscaldato a 150°, o fino a che siano dorati.

lunedì 18 maggio 2009

Il Favoloso Mondo di tartina


A tartina piace: l'odore delle pagine di un libro appena acquistato; gli stampi in silicone per muffins di varie forme; togliersi il Vinavil dalle mani; scoppiare le bollicine della carta da imballaggio; dare soprannomi alla gente; fare caricature e vignette; leggere le scritte in inglese quando è sola; immaginare colonne sonore per ogni momento della sua vita; mangiare il cubetto di ghiaccio che rimane alla fine del drink; l'odore del pane appena sfornato; vedere film d'autore; la erre dei francesi; Johnny Depp; farsi scrocchiare le dita delle mani; risolvere i cruciverba impossibili; programmare; sognare ad occhi aperti; sfogliare riviste di moda mentre si mette lo smalto; i momenti di impasse; riportare citazioni di film famosi; l'umorismo di Woody Allen; le fotografie in bianco e nero; saturare le immagini con Photoshop; il pizzo nero sulle magliette; aggiornare le pagine di Internet; provare nuove ricette; stare sotto la doccia d'inverno; il tè verde; gustare il sorbetto al limone mentre guarda un nuovo episodio di Gossip Girl; scrivere i suoi post; il doposole sulla pelle; giocare a Bubble Breaker sul cellulare; stare al telefono; cantare le canzoni Disney sotto la doccia; il sapore dell'Efferalgan; masticare lo stecco del ghiacciolo; fare degli elenchi; bere un biecchere d'acqua appena si alza; spettegolare con le amiche; spulciare i blog di fashion street style; fare l'aperitivo quando è bel tempo; la parola "pastorizzare"; collezionare collane di varie forme e colori; farsi lo scrub.

A tartina non piace: che qualcuno le dica "Te l'avevo detto, io!"; piangere quando affetta le cipolle; il ticchettio degli orologi, soprattutto di notte; le penne che finiscono l'inchiostro nel momento stesso in cui si deve usarle; sentirsi osservata; essere al centro dell'attenzione; camminare a piedi scalzi; sudare in posti molto affollati; ripetere quello che ha appena detto; essere pizzicata dalle zanzare; farsi la ceretta; pulire il bagno; chi fissa la gente per guardare come è vestita; dimenticare i sogni fatti; non ricordarsi il nome dell'autore di un libro o di una canzone; ricaricare l'i-Pod; essere derisa; la carta igienica che rimane attaccata sotto la suola delle scarpe; essere copiata; mettersi lo smalto sulle unghie dei piedi (ma lo fa per necessità); avere qualcuno che la osserva mentre sta mangiando; la vodka liscia; seguire una lezione senza neanche un minuto di pausa; non ricordarsi dove ha messo quello che le serve; il bagno degli autogrill; quando il piccì le si impalla tutto; modificare i suoi programmi; prendere il sole da sola; il vento che le scompiglia i capelli; gli errori di ortografia; dover comprare le gomme da masticare al bar solo per usufruire del bagno; fare le file in automobile; vedere i genitori che viziano i bambini; le ingiustizie; il tessuto sintetico; rosso e rosa insieme; struccarsi quando torna tardi la notte; Maria De Filippi; chi si introduce nei discorsi senza sapere di che cosa si stava parlando; l'odore della benzina; "avere un attimo di pazienza" e "attendere in linea, prego".

Ah, dimenticavo. A tartina piace anche rompere la crosta della crema catalana con la punta del cucchiaino.


Crema catalana

Ingredienti per 6 cocottine

500 ml latte
4 tuorli d'uovo
100 g zucchero semolato
40 g amido di mais (maizena)
1 limone piccolo
1 stecca di cannella

100 g zucchero di canna

Procedimento

Grattugiare la buccia del limone e porla in un tegame insieme al latte e alla cannella; portare il tutto a ebollizione, quindi togliere il tegame dal fuoco. Lavorare, in un altro tegame a parte, i tuorli d'uovo e lo zucchero semolato con l'aiuto di una frusta, aggiungendovi poi anche l'amido di mais, sciolto precedentemente in un po' di latte freddo. Mescolare il composto ed unirvi il latte bollente filtrato con un colino, non smettendo di mescolare. Portare il tutto ad ebollizione facendo cuocere a fuoco vivace e continuando a mescolare; lasciare cuocere per altri 2 minuti, ottenendo così una crema morbida e liscia, poi togliere dal fuoco. Versare la crema ancora calda nelle apposite pirofiline. Una volta raffreddata, porre in frigorifero e farla riposare per almeno 3 ore. Al momento di servire, cospargere la crema con lo zucchero di canna, e mettere le cocottine sul piano più alto del forno sotto il grill per circa 5 minuti, permettendo così allo zucchero di caramellarsi e di creare la crosticina. Se si dispone di un flambatore, tanto meglio.

sabato 16 maggio 2009

Mare o montagna? Questo è il problema - Insalata di seppie


Ogni anno, come il canone Rai da pagare obbligatoriamente o come la balla su Babbo Natale da inventare ai propri pupilli, si ripresenta, puntuale come un orologio nella casa degli italiani, il problema delle vacanze. Tale questione comincia ad affiorare già verso aprile, ed è più controversa della scelta dell'abito per partecipare ad una Comunione: se per gli italiani è difficoltoso già scegliere dove andare a sfangare il Ponte del Primo Maggio, figuriamoci sapere dove trascorrere dall'una alle due alle tre settimane (la climax dipende dal budget disponibile) negli afosi mesi estivi. Di certo, non in città! Le città si spopolano, diventano deserte, e restare a casa sembra quasi vergognoso, come se si andasse a rubare Chupa-Chups al bar all'angolo. Le vacanze estive diventano così un metro, una scala, con cui poter misurare l'agiatezza e il gusto degli individui (non necessariamente nell'ordine), e magari dargli un voto. Per esempio, Mister Doppia Vu quest'estate andrà a Parigi col suo jet privato, ci starà una settimana (ma solo perché non può assentarsi dal lavoro!) e ci porterà la fidanzata, Miss Elle. Ecco, Mister Doppia Vu rientrerà immediatamente nella categoria dei ricconi, che possono permettersi una vacanza da trascorrere al Plaza o all'Hilton. La scelta di Parigi denota comunque un certo interesse culturale di Mister Doppia Vu, che non ha banalmente scelto Ibiza o Formentera dove fare sfoggio delle sue potenzialità economiche, ma una delle più belle capitali europee. Magari però, non tutti sanno che Mister Doppia Vu è sposato, per cui il particolare della fidanzata gli farà perdere punti nella scala delle madre di famiglia piene di principi, e guadagnarli in quella dei favorevoli alla poligamia. Funziona più o meno così. Il fatto, comunque, è che la maggior parte degli Italiani, anche semplicemente per il gusto di poter dire di andare da qualche parte in vacanza, alla faccia della crisi, arriva ad indebitarsi per spanciarsi al Sole! Dopo mesi di dure fatiche al lavoro o a scuola, tutti si sentono in dovere di rilassarsi. Sistematicamente, quando si parte con questa convinzione, si finisce sempre per ricredersi, complici la ricerca disperata di un lettino in spiaggia, o le file chilometriche in autostrada. Comunque sia, la scelta della meta è un dubbio che attanaglia più della domanda da 70000 euro al Milionario, come se, dalla sua risoluzione, dipendesse la salvezza dell'umanità. C'è da dire che diventa abbastanza importante per il bilancio del benessere della famiglia, del single, degli amici, (del cane e della suocera). In effetti a nessuno piace spendere soldi per qualcosa di cui non ne sarebbe valsa la pena, e non è bello portarsi a casa, oltre al consueto orrido souvenir, l'amarezza degli unici giorni all'anno lontani dalla quotidianità della nostra routine. Sì, perché la vacanza diventa anche evasione. Da cosa? Ma da tutto, a partire dai problemi fino ad arrivare alle pianticelle aromatiche che devono essere innaffiate tutti i santi giorni. A volte, tuttavia, anche se la scelta è stata fatta nel più scrupoloso dei modi, andando a valutare anche la qualità dell'aria o la purezza delle acque del posto prescelto, non si è soddisfatti per i motivi più svariati. Andiamo insieme a vedere cosa comportano le scelte-standard, ormai collaudate da miliardi di vacanzieri da un po' di anni a questa parte.

Il mare
pro:

  • ci si abbronza
  • si può giocare a beach volley, coi racchettoni e quant'altre meraviglie di giochi all'aperto
  • camminare sul bagnasciuga fa bene alla circolazione e modella le gambe
  • i bambini sono contenti, hanno tutta la spiaggia a disposizione tra onde, castelli di sabbia, buche e vicini di sdraio
  • (solo se si è in un villaggio turistico) i bambini hanno anche il Miniclub, e possono essere affibbiati a chi di competenza

contro:
  • i granelli di sabbia si infilano dappertutto, anche dentro il costume
  • i buffet degli alberghi solitamente non sono tra i più invitanti
  • occorre fare una doccia ogni sera
  • i bambini hanno tutta la spiaggia a disposizione tra onde, castelli di sabbia, buche e vicini di sdraio
  • (solo se si è in un villaggio turistico) gli animatori tormenteranno l'esistenza dei vacanzieri, proponendo tombole coi fagioli e spettacoli di animazione scadenti a tutte le ore [mio padre si nascondeva dietro la sdraio per evitare un animatore aitante che prendeva di peso le persone trascinandole a gare di nuoto forzate]
  • (solo se si è in un campeggio) il bagno comune, di solito puzzolente e sporchino

La montagna
pro:
  • c'è più fresco che è al mare
  • c'è un bel paesaggio
  • si possono fare lunghe camminate, migliori di qualsiasi dieta
  • (se si è ad un'altitudine mooolto elevata) si può sciare

contro:
  • la pasta non cuoce granché bene per l'alta pressione, quindi sembrerà di trovarsi in un paese straniero dove per lasagne intendono un pappone di ragù e panna acida
  • i bambini, massimo due giorni, se non supportati da un'adeguata compagnia, inizieranno a rimpiangere la piscina comunale nell'afa estiva della città, cominciando con una straziante cantilena del tipo "Andiamoacasa?Andiamoacasa?Quandoandiamoacasa?"
  • le lunghe camminate, dopo un po', rompono i coglioni a tutta la congrega


Ovviamente ho riportato solo gli aspetti più salienti, che tuttavia giudico i più importanti per soppesare la scelta. Ecco, dopo quest'accurata analisi, sono giunta a questa conclusione: quest'anno urge assolutamente una vacanza in una capitale straniera. Ebbene sì, io sono una tartina iperattiva, di quelle che non ce la fa a stare tutto il giorno sdraiata in un lettino! Ho bisogno di vedere strade, musei, gente, anche se ciò comporta un notevole sforzo fisico, ben diverso dalla vacanza rilassante che uno si prospetterebbe dopo un mese passato a sgobbare sui libri. Però, rivedendo i pro e i contro di mare o montagna, mi sa che faccio proprio bene.

Per l'estate, questa insalata che può essere preparata anche prima e messa in frigo, ideale piatto unico nelle calde giornate che ci aspettano.


Insalata di seppie

Ingredienti per 4 persone

1 kg di seppia (usarne una grossa di questo peso o quelle piccole)
1 cuore + 1 costola di sedano
1 cipolla
1 carota
4 pomodori rossi a grappolo sodi
1 mazzetto di erbe aromatiche
olio extravergine di oliva
1/2 limone
sale

Procedimento

Lessare la/e seppia/e in acqua bollente salata, alla quale avrete aggiunto gli odori (sedano, carota e prezzemolo).
Dopo circa 20 minuti (se la seppia è grande), forarla con una forchetta per valutarne la consistenza; se è tenera, spegnere il fornello e lasciare che si raffreddi. Scolare la seppia dal suo brodo di cottura e tagliarla a listelle. Metterle in una scodella, aggiungendo i pomodori e il cuore di sedano tagliati a pezzettini. Condire con olio extravergine di oliva, il succo del limone e infine erbe aromatiche a piacere (io ho messo erba cipollina, aneto, foglie di origano e timo, tutti rigorosamente freschi, prelevati direttamente dalle "piantagioni" di mia mamma).

domenica 10 maggio 2009

...forse perché la Simmenthal è sempre la Simmenthal! - Bicchierini di panna cotta e gelatina di fragole


Una volta qualcuno se ne uscì così: "Ti pare giusto che LORO abbiano ben 2 feste, mentre NOI, poverini, solo una?" Quel qualcuno era una delle mie coinquiline, e la suddetta frase il frutto delle sue elucubrazioni riguardo all'approssimarsi dell'imminente Festa della Mamma. La sua domanda era semplice: si stava chiedendo perché ai genitori sono dedicati due giorni dell'anno, mentre al contrario non esiste la Festa dei Figli (o la Festa dei Pargoli, o la Festa della Prole, chiamatela come più vi aggrada). In realtà potrebbe sembrare una richiesta abbastanza lecita. Ma in pratica non lo è. Perché deve esserci un giorno in cui regaliamo dei fiori a nostra madre e un giorno in cui regaliamo una cravatta a nostro padre? (Tra i regali più gettonati anche profumi, creme, dopobarba) Sono dell'opinione che ogni giorno dovremmo essere grati ai nostri genitori. Perché? Perché vogliono il nostro meglio, e l'hanno sempre voluto. Perché mettono sempre noi al primo posto (mamma, ti deciderai mai una buona volta ad entrare in un negozio senza pensarmi e a comprare qualcosa solamente per te?). Perché ci sopportano e ci vogliono ugualmente bene, anzi di più (i miei "momenti bui" sono davvero oscuri, delle volte, ma loro ci sono sempre). Perché, che ci piaccia o no, gli assomigliamo parecchio (fisionomia a parte, soprattutto durante i litigi, mi rendo conto di quanto i suoi punti deboli siano anche i miei). Perché siamo frutto della loro unione, anche se magari adesso sono divorziati e uno vive in Ungheria e l'altra a Bassano del Grappa. Voglio fondare un club: "Associazione Italiana Contro le Feste Prive di Senso". Tra queste anche San Valentino, la Festa della Donna e il Ferragosto. Che ci voglia un giorno particolare per comprare una scatola di Baci, fare torte a forma di cuore e dire al proprio ragazzo quanto si ami mi sembra altamente superficiale. Così come regalare mimose. Così come fare file di macchine chilometriche per un giorno di mare, ma solo perché tutti ci vanno e la città sennò è deserta. Comunque sia, queste feste hanno sempre un gran successo: l'emblema del consumismo dopo il Babbo Natale della Coca-Cola. E ri-comunque sia, alla fine sono anche simpatiche, dai. Proprio alla fine, eh.

Al posto del solito mazzo di margherite, ciclamini e girasoli, una dolcezza per mia mamma, che è sempre presente, anche quando farebbe meglio lasciarmi perdere.


Bicchierini di panna cotta e gelatina di fragole

Ingredienti

per la panna cotta:

250 g panna fresca liquida
250 g latte
80 g zucchero
2 e 1/2 fogli di colla di pesce
1 bustina di vanillina

per la gelatina di fragole:

300 g fragole
2/3 cucchiai di zucchero
2 fogli di colla di pesce

Procedimento

Mettere i fogli di colla di pesce in acqua fredda e lasciarli in ammollo per dieci minuti, quindi tirarli fuori e strizzarli bene. Versare in un pentolino il latte e la panna e portare a bollore: quando inizia a bollire, aggiungere lo zucchero, la vanillina ed i fogli di colla di pesce. Mescolare bene, far ribollire per un paio di minuti (continuando a mescolare), poi togliere dal fuoco. Lasciare dunque la panna cotta a raffreddare a temperatura ambiente, e nel frattempo preparare la salsa di fragole, frullandole nel mixer insieme allo zucchero. Mettere la salsa ottenuta in un pentolino, scaldarla giusto un attimo e aggiungervi la colla di pesce, mescolando il tutto per farla sciogliere. Lasciare anche la gelatina a temperatura ambiente e iniziare a preparare gli strati: in un bicchierino versare il primo strato di panna cotta, poi porre in freezer per minimo 15 minuti (se occorre, anche per più tempo, giusto il necessario per far solidificare lo strato). Tirarlo fuori e compiere lo stesso procedimento con la gelatina di fragole. Al termine dell'operazione, mettere in frigorifero e far riposare per almeno 4 ore.

domenica 3 maggio 2009

Scacco Matto


Esistono al mondo tantissimi tipi di gioco da tavolo. Andiamo da Monopoli (quando ci giocavo mi ritrovavo sempre con Vicolo Corto o Vicolo Stretto che non valevano niente, e passavo sistematicamente da Parco della Vittoria, sborsando fior di soldi finti) fino all'intramontabile Gioco dell'Oca (vicina alla vittoria, succedeva quasi sempre che capitassi nella casella che ti rispedisce a quella iniziale), passando per il Solitario con le carte (riuscivo a perdere anche lì: fortunati in gioco e sfortunati in amore? Se così è, non è vero il contrario). Esiste però un gioco ancestrale, che va ben oltre "Indovina chi?", e che, a mio parere, non può essere praticato dai bambini, a meno che non si tratti di geni in erba dall'infanzia infelice. Questo è il gioco degli scacchi. Premesso che non sono mai riuscita ad imparare a giocare agli scacchi, sono sempre rimasta affascinata dalla posa dubbiosa che assume il giocatore davanti al tavolo prima di fare la mossa, dalla scacchiera in legno oppure in marmo, dai pezzi così ben architettati, dalle strategie da utilizzare durante una partita, dalla differenza che intercorre (mi hanno assicurato che è così) tra le pedine bianche e quelle nere. Da scongiurare anche il comune pensiero che gli scacchi sono un gioco noioso: se per noioso in questo caso si intende "che obbliga ad usare la testa con molta concentrazione" allora sì, sono noiosi. Purtroppo, però, sono riuscita ad apprendere solamente a giocare a dama, con mediocri risultati aggiungerei. Comunque sia, ho capito una cosa importante: La Regina e' il pezzo più potente della scacchiera. Puo' muoversi in tutte le direzioni e del numero di caselle desiderate. Vale 9 punti e perdere questo pezzo, senza adeguata contropartita, significa la rovina. Capito? Macché Scacco Matto (dal persiano significa "Il re è morto"), macché Scacco al Re! La Regina detiene il potere, domina incontrastata sulla scacchiera. Scacchiera che, d'altro canto, riproduce fedelmente il mondo in cui viviamo: l'eterna lotta tra la Luce del Bene (i bianchi) e le Tenebre della Notte (i neri), alfieri al servizio del re, e infine il potere della donna, Sapienza e Madre degli esseri viventi. Che la donna abbia duramente lottato per la sua emancipazione è vero, ma è anche vero che, subdolamente, dietro alle mosse dei più illustri uomini della storia, c'è quasi sempre una donna. Pensate forse che quel lombrico di Luigi XVI si occupasse della Francia del Settecento? Nossignore, bensì dalla arzilla mogliettina Maria Antonietta. E vogliamo parlare della Grande Elisabetta I, figlia di Anna Bolena e Enrico VIII? Riuscì ad uscire vittoriosa persino dalla guerra contro la Spagna. Comunque sia, la storia ci insegna che grande è il potere delle Regine, e che quando questo viene a cadere, il Re immancabilmente crolla, o perlomeno vacilla. I motivi possono essere i più svariati: la Regina potrebbe morire, oppure potrebbe ammalarsi gravemente, ma, cosa peggiore di tutte per il Re, potrebbe tradire la sua fiducia e mettersi contro di lui. Ciò potrebbe accadere, per esempio, se un certo Re tradisse la moglie con una bambinetta di 18 anni appena compiuti, peccando non solo di infedeltà, lui che si fa portatore dello stendardo dei valori tradizionali (compresa la famiglia), ma anche di pedofilia, di slealtà, di mancanza di rispetto. La diciottenne in questione chiama il Re "papi". Non so se la mancanza di sufficienti neuroni sia la causa di tale vocativo, ma questo affettuoso nomignolo sembra quasi riportare ad un rapporto incestuoso, per cui è estremamente di cattivo gusto. La bambina si vede poi sommergere da preziosi regali, tra cui una collana con pendente di brillanti, solamente per infilarsi sotto le coperte del Re. La Regina scopre il misfatto: potrebbe passare oltre ad un tradimento con una trentenne, forse, ma si sente ferita in questo modo. Decide di chiedere il divorzio al Re, ben sapendo che la sua è una causa persa in partenza, ma non si dà per vinta. Ormai è notizia: dopo trent'anni di matrimonio il Re e la Regina si separano. Mentre oltretutto è ancora in circolo la notizia dello scandalo delle "veline" pronte ad entrare nelle liste elettorali del Pdl, adesso questa bomba. E il Re come reagisce? Prova a smentire le accuse, non calcolando però la stupidità della bambina, che col suo cervello da locusta non fa combaciare le sue affermazioni con i fatti raccontati dal Re alla stampa. Poi opta per non dichiarare niente, che forse è anche meglio. La frittata è fatta, e se le Regine sono veramente i pezzi più potenti della scacchiera, speriamo che con questa mossa le sorti della partita vengano rimesse in questione.

Un piatto per un Re che adesso è privo di una parte (morale) del suo potere, per un Re spoglio, per un Re nudo.


Gnudi al burro e salvia

Ingredienti per 4 persone

per gli gnocchi:

200 g spinaci
400 g ricotta
200 g farina 00
50 g fecola di patate
1 uovo
50 g parmigiano grattugiato
olio extravergine di oliva
sale e pepe q.b.
(noce moscata)

per il condimento:
un mazzetto di foglie di salvia
80 g burro
parmigiano grattugiato

Procedimento

Lessare le spinaci e saltarle in padella con olio extravergine di oliva, precedentemente insaporito con uno spicchio d'aglio (in seguito da eliminare). Passare le spinaci nel passaverdure a fori piccoli, unire la ricotta passata al setaccio, l'uovo, la farina e la fecola, il parmigiano, sale, pepe e, se si vuole, la noce moscata. Otterrete così un impasto abbastanza denso che lascerete riposare per circa mezz'ora; nel frattempo, mettere a bollire una pentola di acqua salata. Trascorso questo tempo, prelevare un po' di impasto con un cucchiaio da minestra prima immerso nell'acqua: aiutandosi con un altro cucchiaio della stessa grandezza, dare la forma di quenelle agli gnocchi, scegliendo la grandezza che più piace. Quindi immergere il cucchiaio con l'impasto modellato nell'acqua bollente salata. Procedere fino ad esaurimento del composto. Quando gli gnudi vengono a galla, prelevarli con la schiumarola, ed adagiarli nel loro condimento così preparato: privare la salvia del gambo, e farla cuocere a fuoco basso per pochi minuti insieme al burro. Dopo averli amalgamati bene al burro e salvia, unire del parmigiano grattugiato.

Consiglio: gli gnudi possono essere preparati in anticipo e congelati. Al momento dell'utilizzo, scongelarli e cuocerli in forno a 200° per 15 minuti circa.
Sono ottimi anche gratinati.

sabato 2 maggio 2009

Legame di sangue


È ormai risaputo da tutti che le mode, anche se stupide o incomprensibili, riescono sempre ad attirare un sacco di seguaci (anch'essi stupidi ed incomprensibili, magari). Se diventasse "in" praticare ginnastica tribale neozelandese, ci sarebbero un sacco di anche rotte e crampi in più. Se tornasse in voga il bustino alla Marie Antoinette, state sicuri che, la vostra vicina di casa, farebbe fatica a parlare quando vi incontri al supermercato. Se invece scattasse la moda di sorbire una gassosa alla trota salmonata durante gli aperitivi, allora le pescherie farebbero affari d'oro, e la gente avrebbe un'enorme quantità in più di fosforo nel proprio cervello. Purtroppo per noi, non è così: il pesce è sempre mangiato con troppa moderazione, ed il fosforo scarseggia. Piuttosto, ho notato una specie di moda che è nata nell'ultimo periodo: la Moda del Vampiro. Queste leggendarie figure dai canini aguzzi e dal colorito pallido stanno popolando, sovrani incontrastati, le pellicole cinematografiche, gli scaffali delle librerie, le pagine dei fumetti. Proliferano e si moltiplicano continuamente. C'è da dire, poi, che anche la concezione stessa di vampiro è cambiata: siamo ben lontani dal Dracula di Bram Stoker o dal Louis di Anne Rice. I vampiri di oggi si sono adattati ai tempi moderni, più o meno come noi ci adattiamo alle nuove illuminanti trovate dei nostri politici. Non sono più misteriosi personaggi di scenari cupi e spettrali, e addirittura manco temono più agli e crocifissi. Queste straordinarie creature si sono evolute come hanno fatto i protobionti circa 3 miliardi e mezzo di anni fa. Passando da Blade a Buffy, raggiungendo Underworld, Moonlight e True Blood, siamo arrivati a Twilight e Il sangue nero del vampiro. C'è da dire che l'evoluzione si è rivelata davvero gradevole. Se in Dal tramonto all'alba i vampiri erano rappresentati come rozzi ed ignoranti scaricatori di porto che avevano solo il pallino del cibo, o in 30 giorni di buio parlavano il "vampirese", già con l'Angel di Buffy si nota il netto miglioramento, soprattutto estetico. Niente da dire sull'Edward Cullen di Twilight, per esempio, che, nonostante i suoi cento e passa anni si mantiene ancora un bel figliolo. Insomma, la Moda del Vampiro sta prendendo un po' tutti: anche nelle nuove collezioni di lingérie scopriamo reggiseni fetish e mutande borchiate, sono tornate di moda le calze nere strappate e il rossetto rosso scarlatto sulla pelle avorio. Ma vorrei porre l'attenzione su un altro vampiresco aspetto, che ha coinvolto non solo lo star system, ma anche la vita di tutti i giorni. Leggesi: donne estremamente più grandi, a mo' di Vampirone, si mettono in coppia con ragazzini estremamente più piccoli di loro, sangue dolce e delicato. Non stiamo parlando di pochi anni, ma di coppie in cui la differenza di età è davvero notevole! Non so se avete notato quest'aspetto, ma sembra quasi una tendenza, ultimamente. La bella - ma fatta e rifatta - Demi Moore convive sposata e beata con quel bel ragazzo di Ashton Kutcher. Lui? 27. Lei? 42. La Valeria Golino può godere dei profondi occhi di Riccardo Scamarcio, invece. Rispettivamente, 40 e 26 anni. Antonella Clerici, invece, sembra non preoccuparsi di essere stata soppiantata alla "Prova del Cuoco", ma si gode il pupetto avuto dal più giovane di 13 anni marito Eddy. Ormai al capolinea le storie d'amore di Barbara D'Urso (49 anni) e Michele Carfora (39 anni) e di Madonna (48 anni) e Guy Ritchie (38 anni), che comunque sono durate parecchio, considerando i riflettori sempre puntati addosso e il continuo gossip. Insomma, si potrebbe andare avanti per ore, citando anche nomi del calibro di Joan Collins e Percy Gibson, oppure di Roberta Capua e Massimiliano Rosolino. Fatto sta che la tendenza di avere il baby fidanzato sta spopolando. Le donne sembrano non scegliere più un compagno più grande, sentendosi così protetta e custodita, bensì il giovane inesperto sbarbatello. Le ipotesi sul perché sono tante. Si può pensare che, da un lato, la donna si senta così maggiormente realizzata, perché è riuscita nell'intento di conquistare il ragazzino che potrebbe permettersi carni più sode e capelli meno bianchi; dall'altro, che il ragazzino si senta sessualmente prestante e sicuro di sé, prescelto da una donna che potrebbe permettersi uomini più maturi. Oppure si può rimandare la cosa al rapporto ancestrale madre/figlio, pilastro fondamentale della vita umana, vedendo la donna come una Giocasta del Duemila, e l'uomo (ragazzo) come un Edipo odierno. Comunque sia, questa tendenza è sempre più accreditata, e sembra quasi che questi tipi di rapporto durino anche di più. La donna si sente potente, sente di possedere un'arma seduttiva non da poco, l'uomo invece si sente protetto e coccolato. Non voglio esprimere giudizi, perché l'importante è solo la felicità della coppia stessa, e non voglio neanche ipotizzare una società futura di tardone e giovinetti aitanti. Per cui addio ad aglio e paletti d'argento, benvenuti rapporti del nuovo millennio!


Muffins temptation

Ingredienti

250 g farina 00
1/2 bustina lievito per dolci
3 cucchiai di cacao amaro in polvere
150 g zucchero semolato
50 g gocce di cioccolato fondente
225 ml latte
80 ml olio di semi di girasole
1 uovo
una bustina di vanillina
una tazza di frutti di bosco

Procedimento

Eseguire il solito procedimento per muffins, mettendo tutti gli ingredienti secchi in una ciotola (setacciando la farina insieme al cacao), e ponendo in un altro il latte, l'olio e l'uovo sbattuto. Unire i liquidi agli ingredienti secchi e mescolare rapidamente e non a lungo, lasciando l'impasto grumoso. Infine, aggiungere anche i frutti di bosco, dando un'ulteriore mescolata delicata e veloce.
Versare il composto ottenuto negli appositi stampi, riempiendoli per 3/4. Cuocere in forno preriscaldato a 180° per 20 minuti circa, finché risulteranno gonfi e asciutti all'interno.