mercoledì 24 febbraio 2010

Leggere, leggere, leggere! - Pasticcini di frolla


Pasticcini di frolla, originally uploaded by la tartina.

Quando ho bisogno di rilassarmi, di distrarmi, o semplicemente di alienarmi un po' dal solito tran-tran quotidiano, adoro rifugiarmi nella prima libreria che mi capita sotto tiro. Vagare tra gli scaffali colmi di tomi, manuali, volumi e libriccioli, sfogliare quelle pagine e passarci sopra le dita (non sopporto le pagine troppo lisce, quelle che creano un effetto tipo unghia spezzata sulla lavagna, mi vengono i brividi solo a scriverlo), captare stralci di parole e di frasi random (da "osservò l'impronta lasciata dal rossetto rosso sul suo bicchiere" a "mantecare con una noce di burro" a "l'assassino, strano ma vero, era proprio il maggiordomo!"), osservare gli acquisti delle altre persone e trarne spunto, a mio parere riesce a distendere i nervi più del Saluto al Sole o di una seduta zen. Da piccola rimanevo affascinata ogni volta che guardavo La Bella e la Bestia e la Bestia regala a Belle quell'enorme biblioteca e lei deve servirsi della scala per afferrare i tomi desiderati; oppure Pagemaster in cui Macaulay Carson Culkin, che fa il protagonista e che ora è nella droga fino al collo (secondo me colpa dei traumi derivanti dalla realizzazione di Mamma ho perso l'aereo e di Mamma ho perso l'aereo 2), ha tre amici-libri fatti a cartone animato, uno di avventura, uno di fantascienza e uno di amore; e ancora Harry Potter, mi è sempre sembrato ingiusto che le scuole italiane non avessero una biblioteca al pari di quella di Hogwarts (e che soprattutto non si studiasse Erbologia o Storia della Magia). Il fatto è che io adoro leggere, immergermi in quelle storie, racconti, riflessioni e non uscirne, immaginarmi i personaggi e le situazioni, immedesimarmi nelle medesime, diventare empatica con quello che sto leggendo, soffrire quando leggo l'ultima pagina del libro e lo chiudo, e so che è finito e, avida di quelle parole, devo mettermi il cuore in pace. Ovviamente non sempre è così. Delle volte inizio libri che è impossibile seguitare a leggere, figuriamoci finirli! Una volta lessi un consiglio di uno psicologo o di un espertone moderno, che diceva di non forzarsi a leggere ciò che non piace, ma di mettere il libro da parte e di cominciarne uno nuovo, perché altrimenti sarebbe solamente una grande perdita di tempo, e il tempo, ai giorni d'oggi, è poco, veramente poco. Ma per me è quasi una sfida finire un libro troppo pesante, troppo contorto, troppo anomalo, quindi finisce che lo tengo sul comodino per almeno tre mesi, leggo una pagina al giorno e intanto inizio un altro libro: l'80% delle volte non riesco a terminarlo. Altre volte invece capita di leggere libri che ti chiedi come possano essere stati editi, che li scriverebbe meglio il tuo gatto a occhi chiusi. Il caso Moccia, per fare un esempio. Giuro che scriverebbe meglio un bambino delle elementari: tuttavia, quella storia fatta di aggettivi patetici, di frasi che si ripetono, di dialoghi inesistenti, di storia inconsistente, ha ammaliato moltissimi giovani italiani, e ciò la dice lunga sul popolo di lettori della nostra nazione. Ma vogliamo mettere Step con un Mr. Darcy o con un Heathcliff? Stiamo forse scherzando? Sempre sulla scia del filone-spazzatura tanto in voga, sono arrivate le storie di vampiri della Stephenie Meyer: io, conscia del fatto che "se non lo leggi non puoi dare giudizi", ci ho provato. Giuro che ci ho provato. Ma al terzo sguardo languido tra Bella e Edward ho dovuto lasciare perdere, la situazione stava diventando insostenibile! Il Dracula di Bram Stoker si starà rivoltando nella tomba, sempre se è vero che Jonathan Harker è riuscito ad infilzare quel palo di frassino nel suo cuore e poi a decapitarlo. Tutto questo è molto indicativo: la lettura dei libri porta ad una maggiore padronanza della lingua, ad una maggiore cultura, e anche ad una competitività economica utile al bilancio del Paese - infatti esiste una strettissima correlazione tra indice di lettura e Pil. Riprova del fatto che in Italia si legge davvero poco. Complice della triste situazione è anche la scuola: poco fornite le biblioteche scolastiche, assurde le imposizioni sulla lettura date da maestri e professori. Ogni libro di cui viene imposta la lettura è automaticamente odiato o accantonato. Non è un caso se i Promessi Sposi e la Divina Commedia vengono "riscoperti" solo in età più matura. Le interminabili ore di lezione passate su un singolo termine dantesco oppure i riassunti sui capitoli del Manzoni, hanno creato in me una specie di repulsione verso quelli che sono pilastri della letteratura non solo italiana, ma anche mondiale. Il Gattopardo fatto leggere in seconda media si può considerare la stoccata finale. Gli studenti, in parte per sdegno verso una difficile imposizione, in parte perché è più facile starsene a vedere Tina che sbraita in Uomini&Donne, accantonano i libri, preferendo di gran lunga la Nintendo Wii, si specializzano in errori di grammatica e ortografia, pensano che il Decadentismo sia il nome del nuovo profumo di Estée Lauder. È stato stimato, per l'appunto, che gli Italiani spendono per i libri solo 65 euro all'anno, l'equivalente di una cena in trattoria per due persone. Peccato che la fame di cultura sia un evento più unico che raro.
(Vi prego di partecipare alla simpaticissima iniziativa Leggere, leggere, leggere! prevista per il 26 marzo. L'obiettivo? Regalare un libro ad uno sconosciuto. Cliccate sul link per tutti i dettagli!)

Oggi vi propongo la ricetta di friabilissimi pasticcini, che si sciolgono in boccat. Si consiglia di accompagnarli ad una buona tazza di tè e - perché no?, ad un libro.


Pasticcini di frolla montata

Ingredienti:

150 g burro
225 g farina 00
75 g zucchero a velo
1 uovo intero grande
½ cucchiaino di lievito vanigliato per dolci
2 bustine di vanillina
un pizzico di sale

Procedimento:

In una ciotola mettere il burro leggermente ammorbidito e lo zucchero a velo, montare con le fruste elettriche per almeno 5 minuti, fino ad ottenere una bella crema montata. Aggiungere l'uovo e la vanillina, e continuare a sbattere finché saranno bene assorbiti; a questo punto le fruste elettriche non servono più. Aggiungere in due volte la farina mescolata con lievito e sale, poi mescolare delicatamente da sotto a sopra con un mestolo di legno. Riempire con il composto una sac à poche con la bocchetta a stella da 1 cm e spremere i biscotti su una teglia rivestita di carta da forno, dandogli la forma desiderata (per quelli alla ciliegina candita, dividere una ciliegina e porre una metà sul pasticcino prima di infornarlo). Mettere in forno preriscaldato a 200° per 8-10 minuti circa: se i pasticcini cominciano a colorarsi, toglierli subito dal forno. Farli raffreddare, quindi decorarli spolverandoli con zucchero a velo, o ricoprirli con cioccolato fondente, nocciole, cioccolato bianco, granella di pistacchi, farina di cocco a scelta.

venerdì 19 febbraio 2010

Mezzogiorno di Cuoco - Filetto al tartufo con polenta croccante

Il mezzogiorno di fuoco, per ogni casalinga o donna appassionata di cucina che si trovi inspiegabilmente in casa con del tempo da utilizzare, viene combattuto a suon di pentole e fornelli. Accende RaiUno, salgono le note delle Tagliatelle di Nonna Pina e inizia la Prova del Cuoco, programma ormai parte integrante della televisione italiana, e neanche tra i più imbarazzanti. Taccuino e penna alla mano, l'ora e mezzo del programma, oltre ad incentivare la secrezione da parte delle ghiandole salivari, dispensa mille ricette e mille consigli culinari, e ancora mille consigli su come apparecchiare e decorare la tavola (vi prego, aboliamo le rose blu!). Tra le note delle famigerate canzoni dello Zecchino (o zucchino?) d'oro, tra ricette classiche, moderne e surrealiste, si sussegue una carrellata di personaggi ormai celebri e rinomati. La Prova del Cuoco ha ben 10 anni, ed è cominciata con la conduzione di Antonella Clerici: contro il prototipo standard della conduttrice italiana, bella ma poca sostanza, Antonellina si è subito distinta per le sue morbide forme, la sua inettitudine culinaria e la sua estrema simpatia. Ai primi tempi, anche l'Anna Moroni, nonostante quella voce insopportabilmente acuta e sgraziata, non rimaneva poi troppo antipatica: sembrava una nonnetta umbra petulante che volesse solamente condividere i segreti delle sue ricette. E infine Beppe Bigazzi, mio "concittaddino" (nato a Terranova Bracciolini, provincia di Arezzo), burbero e scontroso, coi suoi rimedi e consigli esclusivamente legati alla tradizione, dalle folte sopracciglia canute pronte ad aggrottarsi da un momento all'altro. Poi il programma è andato deteriorandosi. Si dice "il gioco è bello quando dura poco" e anche "l'apparenza inganna": in tal proposito potremmo utilizzare "le apparenze ingannano e ce se ne accorge solamente se il gioco dura poco (finché è bello)". Quando Antonellina è rimasta incinta, andando ad aumentare la massa grassa data da anni e anni di impeccabile conduzione della trasmissione (come fare a resistere lì dentro?!), è stata rimpiazzata dalla nuova Elisa Isoardi. Non temporaneamente, ma definitivamente. Il compenso che richiede è inferiore di quello della Clerici, gli ascolti si sono mantenuti altissimi, ma vogliamo parlare del rendimento della conduzione? La Isoardi è troppo impostata, non ne capisce nulla di cucina e a volte rende veramente impossibile la comprensione di qualche ricetta, dice continuamente "Che bello" (anche mentre gira il frullatore!) mentre gli occhi spalancati si spostano febbrilmente da una telecamera all'altra, per non parlare delle espressioni facciali esageratamente forzate quando assaggia qualcosa (ancor prima di portarsi il cibo alla bocca assume quella posa di entusiastica felicità, in realtà pensando quanto quel grammo possa farla ingrassare). Insomma, non sai di casa, di buona tavola e di naturalezza e ultima caratteristica che me la rende insopportabile: odia il pepe, e per questo lo stanno bandendo da tutte le ricette del programma. Insomma, bella sarà bella, ma è estremamente vuota, quindi perfetta per lo standard "medioitaliano" che segue la trasmissione. La domanda sorge spontanea: come sarà riuscita ad arrivare così "in alto"? Siamo certi che Del Noce non è stato preso per la gola. Nel contempo, anche la Moroni e Beppe hanno perso qualcosa. La signora umbra dalla vocetta stridula ha cominciato a diffondere ricette appartenenti a poveri foodbloggers spacciandole per sue, e la sua risata a Gollum sta diventando veramente insopportabile. Al club si è aggiunto Vissani, che sarà pure un eccellente cuoco, ma quanto ad umanità e sprint televisivo proprio non sa nulla. Ciliegina sulla torta? Quello che è successo lo scorso 15 febbraio: Beppe Bigazzi, partendo da un detto popolare delle sue parti che recita "A Berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gatto", ha raccontato che a Carnevale, in Valdarno, negli anni '30 e '40, chi non poteva godere della carne di coniglio, si nutriva di quella di gatto. L'Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali), insieme alla responsabile dei Verdi, Cristiana Morelli, hanno subito scagliato le loro proteste, e il cartellino rosso di espulsione è arrivato subito per Beppe, che si è dovuto ritirare momentaneamente dalla trasmissione. Forse si era soffermato un po' troppo sulla "frollatura delle carnine bianche" dei gatti, includendo così particolari pittoreschi, ma anche piuttosto macabri. Tuttavia c'è da dire che il co-presentatore si rifaceva ad un detto popolare, e ad un'usanza diffusa in quegli anni di magra. A mio parere l'espulsione sembra eccessiva, considerando anche il carattere di Bigazzi, propenso ad esagerazioni e a battute avventate. E poi si apre un'altra discussione: perché il gatto no e il coniglio sì? Perché l'uomo è abituato a tenere il gatto acciambellato sul divano? E un tenero coniglietto allora? L'agnellino che guarda Lisa Simpson coi suoi occhioni languidi? E Bambi, vogliamo parlare del cerbiattino della nostra infanzia?! A fronte di queste considerazioni non sto assolutamente dicendo di essere a favore dei 100 modi in cui cucinare Fuffi, sia chiaro. Però, secondo questa nuova ottica, risulta anche meno raccapricciante l'usanza cinese. E se fossimo abituati fin dall'antichità a cucinarci il cane e a costruire la cuccetta per il nostro porcellino domestico?
Nonostante ciò, scusate un attimo, ma devo vedere chi vince, se Pomodoro Rosso o Pomodoro Verde.

Oggi la ricetta di una tenerissima carne di gatto accompagnata con... Va bene, Carnevale è già passato, e il 1 di aprile è ancora lontano. Per gli ultimi giorni d'inverno (almeno si spera), del tenero filetto ricoperto da salsa tartufata accompagnato da formine di polenta croccanti fuori e morbide dentro.


Filetto al tartufo con polenta croccante

Ingredienti: per 4 persone

per il filetto:
4 fette di filetto di circa 2 hg l'una
1 hg salsa tartufata
una noce di burro
sale, pepe

per le formine:
2hg polenta (del tipo preferito)
acqua
salsa tartufata

Procedimento:

per il filetto:
Cuocere alla brace le fette di filetto salate e pepate, 5 minuti per parte. In una pirofila, fare liquefare la noce di burro al quale aggiungere metà della salsa tartufata. Adagiarvi le fette di filetto, sulle quali aggiungere la salsa rimanente. Servire caldo.

per le formine:
Cuocere la polenta e farla intiepidire, quindi disporla sul tagliere passandovi sopra il matterello per livellarla. Con degli stampi da biscotti, realizzare le formine preferite, su cui porre della salsa tartufata. Disporle sul piatto crisp leggermente unto, e far cuocere in forno a microonde con funzione crisp per 4-5 minuti circa.

mercoledì 10 febbraio 2010

D.ssa Stranamore - Baci di Perugia


Baci di Perugia, originally uploaded by la tartina.

Domenica si festeggerà una delle feste più patetiche e consumistiche del globo: S. Valentino. Coppie stucchevoli e gné-gné, se ne staranno mano nella mano, o a cenare a lume di candela, o a visitare questa o quella città italiana, con tanto di mazzi di fiori e palloncini a forma di cuore gonfiati a elio. Voi, mi rivolgo a voi, single ormai a prova di colpo di fulmine, ve ne starete in disparte, professando quanto è triste festeggiare S. Valentino e che l'amore non si dimostra solamente una volta all'anno. Baggianate: ovviamente vi piacerebbe tantissimo ricevere come dono uno di quegli inquietanti peluche che stringono tra le zampette cuori di cioccolato, o perlomeno poter snobbare con classe la festività, decidendolo però insieme al partner. A vostro favore, però, potete tirare fuori delle valide motivazioni alle vostre amiche che vi racconteranno per filo e per segno dei progetti per domenica 14 febbraio, su quanto sia inutile spendere così tanto per un qualcosa di così labile. A mio parere Carlo Verdone, con L'amore è eterno finché dura, ha superato se stesso. Non tanto per la pellicola in sé (più pregevole è sicuramente Viaggi di nozze, con Tosca e famolostrano!), quanto per l'appropriata scelta del titolo. Sì, perché anche secondo me l'amore in una coppia non è infinito. Dopo l'euforia e la passione iniziale, questo si esautora, e più si va avanti nel tempo, più diventa abitudine e consuetudine. Mentre in alcuni casi sparisce proprio, in altri diventa una diversa tipologia di amore, ecco. Ci si conforma alla vita che, da un po' di tempo, si conduce con il partner, e ci si adegua ad essa. Perché molte volte, dopo il matrimonio, avviene il tradimento? Se talvolta questo è puramente erotico, sessuale, mentre spiritualmente e psicologicamente si rimane legati ed attratti alla persona che abbiamo scelto come compagna di vita, talaltra invece è causato proprio dallo scocco di una scintilla che va a sostituire quella ormai affievolita dal tempo. A comprovare il fatto che la mia teoria non sia solo dettata da una sorta di pessimismo inconsueto per una ragazza della mia età che ora come ora l'amore non lo vede neanche in cartolina (e quando sei innamorato, a quanto pare, sembra che la tua storia sia la migliore di tutte, la più bella del mondo e che durerà più dei nuovi seni al silicone della Ventura), interviene la scienza. Secondo una ricerca condotta dall'Università di Pavia condotta sulla sostanza presente nel cervello in grado di fare innamorare, infatti, il tutto è riducibile a delle proteine. Delle piccole catenelle aminoacidiche riescono ad influenzare il Sentimento per eccellenza, quello che ha fatto parlare tanti pensatori, quello che ancora oggi rimane un grande mistero per la specie umana. La prima "molecola dell'amore" è stata scoperta dal premio Nobel (1968, per gli studi condotti appunto sui fattori di crescita del sistema nervoso) Rita Levi Montalcini: si chiama NGF, sigla che sta per Nerve Growth Factor. Per studiare il fenomeno sono stati analizzate diversi gruppi di persone divisi in base alla durata del rapporto di coppia. Nelle persone dove la relazione era iniziata da poco, sono stati riscontrati dei valori di NGF più alti rispetto alle coppie che stavano insieme da più di un anno. Un altro aspetto che è emerso dalla ricerca è che i livelli di NFG calano con il passare degli anni: nell'iniziare una nuova relazione un ventenne avrà dei livelli della proteina più alti rispetto a un trentenne. Tuttavia i ricercatori tengono comunque a precisare che dopo il primo anno non finisce l'amore, finisce solo questa fase "acuta" che lascia il posto ad altre sensazioni. Tutto ciò convalida la teoria di cui sono sostenitrice ormai da un po' di tempo. La vostra amica ovviamente vi guarderà scettica e piena di disappunto, e se ne andrà a cercare un delizioso portafoto per il suo ragazzo pensando a quanto siete sfigate e anche un po' invidiose, inconsapevole del suo livello di NGF che sta progressivamente calando.

Per questo S.Valentino, vi propongo la ricetta dei famosi Baci di Perugia, trovata su Sale&Pepe di questo mese. Questi golosissimi cioccolatini sono nati negli anni '20 da un'idea di Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni, tra i fondatori storici della Perugina. Lei inventò la ricetta e li chiamò "cazzotti" per la forma a pugno; lui ne addolcì il nome in "baci". Rivestiteli di carta stagnola, ponendo all'interno di ognuno una citazione famosa: il risultato sarà sicuramente più soddisfacente di quello dato dai dolcetti acquistati.


Baci di Perugia

Ingredienti:

240 g cioccolato gianduia
120 g granella di nocciole tostate
30 g nocciole intere
70 g panna fresca
300 g cioccolato fondente al 70%

Procedimento:

Scaldare la panna in un pentolino con il cioccolato gianduia spezzettato e mescolare fino ad ottenere una crema omogenea. Unire la granella di nocciole e continuare a mescolare finché sarà incorporata perfettamente. Trasferire il composto in una tasca da pasticciere senza bocchetta, distribuirlo su un vassoio foderato con carta da forno formando tante palline grosse come una noce, lasciarle raffreddare in frigo per un'ora e poi sistemare una nocciola intera su ogni bacio, premendola leggermente. Grattugiare fine il cioccolato fondente, raccoglierlo in una ciotola e lasciarlo sciogliere dolcemente a bagnomaria. Togliere i baci dal frigo e immergerli uno alla volta nel cioccolato fuso, aiutandosi con una pinza da pasticceria o con una forchetta, in modo da ricoprirli interamente. Fare sgocciolare bene i baci, quindi metterli su un foglio di carta da forno e lasciarli riposare finché si saranno asciugati completamente.

giovedì 4 febbraio 2010

Un mondo al contrario - Marmellata di arance


Marmellata di arance, originally uploaded by la tartina.

«È una marmellata ottima», disse la regina.
«Tanto oggi non ne voglio.»
«Anche se tu ne avessi voluta, non avresti potuto averne», ribatté la regina. «La regola è marmellata domani e marmellata ieri, ma non marmellata oggi.»
«Ma prima o poi ci potrà essere marmellata oggi!», obiettò Alice.
«No, replicò la Regina. «La marmellata c'è negli altri giorni; e oggi non è un altro giorno, come dovresti sapere.»
«Non vi capisco» disse Alice. «È spaventosamente confuso.»
(da Attraverso lo specchio, Lewis Carroll)

Perché noi, oggi, siamo abituati alla logica paradossale, contorta e spiazzante che fa da padrona nelle opere di Carroll. Siamo abituati a politici che fanno tante promesse, ma poi non vediamo neppure l'ombra della "marmellata del domani". Ci si chiede quanto l'opera del grande scrittore, sebbene irreale, possa essere distante dal mondo odierno, e dalla sua inverosimile razionalità. Non è contorto un mondo in cui si è ricchissimi oppure poverissimi? Non è contorto un mondo in cui un futuro non è assicurato per nessuno? Non è contorto un mondo in cui bene e male si confondono? Non è contorto un mondo dove si è in guerra continua? Non è contorta la realtà che ci circonda? Quasi quasi preferisco il Gatto del Cheshire.

Oggi la ricetta della marmellata d'arance, che ha letteralmente conquistato casa mia. Barattoli su barattoli spariscono alla velocità della luce: è ottima sia come dolce, sulle fette biscottate, sul pane col burro o nello yogurt, sia come stuzzichino salato, accompagnata da dei formaggi. La marmellata in questione è proprio quella di cui Alice trova il vasetto (vuoto), mentre cade nel pozzo. La bambina non osa buttarlo giù, perché pensa che potrebbe cadere in testa a qualcuno. La domanda sorge spontanea: non dovrebbe cadere con la stessa velocità di Alice che già sta cadendo?

Marmellata di arance

Ingredienti:

1,5 kg arance bionde, non trattate
1 limone
1,5 l acqua
1,5 kg zucchero

Procedimento

Tagliare le arance e il limone in sei spicchi, quindi ridurre a fettine sottili ognuno di essi. Raccogliere le fettine di agrumi in una ciotola di vetro o di porcellana (non di plastica), versarvi sopra l'acqua e coprirle con della pellicola trasparente. Lasciare riposare tutto per una notte in un luogo fresco. Il giorno dopo versare il contenuto della ciotola, arance ed acqua, in una casseruola di acciaio con il triplo fondo. Unire lo zucchero, mescolare bene finché risulti sciolto e continuare la cottura a fuoco vivo per 30 minuti circa. Lasciare riposare qualche minuto, quindi riempire i vasetti e sigillarli con chiusura ermetica. Se aperta, la marmellata si conserva per qualche giorno in frigo. Altrimenti, il barattolo sigillato può conservarsi per circa 6 mesi.

lunedì 1 febbraio 2010

Cha no yu - Green tea sweets


Green tea sweets, originally uploaded by la tartina.

I tabloid impazzano: Prince of Wales and Lady Grey just married. Matrimonio in grande per il Principe del Wales e l'amata Lady Grey: lei, un abito sontuoso color lavanda e fiordalisi intrecciati tra i capelli, lui un rigoroso smoking nero. Preserveranno la nobile dinastia, e la porteranno avanti con sapienza ed eleganza. Lui proviene dalla Cina, è delicato e apprezzato da tutti; lei, Mary Elizabeth, dai tipici tratti orientaleggianti, è decisa e forte, vitaminica direi. Il padre Earl Grey, orgogliosissimo, ha portato fiero sua figlia all'altre, non riuscendo a nascondere una lacrima scendere sulla guancia solcata dalle rughe. Tantissimi illustri invitati ai festeggiamenti, tra cui la bella indiana Darjeeling, la ex del Principe mollata brutalmente davanti ad un aereo per Thaiti, che afferma di essere realmente felice per le nozze. O almeno così dice. Nascosto dietro una colonna di pasticcini di frolla, si scorge anche Bancha, magnate di un grande impero economico: raffinato e altero, appare sempre un po' riservato e piuttosto burbero con la stampa. Grande amico di Lady Grey, nonché suo compagno al college, si vocifera su un plausibile amore non ricambiato da parte di lui. Ma si sa, sono solo gossip, e io non voglio certo esprimere giudizi avventati sullo sguardo perso e affranto dipinto sugli occhi di Bancha quando guarda la futura Principessa del Wales scendere le gradinate con grazia! Le sorelle di Lady Grey, Sencha e Tencha, pur essendo gemelle, non potrebbero mai essere così diverse. Tencha si gira attorno, controlla che tutto proceda per il meglio, vorrebbe che la cerimonia della sorella fosse perfetta, saluta gli invitati, li accoglie, pensa alle tartine all'avocado e al salmone. Brillante e pungente, dirige una casa di moda; è al suo terzo matrimonio e ha due figli, ma sembra essere presa più dalle sue incombenze che dalle esigenze familiari. Sencha è l'opposto: pallida e remissiva, nel suo abito verde scuro, sembra invisibile. Si muove con circospezione tra la folla. Sembra quasi non voglia farsi notare, e probabilmente non vede l'ora di tornare sui suoi amati libri. Il cugino del principe, nonché suo migliore amico Karkadè, spicca tra i presenti per il deciso colore rosso del suo smoking. Noto casanova, è alla ricerca della sua prossima preda. Uh-oh, sembra proprio che l'abbia trovata: ma sarà contento il marito di Tencha della cosa? Intanto il pestifero Pai-mu-tan, fratello minore del Principe, semina panico nel bel mezzo della festa: alza la gonna a Yin-chên, che sembra così una moderna Marilyn Monroe, rovescia il punch addosso a Gunpowder, non conoscendo forse la sua proverbiale irascibilità. Quieta e serafica è invece la piccola Jasmin, figlia del Principe e di Lady Grey: nata da pochi mesi, osserva tutto con grande cura, non lasciandosi sfuggire neppure il dettaglio più minuto. Compreso Matcha, il prezioso animale domestico di famiglia: un grande gatto di razza pregiata, la cui coda viene immediatamente afferrata dalla piccina, che non gli lascia scampo. La grande cerimonia, la famosa Cha no yu, celebrata alle 5 del pomeriggio dall'esimio Cappellaio Matto, è ormai giunta al termine. Quanto durerà l'amore tra il Principe e Lady Grey? Nessuno può dirlo con sicurezza, ma una cosa è certa. Sembra essere infinito quando il Principe e Lady Grey si sussurrano piano a vicenda: "Ho voglia di ."
(Ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale. I personaggi non esistono, o perlomeno solamente sul mio scaffale, tra bustine di tè, infusi e tisane.)

Poiché sono riuscita finalmente a mettere le mani sulla preziosa e costosissima polvere verde di tè Matcha, ormai celeberrima nella blogsfera, ho messo subito in pratica una ricetta trovata sul Cavoletto e da Tuki. La consistenza friabile dei biscottini è deliziosa, mentre il sapore... beh, presente la sensazione che si ha nell'addentare del tè verde solido? Ecco.

Green tea sweets

Ingredienti:

90 g di zucchero a velo
140 g di burro a pezzetti
3 tuorli grandi (60 g)
1,5 cucchiai da tavola di matcha
220 g di farina
200 g di zucchero semolato per la copertura

Procedimento
Setacciare il matcha con lo zucchero a velo e versarli nel recipiente della planetaria, unirvi il burro e lavorare con la foglia (o gancio K) fino ad ottenere un impasto perfettamente liscio ed omogeneo; unire la farina setacciata, continuando a lavorare, ed impastare fino a quando il tutto non risulta ben amalgamato; infine, aggiungere i tuorli e lavorare velocemente fino a quando non saranno ben incorporati nell'impasto. Formare un disco con l'impasto, coprirlo e lasciarlo in frigo per circa 30'. Preriscaldare il forno a 160-170°C, stendere l'impasto ad uno spessore di poco superiore ad 1 cm (io li ho fatti più bassi) e, con un tagliapasta di circa 5cm di diametro, ricavare i biscotti e passarli nello zucchero semolato. Sistemare i biscotti su una teglia rivestita di carta forno e cuocere per circa 15-20 minuti, i biscotti devono essere appena dorati sui bordi. Trasferire su una griglia di raffreddamento e lasciare che si raffreddino completamente. Conservare in una scatola di latta.

giovedì 28 gennaio 2010

La metamorfosi - Cake alla feta e prezzemolo


Cake alla feta e prezzemolo, originally uploaded by la tartina.

Nella vita dello studente universitario, che scorre placida tra lezioni, biblioteca e mensa, bisogna includere purtroppo un periodo quanto mai temuto: la sessione d'esame. Quello è il momento in cui i nodi vengono al pettine, e l'unico desiderio è quello di passarlo da vincitori. Terminate le lezioni, comincia la Tanto Temuta: si cominciano a diradare le uscite infrasettimanali, e più ci si avvicina al giorno dell'esame, tanto si riduce anche la durata delle serate nei week-end; ci si rinchiude in casa, chi ha affittato un appartamento nella città in cui studia, torna mesto e tapino a casa. In un primo periodo è quasi rilassante: sì, c'è da studiare, ma si torna ad essere serviti e riveriti da mamma e babbo, e poi manca ancora un mese all'esame! Poi insomma, questa vita domestica viene anche a noia. Le giornate passano tutte uguali, la concentrazione va diradando e sembra di non procedere con lo studio. Comincia la paranoia: no perché a me interessa solamente di passarlo, poi del voto chi se ne importa!? No, ma dicono che i professori sono certi bastardi! No, io penso di bocciare, e se mi fanno delle domande a cui non riesco a rispondere? in alcuni casi le paranoie sono fondate: lo studente che in realtà si è gingillato e non ha aperto libro durante l'arco di tempo a disposizione, verrà bocciato; quello che si è impegnato ed ha studiato assiduamente (anche se proprio non gli pare di essere pronto), riceverà buoni frutti. Ma non sempre. Molte volte, purtroppo, ci sta anche la sfortuna: per esempio, che capiti l'argomento su cui abbiamo meno le idee chiare (remembering esame di analisi matematica - gennaio 2009), che il professore sia veramente lunatico e che abbia voglia di bocciarti. Ci sta tutto, l'importante è incassare il colpo e poi riprovarci. Anche se solamente il pensiero di risprofondare nell'apatia della sessione d'esame è nauseante. In questo periodo, lo/a studente/ssa, subisce una vera e propria mutazione, psicologica e fisica. Il primo indizio che serve da riconoscimento del Problema è dato dall'assunzione di una tenuta da combattimento, consistente in pantaloni sformati di una tuta da Jay-Z (pregevoli le tute utilizzate quando si praticava uno sport), calzini spessi multicolor, pantofole grandi, calde e pelose, un pile dai motivetti assurdi e imbarazzanti (il mio ha dei fiocchi di neve grigi e delle teste di renna inquietanti; gettonati anche i modelli-moda dai colori catarifrangenti), maglietta vecchia e consunta (da alternare col sopra del pigiama, come in uno stato di influenza perenne). Segue una presa di posizione da parte dei capelli, che decidono di sporcarsi prima e di andare per i fatti loro: frequenti, per chi ha i capelli almeno alle spalle, sono le acconciature formate con l'ausilio di matite smangiucchiate o pinze da lavandaia. Durante la sessione d'esame poi, diventano palesi miopia e/o astigmatismo: non c'è niente di meglio per deprimersi che portare 24 h su 24 degli spessi occhiali neri da nerd (presenti!), e ogni tanto guardarsi allo specchio per verificare lo stato di abbrutimento. Nel mentre, la depressione arriva alle stelle, così come l'ansia e l'angoscia che potrebbero causare un fallimento. Per questo motivo, solitamente, accompagnano il periodo di esame anche degli attacchi convulsi di fame, che trova sfogo soprattutto nei carboidrati. Io, per esempio, faccio delle vere e proprie indigestioni di cereali, marmellata e biscotti a qualunque ora del giorno. Lo so, è riprovevole, ma cosa non si farebbe pur di non studiare anche solo cinque minuti! Questa fame chimica, purtroppo, va a pari passo con un desolante stato dell'epidermide che ricopre il viso. Ad ogni morso di cioccolata, sembra spunti un nuovo brufolo, che col suo colore rosso carminio crea un emozionante contrasto sulla pelle biancastra e flaccida, che non vede la luce del sole, vuoi per l'inverno, vuoi per la vita di clausura trascorsa sui libri, da più di un mese. Ancora più infame, a tal proposito, è la sessione estiva. Se quella invernale è traumatica, quella estiva lo è ancora di più. Studenti più fortunati sfoggiano dorate abbronzature già da maggio: tu (io) sei costretta ad andare avanti col tuo colore pallido di morte, consapevole dell'imminente scottatura non appena potrai esporre almeno una piccola area del tuo corpo al sole. Guardi fuori le belle giornate scorrere, mentre tu sei costretto a stare chino sui libri soffrendo il caldo e sudando come un maialino cinese. Sogni l'estate, ma sai di dover dare ancora questo e quell'esame prima di goderne appieno. E potrai farlo solo se gli esami andranno bene. Contemporaneamente, calano il livello di attenzione e di concentrazione: mille sono gli espedienti a cui si ricorre per distrarsi. Da includere nella categoria il volo di una mosca e Internet, la distrazione per eccellenza: si finisce per aggiornare convulsamente la stessa pagina di Facebook che si aggiornerebbe automaticamente, iscriversi a Twitter o sperimentare tutti gli stupidi giochini presenti su gioco.it (con particolare propensione per quelli di ruolo, in cui l'obiettivo è quello di gestire un fast-food soddisfacendo tutte le esigenze dei clienti). Come se non bastasse, la posizione ricurva sui tomi aperti, provoca scoliosi momentanee che riportano lo studente alla primitiva condizione da australopiteco. Le sessioni d'esame, in definitiva, hanno qualcosa di estremamente sadico verso il genere degli studenti. Lo studio matto e disperatissimo tanto amato da Leopardi, io lo sostituirei volentieri con feste matte e divertentissime, e stavolta non penso sia questione di punti di vista, no?

Oggi vi propongo la ricetta di un cake salato, la cui preparazione mi ha distratto - con piacere, da endomembrane, ibridizzazioni e citosol. Piacevole è stato anche addentare quelle morbide fette, in cui l'acidulo del formaggio greco ben si combina con l'inconfondibile sapore del prezzemolo. La ricetta è di Arietta di Muffins, cookies e altri pasticci, come sempre una garanzia.


Cake alla feta e prezzemolo

Ingredienti

180 gr di farina
3 uova
10 cl di latte parzialmente scremato
10 cl di olio d'oliva
100 gr di gruyère (io ho utilizzato il Galbanino)
200 gr di feta
2 o 3 manciate di prezzemolo o altre erbe aromatiche fresche (basilico, menta...)
1 bustina di lievito per torte salate
sale e pepe

Procedimento

Tagliare la feta a dadini, grattugiare il gruyère con una grattugia a fori larghi e tritare grossolanamente le erbe. Imburrare e infarinare uno stampo da plumcake.
In una ciotola, sbattere leggermente con una frustina le uova con l’olio e il latte. Aggiungere la farina, il gruyère grattugiato, la feta a dadini e le erbe tritate. Salare e pepare. Mescolare e incorporare delicatamente il lievito.
Versare l'impasto nello stampo e infornare subito nel forno preriscaldato a 180°. Fare cuocere per 35-40 minuti circa. Lasciare raffreddare il cake prima di sformarlo.

Varianti:
- potete aggiungere anche una bella manciata di olive nere denocciolate al composto.
- potete sostituire il gruyère con emmenthal, oppure variare utilizzando al suo posto 60 gr di parmigiano grattugiato.

lunedì 25 gennaio 2010

Avereventanni, auguri a me! - Mattonella con bavarese al caffè e ganache al cioccolato

È strano pensare come un giorno preso a caso possa rappresentare per alcuni un giorno come tanti, in cui continuare con la solita routine e le solite occupazioni, e rappresentare invece una data importante per altri. Prendiamo come esempio questo grigio lunedì, fatto di freddo e umidità. Ecco, questo lunedì per uno studente potrebbe significare solamente l'inizio di una estenuante settimana, fatta di compiti e interrogazioni, dopo il relax del week-end. Per una donna di casa potrebbe significare solamente che è giunto il momento di cambiare le lenzuola e mettere a lavare quelle vecchie. Per un buisness-man potrebbe voler dire esclusivamente che oggi dovrà presenziare ad un noioso convegno, come ogni lunedì. La normalità, in definitiva, niente più e niente meno. E invece per me, la vostra tartina, oggi è un giorno speciale: è il mio compleanno. Ebbene sì, compio 20 anni, proprio oggi, il 25 gennaio, dico addio al mondo dei teenagers. Il compleanno è un evento importante, soprattutto se l'età è di questa portata. Secondo me sono i 20 che inaugurano l'ingresso nel mondo degli adulti, non i 18. Non c'è più quell'1 davanti, ma un 2 pieno di aspettative per il futuro. Che poi, se ci si pensa bene, perché festeggiare un anno che se ne va, un anno in cui diventiamo più vecchi? Sembra non avere senso, eppure, il giorno del proprio compleanno, c'è sempre quella leggera euforia, quel sentirsi speciali per un giorno, e ricoperti di mille attenzioni. Sorprese, regali, le persone più disparate che fanno gli auguri (ma è sempre un piacere riceverli). Sono più grande, è vero, ma non mi sembra di certo di essere cambiata da ieri o da una settimana fa. Eppure c'è quel qualcosa in più che grava su di me, quel qualcosa che, almeno per l'entusiasmo iniziale, mi fa assumere la consapevolezza di essere più grande, e di doverlo dimostrare. Maturare per alcuni è un processo lento, per altri repentino e segnato da un singolo avvenimento, per altri ancora quel momento non arriverà mai; delle volte l'età non conta niente. Io non lo so, ancora ho molto da imparare e troppe esperienze da fare. Se ripenso ai miei anni trascorsi però, non posso che farlo sorridendo. Tornassi indietro cambierei qualcosa, questo è ovvio, ma il bilancio, in fin dei conti, è positivo. Adesso sento solamente il bisogno di buttarmi, come un salto nel vuoto, in questo nuovo anno che per me, mi perdoni il calendario, comincia proprio oggi.

Oggi non posso che proporvi il dessert che mi sono auto-confezionata per festeggiare i miei 20. L'ho inventato io, assemblando 3 diverse ricette e 4 tipi di gusti e consistenze: il biscotto alla nocciola spugnoso e morbido, la ganache al cioccolato fondente cremosa e scioglievole al palato, la bavarese al caffè che ben si combina con lo strato di soffice panna montata finale. Per augurarvi un buon NON-compleanno (:
E già che ci sono, partecipo con questa ricetta al contest indetto da Chefs Sans Frontieres (cliccando sul nome trovate il bando!), associazione senza fini di lucro che si occupa di insegnare il mestiere della ristorazione a ragazzi in difficoltà, condudendoli per mano fino alla completa autonomia nella gestione di un'attività. Per le migliori ricette sono previsti anche alcuni premi messi in palio da Neronero. uniamo l'utile al dilettevole, su!


Mattonella con bavarese al caffè e ganache al cioccolato

Ingredienti

per il biscotto alla nocciola:
100 g nocciole
3 albumi
80 g zucchero
20 g farina

per la ganache:
100 ml panna fresca
150 g cioccolato fondente
30 g burro

per la bavarese:
2 tuorli
250 ml latte
1 cucchiaio di caffè solubile
50 g zucchero semolato
1 cucchiaio e mezzo di zucchero a velo
100 ml panna fresca
4 g gelatina in fogli
un baccello di vaniglia

per decorare:
50 ml panna fresca
20 g zucchero a velo

Procedimento

Preparare il biscotto alla nocciola, tritando innanzitutto col mixer le nocciole fino a ridurle in polvere. Montare a neve ben ferma gli albumi, poi unire le nocciole e la farina. Versare l'impasto in una pirofila di 26x18cm foderata con carta da forno, e infornare a 200° per 20 minuti. Far raffeddare, quindi, servendosi di un coltello con la lama seghettata (in questo modo non si sbriciolerà), tagliare in due la pasta, delle dimensioni di uno stampo da plum cake di 24 cm.

Preparare quindi la ganache: versare in una casseruola la panna con 100 ml scarsi di acqua, portare al limite dell'ebollizione, unire il cioccolato spezzettato e, fuori dal fuoco, mescolare fino a quando il cioccolato sarà completamente sciolto. Lasciare intiepidire il composto e, poco alla volta, unire il burro molto morbido. Trasferire la ganache in frigo a rassodare (20 minuti circa).

Foderare uno stampo da plum cake con della carta da forno, quindi porvi il primo rettangolo di pasta alla nocciola opportunamente tagliato e ridotto alle giuste dimensioni. Prelevare la ganache dal frigo, quindi montarla con le fruste elettriche per 2-3 minuti, finché inizierà a diventare più chiara e addensarsi. Spalmare la ganache sul primo biscotto alla nocciola, coprire con il secondo rettangolo, premere leggermente e porre nuovamente in frigo.

Intanto, preparare la bavarese al caffè. Scaldare il latte con il baccello di vaniglia inciso nel senso della lunghezza senza portarlo ad ebollizione. Nel frattempo ammorbidire la gelatina in acqua fredda. Spegnere il fuoco, mescolare il caffè al latte finché si sarà sciolto ed eliminare la vaniglia. Montare i tuorli con lo zucchero finché diventeranno chiari e incorporarli al latte. Unire la gelatina strizzata e farla sciogliere per 5 minuti a fuoco lento, continuando a mescolare. Spegnere il fuoco e far raffreddare. Montare la panna con lo zucchero a velo, incorporandola al composto a base di latte.
Prelevare lo stampo e versarvi la bavarese, quindi porre nuovamente in frigo a rassodare per almeno 4 ore.

Trascorso questo tempo, tirare fuori lo stampo dal frigo, e tirare fuori la mattonella aiutandosi coi lembi sporgenti della carta da forno. Pareggiare col coltello eventuali irregolarità nella forma (in particolare agli estremi). Se i lati dovessero risultare esteticamente poco piacevoli, ricoprirli con granella di nocciole.
Prima di servire, montare la panna rimasta, quindi, servendosi di una sac-à-poche dalla boccuccia a stella, decorare la mattonella.

venerdì 22 gennaio 2010

Le relazioni pericolose - Bavarese al cioccolato e frutti di bosco

Rubrica femminile: I miti da sfatare sull'amore, inteso come sentimento e relazione tra un uomo e una donna. Astenersi le più sentimentaliste.
Prima di tutto, l'esistenza di un Principe Azzurro. Da piccole, influenzate dalla Disney e dalle fiabe più comuni (Cenerentola, Biancaneve) - in sostanza, prima che arrivasse Shrek sugli schermi, ci immaginavamo, da un giorno all'altro, l'arrivo del nostro uomo perfetto, ovviamente bello, ricco, affascinante, scaltro ed intelligente. Tutte qualità che contemporaneamente non si potrebbero trovare nemmeno in un personaggio del gioco di ruolo The Sims. Il principe sarebbe arrivato, prima o poi, in sella ad un possente cavallo bianco. Non mi importava di non essere mai salita su un cavallo o semplicemente su un pony, perché ci sarebbe stato Lui (Filippo) che mi avrebbe sollevata e posta delicatamente vicino a sé, per poi partire al galoppo verso il tramonto. Immagine romanticamente idilliaca, per carità, ma estremamente distante dalla realtà. Se il cavallo poteva funzionare bene nell'Ottocento, adesso si speri arrivi in groppa ad una Porsche. Le aspettative sono sempre deluse: sembra quasi che il binomio bello&intelligente non si contemplato da Madre Natura, e spesso e volentieri anche il binomio carino&unminimoastuto. Si scade quasi sempre sul decente&minorato. Ed è vero che non importa che sia ricco, che i soldi non fanno la felicità, ma ovviamente aiutano parecchio.
Poi, il fatto che se un uomo ti tratta male, significa che gli piaci. No, non è assolutamente vero: se noi donne siamo quelle complesse, gli uomini sono quelli troppo semplici. Non ci sono spiegazioni se ci trattano male, se chiedono il numero e poi spariscono, se di punto in bianco non si fanno più vivi. Tutto ciò non è razionale, ma significa solamente una cosa: non gli piacciamo! Se da piccoli il bambino che condivideva il banco con noi ci faceva lo sgambetto ogni volta che passavamo, non voleva attirare la nostra attenzione, giammai. Significava solamente che gli stavamo nettamente antipatiche, che presto ci avrebbe appiccicato la gomma da masticare tra i capelli se non fosse intervenuta la maestra con tempestiva iniziativa.
Le frasi come "tu meriti di meglio, credimi", "noi siamo perfetti l'uno per l'altra, è solo il tempo ad essere sbagliato" e "non i voglio ferire", sono solamente modi eleganti per decretare la fine di un rapporto. Anche la cosiddetta "pausa di riflessione" è solo un espediente per porre fine ad una relazione: chi conoscete che dopo una pausa-di-riflessione, hanno meditato a lungo per poi rimettersi insieme? Ecco, appunto.
È da porre fine anche alla divulgazione di un'altra bestialata: gli uomini si prendono per la gola. E voi dite che se mi presento da uno che mi piace con una teglia di muffins appena sfornati mi propone subito il matrimonio? Questa è un'altra tipica cavolata che si insinua nelle menti delle giovani bimbe per avviarle al fantastico mondo della cucina. Pensando che, se riusciranno a sfornare un arrosto al pari di quello della nonna, si mariteranno quanto prima, le giovani fanciulle ottenebrate dall'immagine del Principe Azzurro, si mettono subito ai fornelli. Risultato? Quei cibi finiranno sul girovita delle fanciulle nella fase della pubertà e sarà estremamente difficile mandare via la componente lipidica in eccesso.
Infine, l'amicizia tra uomo e donna. È possibile, soprattutto se lui/lei è gay o tra i due intercorre un rapporto di parentela, ma anche in altre situazioni è possibile. Che poi questo rapporto possa sfociare nell'amore, è anch'esso possibile; tuttavia, si può avere un amico maschio senza per forza pensare di mettere su casa con lui.
Si tenga presente che tali considerazioni sono state fatte in seguito ad un errato e inappropriato (ma anche mancato!) approccio all'amore da parte mia, ma che talvolta si rivelano estremamente veritiere.
Per altri interrogativi irrisolti rivolgersi alle puntate di Sex And the City, manuale più che esplicativo su ogni comportamento riguardante le relazioni uomo/donna.

Oggi vi propongo la ricetta di un dessert strepitoso, che ho ripreso dal blog di Paoletta, Anice&Cannella. Ho modificato la quantità di colla di pesce, e ho utilizzato i frutti di bosco surgelati, in assenza di mirtilli freschie e/o, nella fattispecie, surgelati. Nessun mito da sfatare stavolta, la torta dà sempre un ottimo risultato, riuscendo sempre fedele alle aspettative: celestiale il contrasto tra la dolcezza del cioccolato e il sapore asprognolo dei frutti di bosco, tra la soffice morbidezza del pan di spagna e la consistenza gelatinosa della bavarese.

Bavarese al cioccolato e frutti di bosco

Ingredienti

per il pan di spagna:
40 gr di tuorli d'uovo
100 gr di albumi
110 gr di zucchero a velo
15 gr di cacao
20 gr di fecola

per la bavarese:
300 gr di frutti di bosco
300 gr di zucchero
17 gr di gelatina in fogli
300 gr di panna montata

per il topping:
150 gr di frutti di bosco
35 gr di zucchero
60 gr di acqua
5 gr di gelatina in fogli

Procedimento

per il pan di spagna:
Montare i tuorli con 40 gr di zucchero a velo.
Montare a neve l'albume aggiungendo 70 gr di zucchero a velo, unire i due impasti e incorporare la fecola e il cacao, amalgamare bene il tutto.
Mettere in una tortiera imburrata e infarinata (io ho usato una tortiera a cerniera di 26 cm di diametro) e cuocere in forno per 15 minuti a 200°. Far raffreddare.
Frullare, con il frullino a immersione, i frutti di bosco con lo zucchero.

per la bavarese:
In una casseruola far bollire 50 gr della salsa di mirtilli ed unire la gelatina in fogli, precedentemente ammollata in acqua fredda. Amalgamare il tutto e aggiungere la restante salsa di mirtilli. Far raffreddare bene il composto e prima che si addensi unire la panna montata, mescolare bene.

Mettere il pan di spagna dentro un cerchio metallico foderato di carta acetata, versarvi la bavarese e mettere a rassodare in frigo. Nel frattempo preparare il topping: far cuocere lo zucchero con l'acqua, unirvi la gelatina in fogli, precedentemente ammollata in acqua fredda, quindi unire i frutti di boscoi. Far cuocere per 3 minuti circa, quindi lasciar raffreddare a temperatura ambiente.

Quando la bavarese è un po' rassodata e il topping è freddo, ricoprire la superficie della bavarese e mettere nuovamente in frigo per due ore.

mercoledì 20 gennaio 2010

Il lupo perde il pelo... - Spirali di sfoglia allo speck


Spirali di sfoglia allo speck, originally uploaded by la tartina.

C'è un confine sottilissimo che separa abitudine, vizio e dipendenza. I limiti che si interpongono tra questi tre concetti che definiscono la climax ascendente verso il male, sono assai sfumati e indefiniti. La parola abitudine deriva dal latino habitudo, e va ad indicare letteralmente una struttura fisica o morale: è infatti un comportamento che assumiamo come automatico in seguito al suo ripetersi nel corso delle nostre esperienze, del nostro vissuto. Per esempio, è un'abitudine entrare dentro l'automobile ed allacciarsi la cintura di sicurezza, senza pensarci. Oppure bere un bicchiere d'acqua appena alzati. Le abitudini possono essere le più disparate; tuttavia, quando assumono connotati negativi, sfociano nel vizio, termine che va effettivamente ad indicare un'abitudine scorretta, maligna. Entrare in un circolo vizioso significa prendere la consuetudine a fare qualcosa di sbagliato, che sappiamo essere sbagliato, ma che ormai facciamo meccanicamente. Quando poi non possiamo fare a meno di quel preciso circolo vizioso in cui siamo entrati, scatta la dipendenza, e allora uscirne fuori è praticamente impossibile. Prendiamo l'alcol, il fumo o il gioco. Una volta che è diventata un'abitudine quella di bere svariate bottiglie tra vino e birra al giorno, quella di consumare circa tre pacchetti di sigarette al giorno, quella di puntare i nostri beni più cari di fronte ad un tavolo da poker, assicurando così un viaggio diretto per la Via del Lastrico, neanche la più grande forza di volontà potrebbe essere d'aiuto. Uscire da una dipendenza è forse una delle prove più difficili, e molte volte non è possibile farcela da soli. Per quanto mi riguarda, vado fiera del fatto di non aver iniziato a fumare: ho provato ad aspirare quel catrame pieno di nicotina e sostanze tossiche, ma proprio no, non fa per me. Innanzitutto non è per niente piacevole, in secondo luogo, l'immagine di due polmoni rovinati dal fumo eccessivo funzionò in me da detrattrice. Il guadagno in salute è certo e, oltretutto, vi è anche un bel risparmio economico. In seconda media, conducendo delle ricerche per il giornalino scolastico sugli effetti nocivi del fumo, riuscii addirittura a far smettere di fumare i miei genitori. Quello è stato uno dei traguardi più soddisfacenti che abbia mai raggiunto: adesso in casa nostra anche solo il fumo passivo (che molti sostengono essere anche più dannoso di quello attivo!) riesce a dare una nota di insopportabile disturbo. Tuttavia, la varietà di vizi che offre il mondo odierno è vasta quanto un campionario di stoffe in merceria. Nascono dipendenze che mai avremmo immaginato potessero esistere. Come quella da caffeina, sostanza facilmente reperibile in caffè, tè, Coca-Cola e bevande energetiche: questa provoca disturbi come ansia, insonnia, flessione dell'umore, confusione mentale e suscettibilità. Oppure la Internet Addiction Disorder (IAD), frutto esclusivamente del nostro tempo, di portatili, PC e palmari. La Internet dipendenza è sempre più diffusa: addirittura negli Stati Uniti ci sono dei veri e propri centri di disintossicamento.La prima spia di allarme si accende quando nel corso della giornata si ripetono continuamente le stesse azioni: controllo della posta elettronica più volte al giorno, troppo tempo passato in chat oppure ricerca di programmi e strumenti per comunicare online sempre più innovativi; la seconda tappa è definita tossicofilia ed è caratterizzata da un tempo sempre maggiore trascorso on-line, anche durante l’orario lavorativo, a scapito di ore di sonno e con un crescente senso di disagio e sofferenza quando si è scollegati, una sensazione del tutto paragonabile a quella dell’astinenza; infine si raggiunge lo stato di tossicomania quando ormai l’ossessione della rete compromette i rapporti interpersonali, quelli scolastico-lavorativi e porta ad un isolamento sociale. E non sono esclusivamente i giovani ad essere colpiti da questo terribile disturbo: ovviamente prevenire è sempre meglio che curare. Le ore consentite davanti al computer sono tre al giorno (io stessa ci trascorro più tempo!), da intervallare con altre attività che esulino dallo stare seduti di fronte ad un monitor. Inquietante è come per alcuni la vita virtuale possa sostituire la vita normale: come rimanere ammaliati da uno smile piuttosto che da un sorriso vero e proprio?

Al posto delle sigarette, vi consiglio invece questi sigari, snack che ho ripreso dal blog Fior di Frolla di Camomilla, gustosi e soddisfacenti per un antipasto o un aperitivo. Attenzione però... creano dipendenza!


Spirali di sfoglia allo speck

Ingredienti per 8 persone

2 dischi di pasta sfoglia fresca già pronta
50 g circa di speck a fette
½ cucchiaino di semi di finocchio
50 g di parmigiano reggiano grattugiato
1 uovo

Procedimento

In un piatto fondo sgusciare l’uovo, sbattendolo con una forchetta e tritare i semi di finocchio nel mixer (o al coltello). Srotolare i due dischi di pasta sfoglia e spennellarli, da un solo lato, con l’uovo sbattuto, quindi disporre sopra ad uno di essi lo speck a fettine e spolverizzare uniformamente con il parmigiano grattugiato e i semi di finocchio. Coprire con il secondo disco tenendo la parte spennellata verso il basso, farlo combaciare perfettamente e premere un poco per farlo aderire.
Utilizzando una rotella tagliapasta ricavare delle strisce larghe 2 cm (non di più mi raccomando) e arrotolarle ciascuna su se stessa in modo da conferirgli una forma a spirale, avendo la premura di creare delle volute molto vicine e strette tra loro. Questo perché durante la cottura la pasta sfoglia gonfiandosi tenderà a distendersi, creando un rigonfiamento piuttosto fastidioso dal punto di vista estetico.
Porle su una placca rivestita di carta da forno e farle cuocere nel forno già caldo a 200° per circa 15 minuti o comunque fino a doratura (se si utilizzano più teglie, infornarne una per volta). Estrarre le spirali dal forno e farle raffreddare bene prima di toccarle per evitare di romperle.

domenica 17 gennaio 2010

... da leccarsi le dita! - Cheesecake di cioccolato al profumo di limone

Non sono mai stata una persona competitiva. Né a scuola, né in ambito sportivo, né in nessun altro luogo. Quando, nel corso di una partita di pallavolo, le avversarie segnavano un punto e mi ruggivano in faccia urla spaventose, io non battevo ciglio e, quasi intimorita, quando arrivava il momento del mio riscatto, mi limitavo a sorridere compiaciuta, come se il punto non l'avessi segnato io, ma una mia compagna di squadra. Quando prendevo un bel voto a scuola me ne stavo zitta, non come quella psicopatica di classe mia (denominata Broccolo per i capelli dalla forma a cavolo bitorzoluto) che sbandierava i suoi 8 e i suoi 9 a destra e a manca, compiacendosi anche per un mezzo voto in più; e quando mi chiedevano "Com'è andata?", io rispondevo sibillina "Bene." Quando l'allenatore mi obbligava a sfogarmi, a mostrare un po' di sana competitività, io, quasi per ripicca, recitavo la parte dell'agnellino votato al sacrificio durante l'allenamento, un anellide senza midollo spinale. Quando una mia idea o una mia proposta si dimostra superiore alle altre, sono solamente contenta di aver trovato la soluzione, non facendolo pesare a nessuno. Diciamo che l'agonismo è cosa che non mi riguarda. Per questo motivo, quando Ele di dEliciously mi ha invitata a partecipare al contest da lei indetto ... da leccarsi le dita!, mi sono trovata un po' spiazzata, come se la cosa non mi potesse neanche riguardare. Però ho visto che la giuria è strepitosa, composta non solo dai migliori foodbloggers in circolazione, ma anche dal Mastro Pasticcere Silvio Bessone. E i premi sono davvero appetibili, tutti strumenti che in cucina sono più che utili. E poi ancora la cara Ele, invitandomi a partecipare, mi ha in qualche modo lusingata, innalzando un po' l'autostima (scarsa) che ho nei miei confronti. Allora mi sono detta: proviamoci. Fin da piccoli ci insegnano che l'importante non è vincere, ma partecipare: sebbene non abbia mai avvertito il livello di adrenalina innalzarsi vertiginosamente in seguito ad una competizione, trovo il contest troppo interessante per rinunciarvi. Le regole prevedono la preparazione di un dolce al cioccolato. Un altro problema, dal momento che il cioccolato mi piace sì, ma non ne vado pazza nei dolci. Preferisco piuttosto addentare una barretta al 70% fondente, invece di un tortino al cioccolato, di un brownie o di un fondant al cioccolato. E, per esempio, la Nutella mi stucca proprio, mi avvolge la lingua e mi impasta tutta. Forse in me c'è qualcosa di geneticamente sbagliato, ma il mio obiettivo era quindi quello di trovare un dolce al cioccolato che non venisse a noia. Beh, direi che l'ho trovato. Il dessert che vi propongo oggi è quello con cui parteciperò al contest. Un dolce non eccessivamente dolce, in cui il Cioccolato fa da padrone indiscusso, ma il cui sapore non stanca; curiosamente piacevole è risultato il contrasto col sapore di limone, agrume che ho usato in sostituzione della solita arancia e che sembra quasi pulire la bocca da ogni sapore precedente; le decorazioni, oltre che esteticamente gradevoli, sono anche davvero buone; mia mamma, che il cioccolato quasi lo detesta, se neè servita ben due fette; ultima cosa, ma non per questo meno importante, oltre al cioccolato presente, la quantità di grassi è ridotta al minimo, quindi ideale per questo periodo post-festività. Tutte valide motivazioni per provare almeno a farlo, no? :)




Cheesecake di cioccolato profumato al limone

Ingredienti

per la base:
200 g biscotti al malto e miele Osvego
80 g burro
2 cucchiai di cacao amaro
per il cheesecake:
300 g ricotta
300 g yogurt greco
3 uova
150 g cioccolato fondente
40 g cacao amaro
120 g zucchero
un limone non trattato sale

per decorare:
un limone non trattato
100 g zucchero
cacao amaro

Procedimento

Tritare i biscotti al mixer e mescolarli in una ciotola col burro fuso e il cacao amaro setacciato. Distribuire il composto sul fondo di uno stampo tondo a cerniera di 24 cm di diametro rivestito con carta da forno, schiacciarlo con un cucchiaio livellandolo e farlo riposare in frigo per 30 minuti.
Tritare il cioccolato e scioglierlo a bagnomaria. Sgusciare le uova e separare i tuorli dagli albumi: montare i primi con lo zucchero e i secondi con un pizzico di sale. Mescolare la ricotta e lo yogurt con il composto di tuorli, il cioccolato fuso, il cacao, la scorza grattugiata del limone e gli albumi montati e versare il tutto nello stampo.
Cuocere il cheesecake nel forno caldo a 150° per 55 minuti circa. Toglierlo dal forno, metterlo nel frigorifero e lasciarlo raffreddare per almeno 2 ore.
Per la decorazione, tagliare il limone a fettine sottili, quindi cuocerle per 10 minuti a fuoco basso in uno sciroppo fatto con 1 dl di acqua e lo zucchero. Disporre le fettine sul dolce, precedentemente spolverizzato di cacao amaro.

venerdì 15 gennaio 2010

De gustibus - Minestrone di riso


Minestrone di riso, originally uploaded by la tartina.

Mano a mano che si cresce cambiano, a seconda di più fattori (quale l'ambiente, la società, la nostra stessa indole), il nostro carattere, il nostro modo di fare, i nostri desideri e i nostri gusti. Magari ci può dare noia quel profumo di gelsomino che prima ci faceva andare fuori di testa (e per la bontà, e per l'intensità). Oppure potremmo arrivare ad odiare la sciarpa realizzata ai ferri che nostra nonna ci regala ad ogni Natale, quella stessa sciarpa che prima ci sembrava adatta ad ogni occasione (per "ogni occasione" leggesi: scuola - casa - casa amico). Interessanti sono le modificazioni che subiscono i nostri gusti nel vero senso del termine: i gusti che riguardano il palato, la ptialina e la pepsina, per capirsi. Per esempio, all'età di 3 anni, feci un'indigestione di pesce al ristorante: ne mangiai a quintali, cosa rara per una bimba così piccola. Addirittura - mi ricorda mia mamma, che chiamavo il cameriere Tato!, aspettando che mi portasse vassoi di cozze e gamberoni. Fatto sta che le cozze appunto, ed il pesce in generale, mi vennero a noia, tanto che ho imparato ad apprezzare nuovamente il pesce solamente verso i 14 anni. Tutt'oggi le cozze non sono tra i miei molluschi preferiti. Oppure lo yogurt. Da piccola odiavo quella cremina fatta di fermenti lattici vivi, la mia bocca si contraeva in smorfie di disgusto e rendevo impossibile l'accesso del cucchiaino alla mia cavità orale. Oggi non ne potrei fare a meno, proprio di quello bianco, acido quanto basta e sfondo ideale per mille sapori e ricette. E ancora la frutta. Mentre non facevo storie per spinaci, piselli e carotine, non potevo sopportare buccia e polpa neppure della mela! Adesso invece mangio almeno 5 frutti al giorno. E l'uvetta? Era bandita dalla mia fetta di panettone! Adesso la mangerei anche disidratata. Insomma, direi che i miei gusti hanno subito dei sostanziali cambiamenti: rimanendo invariata però la mia passione per pasta&pizza, ne è rimasta anche un'altra che ha origine al tempo della scuola dell'infanzia. Tra i piatti della mensa che mi facevano letteralmente andare fuori di testa, infatti, c'era la zuppa di fagioli. Nonostante il cibo alla scuola materna fosse a dir poco disgustoso (pasta con pomodoro il cui spiccato colore rosso non andava via dalle boccucce dei bambini neanche in seguito a 3 bagni consecutivi; polpettine di pesce dall'odore nauseabondo) e mangiassi comunque tutto (o quasi) per necessità, la minestra di fagioli, coi ditalini di pasta e quel brodo denso e aranciato, mi faceva impazzire: arrivavo alle tre scodelle senza colpo ferire. Quando me la preparava mia mamma poi, anche meglio! Ecco, quel gusto cremoso fagioli, carboidrati e soffritto, seppur costituiscano un piatto povero, mi lascia sempre estremamente appagata. Un cibo che solitamente i bambini detestano e che io invece adoravo, è quello del minestrone. Alla mensa lo servivano col riso, creando una specie di pappone simile per aspetto al cibo per cani, ma di sicura riuscita. E allora ho pensato, in questo periodo detox di purificazione, perché non creare un ibrido che raccogliesse i sapori dell'infanzia, quelli che non verranno mai e poi mai a noia? Partendo dalla ricetta di base del minestrone di mia mamma (ottimo anche senza nessuna aggiunta, per scaldarsi la sera d'inverno o come primo piatto per pranzo), ho aggiunto riso e fagioli, ottenendo un piatto caldo e goloso, una coccola per il palato nelle sere invernali.


Minestrone di riso, verdure e fagioli

Ingredienti per 4 persone

per il minestrone:
1 cipolla
2 carote
2 coste di sedano
1 pomodoro
5 foglie di bietola
1 cespo di spinaci
versione autunno/inverno: 5 cimette di cavolfiore
5 cimette di broccoli
alcune foglie di cavolo nero
versione primavera/estate: 3 zucchine
1 hg piselli

150 g fagioli zolfini del Pratomagno o cannellini o dall'occhio
320 g riso Arborio

olio extravergine di oliva
sale&pepe q.b.


Procedimento

per il minestrone:
Tagliare le verdure a dadini.
versione saporita: sul fondo della pentola far appassire la cipolla in poco olio, aggiungere quindi le carote, il sedano e i pomodoro e, dopo 2 minuti circa, le altre verdure insieme a 2 litri circa di acqua. Salare e far bollire a fuoco moderato per 30 minuti.
versione leggera: far bollire in 2 litri di acqua tutte le verdure per 30/35 minuti circa.
(Se non si vuole aggiungere riso e fagioli, servire caldo con scaglie di parmigiano e un filo di olio a crudo.)

Portare il minestrone ad ebollizione ed aggiungere anche il riso. A dieci minuti dalla fine della cottura del riso, unire anche i fagioli precedentemente cotti.
Mantecare unendo del parmigiano reggiano grattugiato ed un filo d'olio a crudo, quindi servire. Se piace, aggiungere una spolverata di pepe nero macinato.

martedì 12 gennaio 2010

Sei già dentro l'happy hour - Frollini al parmigiano


Frollini al parmigiano, originally uploaded by la tartina.

Ultimamente, accanto al culto per i nuovi prodotti Apple e al culto per Quattro Salti in Padella, si può riscontrare in Italia una veneranda adorazione per il culto dell'aperitivo. Ritrovarsi prima di cena con gli amici in un locale a corroborarsi lo stomaco con bevande analcoliche o poco alcoliche (come Spritz, Campari, Negroni) e a sollecitare appetito e salivazione con stuzzichini di ogni genere, sta diventando una vera e propria abitudine tra gli italiani e gli europei. Va specificato che l'aperitivo è un rito già diffuso in città come Torino, Genova, Firenze, Napoli e Milano alla fine del 1800 e che nasce a Torino grazie alla produzione di Vermouth da parte di Antonio Benedetto Carpano. Vermouth e spezie, ossia il progenitore del tanto amato moderno Martini. Oggi si utilizza impropriamente in Italia il termine Happy Hour (traduzione letterale: l'"ora felice") per andare ad indicare quest'attività: in realtà il termine si riferisce ad una promozione delle vendite diffusa nei territori anglosassoni, per attirare clientela nei pub ed indica l'offerta di consumazioni a prezzo ridotto (bevi 3 paghi 2, per capirsi). Ovviamente questa pratica solleva critiche, poiché si pensi incentivi al consumo dell'alcol; tuttavia, dico io, sempre meglio che in Italia, dove l'aperitivo sta diventando sempre più costoso ed elitario. Il prezzo dei cocktail è direttamente proporzionale all'eleganza del locale prescelto, mentre l'abbondanza del buffet è inversamente proporzionale. Sempre più frequenti sono drink stipati in bicchierini da flebo e un misero parco di finger food: per carità, davvero carini, ma alquanto miseri! Proprio per questo motivo, spesso e volentieri, un ricco aperitivo sostituisce la cena vera e propria. Ci si sceglie un locale che offre un'ampia varietà di invitanti stuzzichini, si spende 5 euro e ci si assicura un pasto completo. Molti locali, astutamente, stanno facendo la loro fortuna con questo metodo: offrono teglie di pastasciutta calda, crostini di ogni tipo, frittelline e a volte anche dolci, in aggiunta alle patatine e olive verdi di consuetudine. Invece della cena in pizzeria o al ristorante si preferisce l'"aperi-cena", più veloce ed economico. Io adoro stuzzichini e cibi da mangiare in un sol boccone! Comunque sono consapevole che un'alimentazione condotta così non gioverebbe a nessuno stomaco, neanche a quello più forte. I finger food offerti da bar e pub sono sì invitanti di aspetto e odore, questo non lo metto in dubbio, ma preparati con chissà quali ingredienti e chissà in quale modo! Sicuramente poi, i salatini e le leccornie che rimangono intatti, vengono riutilizzati anche il giorno dopo, magari apportando delle modifiche (il sughetto dei crostini può essere tranquillamente utilizzato, dopo un'opportuna scaldatina, come condimento per della polenta). Non è tutta questa salute, diciamo, ma una volta a settimana si può anche fare. Ci guadagna il portafogli e, in compagnia, tutto acquista un altro sapore. Ah, i miei stuzzichini preferiti? Le tartine, ovviamente, magari accompagnate da un bel Cosmopolitan alla Carrie Bradshaw.

Oggi vi propongo la ricetta di un ottimo e versatile finger food appunto, tratta dal blog Anice&Cannella, ormai una garanzia in termini di successo. Sembra quasi di addentare un pezzo di formaggio reggiano, e le spezie prescelte contribuiscono ad insaporire questi biscottini salati che si conservano perfettamente rinchiusi in una scatola di latta.


Frollini al parmigiano

Ingredienti

80 g burro
125 g farina 00
100 g Parmigiano Reggiano grattugiato
sale&pepe q.b.
1 pizzico di zafferano in polvere

per decorare:
1 uovo
pinoli, gherigli di noce, cumino, peperoncino, pepe nero, pepe rosa, pepe di Sichuan, origano...

Procedimento

Mettere insieme in una ciotola la farina, lo zafferano, il burro a temperatura ambiente, sale e pepe. Impastare con le dita fino a quando l’impasto non diventerà liscio e senza grumi. Aggiungere il parmigiano e impastare ancora fino ad amalgamare completamente gli ingredienti. Stendere l’impasto con un matterello e ritagliare tanti frollini di diverse forme. Spennellare con l’uovo sbattuto e spolverare la superficie con le spezie prescelte, o decorandola con pinoli o noci. Disporre i frollini su una teglia foderata con della carta da forno ed infornare in forno caldo a 180º per 10 minuti. Farli raffreddare su una griglia.

domenica 10 gennaio 2010

Ci vuole un fisico bestiale - Barrette ai cereali e frutta secca

Da piccola avevo una strana fobia: quella di fare la doccia. Non pensate che volessi andare in giro come una tartina puzzolente, affatto! Piuttosto, mi rifiutavo di lavarmi se non immersa in una vasca di acqua calda con una enorme quantità di schiuma prodotta da saponi profumati (tanto meglio se colorati, o dalla confezione a forma di Sirenetta Disney). Potevo passarci anche le ore, in quella vasca, fino a quando i miei polpastrelli, raggrinziti perché immersi per troppo tempo in una soluzione ipertonica, imploravano pietà, oppure l'acqua diventava fredda ed ero costretta ad uscire, invocando l'aiuto della mia genitrice (ci leggevo anche, nelle vasca). Urli e strepiti erano riservati invece al tentativo di infilarmi sotto la doccia: ne avevo paura ancor prima di vedere il film horror IT, senza un razionale motivo. Fu allora che mia mamma pensò bene di togliermi questa paura di dosso e, ricorrendo ad un rimedio drastico così come aveva fatto col ciuccio (mi fregò dicendomi che un topino ci aveva fatto sopra la pipì: io, anche se di pochi mesi, ero già così tanto schifiltosa che lo abbandonai subito), pensò di tagliare la testa al toro iscrivendomi ad un corso di nuoto. Ebbene sì, nonostante la mia idrofobia, alla graziosa età di 3 anni, mi ritrovai scaraventata in una vasca troppo grande e troppo alta per la mia costituzione fisica, con tanto di doccia obbligatoria al termine del corso. La trovata di mia madre, non senza evidenti traumi, funzionò: non solo superai la mia avversità verso la doccia (che adesso addirittura prediligo al bagno nella vasca), ma detti anche l'inizio ad una duratura carriera sportiva. Dopo averci insegnato a fare la "stellina" e il "morticino" in acqua (odiavo la stellina, nonostante il macabro nome dell'altro esercizio acquatico), l'istruttore ci buttò nell'acqua alta, armandosi di bastone a cui farci attaccare nel momento in cui avessimo presentato delle difficoltà (di movimento e respiratorie, presumo). A 7 anni facevo le vasche con i ragazzini di 11, ed ero contenta di quel doppio impegno settimanale, che comportava anche l'utilizzo di una cuffia di una plastica così rigida e poco elastica da far lacrimare dal dolore quando, al momento della sua collocazione o rimozione dal cranio, entrava in contatto col cuoio capelluto. Mia mamma era realizzata per questa mia attività sportiva che dicono faccia tanto bene ai bambini in quanto forma il fisico (come no, grazie al nuoto adesso mi ritrovo le spalle di un giocatore di rugby con divisa e due polpacci come due palloni aerostatici); mio padre pure era felice, meno che quando doveva sorbirsi l'afa collosa e umidiccia dell'edificio, ragazzini urlanti e tutto quanto comportava lo sport praticato. All'età di 9 anni cominciarono ad avanzarmi proposte sul nuoto agonistico: sapendo quanto mi avrebbe impegnato e non volendo passare la mia vita, appunto, in una piscina, declinai l'offerta, e continuai a fare vasche su vasche senza pretese di agonismo. A 10 anni questa situazione cominciò a starmi stretta: soprattutto, non riuscivo più a sopportare quella sensazione di solitudine che comporta il nuoto. Quando nuoti ci sei solo tu e la vasca (o tu e il mare, o tu e il fiume ecc.). Avevo voglia di interagire, di parlare e non di boccheggiare, insomma di un gioco di squadra. E così, senza neppure avere imparato a fare la capriola sott'acqua (tutt'oggi ne sono incapace), sulla scia del cartone animato Mila&Shiro tanto in voga quegli anni, mi buttai a capofitto nella pallavolo. Il mio rapporto con la pallavolo è durato ben 8 anni. 8 anni di partite, di trasferte interregionali che facevano perdere giornate intere, allenamenti massacranti 4 volte a settimana (manco fossi stata in serie A o in uno squadrone importante, cioè) a cui dovevo presenziare per forza, cognome più volte storpiato dall'arbitro di turno, allenatori vari solitamente uno peggio dell'altro, tifo da stadio, pressione, sudore; ma anche soddisfazioni in caso di vittoria, risate, adrenalina a fiumi e sensazione di dominare il mondo dopo un punto conquistato. Ebbi il ruolo di centrale: potevo sfruttare la mia altezza per schiacciate potenti e muri ben solidi. Sono stati begli anni, a volte il gioco della pallavolo mi manca proprio; tuttavia sono stati ben più i sacrifici che ho dovuto fare, soprattutto quando mi chiamavano a giocare partite anche in categorie più alte della mia. Due partite alla settimana, allenamenti distruttivi, tante pretese e aspettative che non dovevano essere deluse, e le compagne di squadra più grandi che guardavano dall'alto in basso o che non passavano mai la palla. Quando, in seconda liceo classico, il carico di studio stava diventando esageratamente improponibile e il mio entusiasmo verso questo sport era anche decisamente calato, decisi di abbandonare il team. Pur di non restare in panciolle però, mi iscrissi ad un corso di fit-boxe in palestra, che ho praticato per un anno. Di sicuro era ottimo per scaricare stress e nervosismo, ma mi riduceva in condizioni pietose le nocche delle dita (nonostante usassi le fasce di protezione) e le mie compagne di corso erano tutte over 30. Insomma, un anno di saltelli, ganci e destri al ritmo di canzoni dai ritmi più che incalzanti, un'autodifesa sicuramente migliorata e smisi anche la fit-boxe. Complice della scelta, anche l'ingresso all'ultimo anno di liceo con esami di maturità incombenti e un acuto disprezzo e disgusto maturato verso l'ambiente della palestra. Palloni gonfiati fissati col fisico, ragazze anoressiche che si sfinivano sulla cyclette, discorsi su quanto è buona la carne e su quanto fanno bene le proteine in dosi industriali, i soffitti bassi che davano un senso di oppressione, l'odore certamente non dei migliori quando arrivavo io a fine pomeriggio, l'obbligo di essere sempre tirati/truccati/impeccabili e la mia insegnante che mi propinava sempre come compagno di sacco il più inabile alle cui mancanze dovevo sopperire io da sola. Dopo 16 anni di sport ininterrotti, il vuoto: niente yoga, niente ginnastica, niente capoeira o pilates. Comunque sia, poiché sono consapevole dell'importanza di un'attività fisica costante, cerco di condurre in ogni caso una vita attiva e abbastanza frenetica; quando posso, vado a camminare nella campagna desolata che circonda casa mia (ho letto che camminare ad una velocità abbastanza sostenuta è migliore persino di una corsa). E poi ci sono sempre ditness e click del mouse: richiedono poco sforzo e non costringono neanche ad una doccia forzata!

Ideali prima o dopo un'attività sportiva, sono le barrette che vi propongo oggi. La ricetta è tratta dal blog Meringhe alla Panna (ho apportato però delle modifiche sulla scelta degli ingredienti), ed è davvero ottima: sono buonissime a colazione o a merenda, o come spezza-fame. Anche per chi non fa sport ;)


Barrette ai cereali e frutta secca

Ingredienti

80 g zucchero di canna
80 g miele d'acacia
90 g burro
150 g fiocchi di riso e frumento integrale*
50 g uvette
30 g granella di nocciole
50 g semi di girasole
70 g semi di sesamo
1 pizzico di sale

Ingredienti

In un pentolino, far fondere il burro con il miele e lo zucchero, mescolando in continuazione fino a che lo zucchero si sarà sciolto. In una ciotola capiente mescolare i cereali, l'uvetta fatta precedentemente ammollare in acqua tiepida, la granella di nocciole e i semi di sesamo, unendo anche un pizzico di sale. Unire nella ciotola anche il composto di burro, zucchero e miele e mescolare bene. Versare in una teglia rettangolare rivestita da carta da forno il composto e infornare per 35 minuti in forno preriscaldato a 180°. Lasciare raffreddare completamente, quindi tagliare le barrette della forma prescelta. Si conservano rinchiuse in una scatola di latta anche a lungo; si possono rivestire di carta stagnola per portarle e sgranocchiarle dove vogliamo.

*si può scegliere di mettere anche granella di pistacchi, cocco disidratato o muesli, l'importante è che il peso tra cereali e frutta secca sia sempre di 350 g circa; si può aggiungere, se piace, anche un pizzico di cannella

venerdì 8 gennaio 2010

Il gioco della torre - Torrette di pera e caprino


Torrette di pera e caprino, originally uploaded by la tartina.

Chi butto giù, chi rimane su, chi resta in bilico?

Bianco o nero? Nero sta su, che affina e sta bene con tutto e in ogni occasione...
Britney Spears o Lady Gaga? Spingo giù BrUtney, che non è più la ragazzina con le treccine che improvvisava balletti scatenati per i corridoi del liceo. Invece dicono che Lady Gaga sarà l'icona della prossima generazione (speriamo di no, oppure ci sarà un'invasione di reggiseni a forma di cono fluorescente e parrucche biondo platino)!
Jude Law o Ewan McGregor? Butto giù Ewan con grande rammarico, ma Jude è il Principe Azzurro. Se non ci credete guardate "Alfie", e poi riditemelo.
Carne o pesce? Tengo il pesce. Per la mia lunga dissertazione su "carne sì, carne no, carne boh" si legga il post precedente a questo.
Topolino o Paperino? Il topastro saputello è da schiacciare, preferisco lo sfigatissimo papero che un po' rappresenta ognuno di noi!
Estate o inverno? In bilico, in assoluto preferisco autunno&primavera.
Cioccolato al latte o fondente? Butto giù (nel mio stomaco, stavolta) quello nero al 70%.
Macbook o PC? Mac tutta la vita! Mi sono convertita a questo elegante oggettino candido da circa un mese e non me ne potrei più separare! Quasi quasi mi faccio tatuare la mela morsicata Apple sul braccio. (ma anche no)
Sex&TheCity o Desperate Housewives? Butto giù le casalinghe disperate, con grande dispiacere (soprattutto per i muffins di Bree e le gaffes di Susan), ma la crew migliore di tutti i telefilm è senza dubbio quella capeggiata da Carrie.
Biscotti o muffins? Questi dolcetti stanno sospesi, equi per personale indice di gradimento. Ciascuno può essere realizzato in forma dolce o salata, e adoro sia la morbida consistenza dei muffins, sia la fragrante croccantezza dei biscotti.
Automobile o moto? Tengo ben piazzato il sedere sul sedile dell'automobile, non sono una centaura :P
Glamour o La Settimana Enigmistica? Scontro difficile: tengo la prima sul comodino e la seconda al bagno. Riviste indispensabili.
Cane o gatto? Sperando che non si faccia troppo male, butto giù il cane e tengo il gatto, opportunista ed approfittatore di fama, ma lurido e tenero quando si spalma tra le gambe facendo le fusa o quando si accoccola in grembo sonnecchiando.
Carla Bruni o Michelle Obama? Questa è difficile, le adoro entrambi a loro modo. Michelle, sicuramente anticonvenzionale, determinata e con una grande tempra morale. Carlà, elegante e raffinata, astuta e affascinante. Pari.
Chanel o Dior? Tengo Chanel: per Coco, per il tailleur e per le famosissime tracolle trapuntate.
Biondo o moro? Ovviamente, ben venga in ogni modo, ma moro lo preferirei.
Facebook o Twitter? Butto giù l'uccellino di Twitter, ancora resto fedele al social network di Mark Zuckerberg.
Antonella Clerici o Elisa Isoardi? Tengo Antonellina, quei dieci chilogrammi in più di simpatia fanno la differenza!
Londra o Parigi? Impossibile per me scegliere, sono profondamente legata ad entrambe le capitali: alla metropoli piovosa, caotica e all'avanguardia e a quella romantica, tranquilla e raffinata. 1 a 1.
Griffin o Simpson? Faccio grasse risate guardando tutti e due i cinici cartoni animati, ma dico Simpson: lunga vita a Matt Groening e alla sua gialla famiglia!
TV o Internet? Butto giù l'unica TV che ho in casa, e che si sfracelli ben bene: programmi-spazzatura, notizie-spazzatura, un'immenso bidone insomma (le stesse notizie preferisco leggerle sul web, piuttosto che guardare i pietosi telegiornali odierni, in grado di raccontare "fischi" per "fiaschi" e sicuramente più concentrati sui trend del momento che sui reali problemi della nostra penisola).
Mare o montagna? Non mi entusiasma nessuno dei due, sinceramente preferisco le città, italiane e non.
Gonna o pantaloni? Servono tutti e due: la prima per la sera, i secondi per ogni giorno. O viceversa ;)
Rock o pop? Rock, tutta la vita.
Pappa o ciccia? Beh, tutti e due, no? :)

Sulla torre che vi propongo oggi, stanno tutti su, sia la pera, sia il formaggio. La ricetta l'ho presa dal blog FiordiFrolla di Camomilla, eliminando però la pasta sfoglia. Il risultato è eccellente: un antipasto leggero e dal gusto sublime (un po' meno l'odore).


Torrette di pera e caprino

Ingredienti per 4 persone

2 pere William
200 g di caprino fresco (meglio ancora chévre semi-stagionato)
il succo di 1 limone
30 g di burro
noce moscata q.b.
pepe bianco
sale

Procedimento

Lavare le pere, sbucciarle e privarle del torsolo lasciandole intere. Tagliarle quindi in modo da ottenere delle rondelle e trasferirle in un piatto irrorando con il succo di limone per non farle annerire. Scolarle e farle dorare in una padella antiaderente nella quale fare precedentemente fondere il burro, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno per non farle attaccare. Quando saranno ben rosolate, salare, pepare e cospargere con noce moscata grattugiata. Tagliare il caprino in dischetti più grandi e più piccoli.
Montaggio: disporre su una leccarda ricoperta da carta da forno le rondelle più grandi di pere e sormontare con una fettina di caprino, quindi di nuovo una rondella più piccola di pera e infine un piccolo pezzo di caprino. Infornare in forno preriscaldato a 200° per 5 minuti circa. Servire le torrette calde.

mercoledì 6 gennaio 2010

Di bacche e di ghiande vive l'uomo - Agnello con carciofi


Agnello con carciofi, originally uploaded by la tartina.

Tra dieta mediterranea, dieta a zone, dieta dell'acqua e dell'aranciata, diete anomale che spuntano ogni giorno, viene da chiedersi quale sia effettivamente l'alimentazione che più si confà alla nostra specie. La questione si traduce nella più semplice domanda: l'uomo è carnivoro o erbivoro? Innanzitutto, non abbiamo la dentatura e lo stomaco degli erbivori, che hanno nel loro intestino un batterio - di cui noi non siamo provvisti, che trasforma in zuccheri semplici la cellulosa delle piante. Quindi, non siamo erbivori, ma neppure carnivori: questi, infatti, hanno un’acidità epatica almeno 10 volte superiore alla nostra per poter digerire la carne anche cruda, certamente più ricca di sostanze utili, in particolare le vitamine. Inoltre hanno l’intestino più corto e questo consente alla carne di non sostare a lungo, evitando così di fermentare e produrre sostanze tossiche puzzolenti; inoltre non potremmo cibarci di sola carne, cosa invece è consentito ai carnivori. Superfluo dire che, oltretutto, non abbiamo le caratteristiche fisionomiche né degli erbivori (sempre di carattere mite e passivo, privi di segni di aggressività), né dei carnivori (artigli robusti e molto sviluppati, becco adunco o canini enormi, vista e olfatto acutissimi, scheletro e muscoli adatti allo scatto e alla corsa veloce, mandibole potenti per stritolare non solo carni e tendini, ma anche le ossa). A questo punto sembrerebbe scontato collocarci nella grande categoria degli onnivori. E invece no, mi dispiace deludervi: anche gli onnivori, come la volpe o l'orso, conservano molti segni esteriori della loro vocazione predatoria, tra cui artigli acuminati e un comportamento aggressivo, rivelandosi più vicini ai carnivori che non all'uomo. Sconvolgente venire a conoscenza della verità: l'uomo è un frugivoro. Ebbene sì: la Specie per antonomasia, l'uomo, il Signore della Natura, a tavola si dovrebbe sedere vicino a scoiattoli e bertucce, a sgranocchiare semi e noci. Infatti la stessa mano dell’uomo, con pollice ed indice opponibili, prensile come nei primati e in alcuni roditori, sembra anatomicamente modellata su un pomo: è (era) il mezzo migliore per afferrare e cogliere frutti. Inoltre la stazione eretta non ci avvantaggia nell’inseguimento degli animali. Ma è il nostro apparto masticatorio e digestivo a dare il definitivo colpo di grazia alle assurde teorie dell’onnivorismo umano. I nostri canini sono piccoli e inadatti per strappare le tenaci cerni crude; gli incisivi con cui si addentano i frutti sono, al contrario, molto evidenti e forti; i premolari ben sviluppati, sono adatti a spezzare gusci, mentre i grandi molari piatti servono a macinare accuratamente semi e grani duri. La mandibola inferiore rientrante e capace di masticazione laterale è indispensabile all’attività molitoria e le ghiandole salivari sono grandi e sviluppate, adatte a trasformare e predigerire mediante la ptialina grandi quantità di amidi. Inoltre, lo stomaco dell’uomo è debole e secerne poco acido cloridrico (10 volte in meno rispetto ai carnivori e onnivori). Il fegato umano riesce a deamidare gli aminoacidi fino all’urea, ma non ce la fa a neutralizzare l’ammoniaca prodotta dalla digestione della carne. Basta pensare poi al fatto che l'uomo primordiale si alimentava soprattutto di bacche, frutti di ogni tipo, semi, granaglie e, in minore misura, di radici e germogli. La carne degli animali fu scoperta come alimento in un secondo tempo, dopo la conquista di grandi aree geografiche o di importanti cambiamenti geologici e climatici. Comunque le carni furono sempre un cibo raro, sporadico, eventuale, rituale, festivo. L’uomo è nato ed è cresciuto frugivoro. Ma quello che è più interessante è l’atteggiamento psicologico ed istintivo verso il cibo: i veri onnivori e carnivori, quando sono affamati sono attratti istintivamente dalla vista di animali e carogne che vedono come cibo immediato. Questo non accade mai all’uomo, neanche ai rari bambini cresciuti allo stato selvaggio. Persino un uomo “carnivoro”, se ha fame, è più probabile che sogni un piatto di pastasciutta o una torta, piuttosto che una fettina di manzo. La fame, del resto, è un fenomeno chimico originato proprio dalla carenza di carboidrati, non di proteine della carne. I bambini piccoli, lasciati soli, ruberanno marmellata, bignè e ciliegie; mai un piatto di carne. E non si sogneranno mai di uccidere Fuffi, il gattino di casa, per mangiarselo. Come se non bastasse poi, per esser più appetibile, la carne deve essere salata, supercondita, speziata, ricoperta di salse e aromi che nascondano alla meno peggio il sapore del cibo cadaverico. La stessa gastronomia usa nascondere con artifici di ogni tipo (impanatura, vitello tonnato, pizzaiola) il gusto e l’odore della carne cruda che diversamente non sarebbe accettata da noi. Insomma, secondo le ricerche scientifiche, è possibile mangiare con gusto e vivere in modo sano anche privandosi della carne. Tuttavia vanno conosciute proprietà e regole di un regime vegetariano, e anche le controindicazioni che ne possono derivare se non si sostituisce al meglio la carne e le importantissime sostanze nutritive di cui è disposta. Io ammiro decisamente chi riesce a condurre un regime vegetariano, per più motivi: non solo per il rispetto degli innocenti animali che ci circondano, ma anche perché il vegetarismo riduce i rischi di sovrappeso, vecchiaia precoce, stitichezza, reumatismi, diabete, disturbi del fegato, digestivi e renali, cardiopatie e tumori, aiutando anche l'efficienza fisica. Per quanto mi riguarda, però, cerco di mangiare carne 2 o 3 volte a settimana, privilegiando quella bianca, meno ricca di tossine e più "salutare" dal punto di vista commerciale. In ogni caso, non ce la farei mai ad eliminare la carne dalla mia dieta: cotta a puntino e con i giusti condimenti, direi che diventa più che apprezzabile.

A suggello del post, vi lascio oggi la ricetta di un secondo piatto gustoso (a detta altrui, a me il sapore dell'agnello proprio non piace!) e di buona riuscita, sicuramente detestato dai vegetariani, ma osannato dagli altri carn... ehm, frugivori.


Agnello con carciofi

Ingredienti per 4 persone

100 g agnello in pezzi
50 g prosciutto crudo
6 carciofi
mezza cipolla
1 spicchio d'aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
poco succo di limone
olio extravergine di oliva
2 cucchiai di brodo (anche vegetale)
un ciuffetto di prezzemolo tritato
sale, pepe

Procedimento

Tritare l'aglio, la cipolla e il prosciutto e rosolarli nell'olio. Unire l'agnello e cuocere a tegame coperto, fino a farlo dorare. Bagnare con il vino, farlo evaporare ed aggiungere i carciofi puliti e tagliati a spicchi. Salare, pepare e cuocere a duoco medio, bagnando il tutto con il brodo. A cottura ultimata unire il prezzemolo tritato ed il succo di limone, quindi mescolare bene e servire.

sabato 2 gennaio 2010

Anno nuovo, vita...? - Cavallucci


Cavallucci, originally uploaded by la tartina.

Primo post del primo mese dell'anno nuovo. Non mi colloco né tra quelli del club New year, same old shit (una forma un po' meno elegante di "Anno nuovo, vita vecchia"), né tra quelli eccessivamente esaltati per la sostituzione del calendario in cucina. La vita è sempre la stessa, questo è ovvio; tuttavia, c'è in me una sorta di aspettativa in un qualche reset, come se cambiare anno equivalga a voltare pagina. A ricominciare. I famosi buoni propositi, il più delle volte, si esautorano una volta fatti: pensare positivo e ottimisticamente, per esempio, sarà facile finché capiterà una di quelle giornate-no che ti fanno pensare che qualcuno ce l'abbia con te e te la voglia far pagare. Insomma, i buoni propositi a mio parere rimangono tali: solamente con un cambiamento radicale può avvenire la Svolta che andavamo cercando nella nostra vita. La Svolta però, si può avere anche il 21 marzo, con l'equinozio di primavera, oppure in piena estate, oppure a metà dicembre, non necessariamente comincia con l'anno nuovo - come la dieta, voglio sfatare il mito che deve essere cominciata di lunedì (e per questo assurdo motivo, continuamente rimandata). Anzi, i buoni propositi tendono di solito a fallire miseramente, e questo comporta un dilagante senso di sfiducia verso le nostre potenzialità che è bene non incrementare; il trucco è scegliere propositi di standard basso, facilmente realizzabili, non quelle chimeriche utopie che solitamente mettiamo nella lista delle cose-da-fare. Nonostante tutto ciò che comporta stilare progetti per il 2010, i primi giorni dell'anno ci incentivano comunque ad essere persone migliori, a partire col piede giusto, per capirsi.
Che cosa propone, quindi, il Signor Duemiladieci?
Nel mondo della moda e dello spettacolo, sembra alzarsi una protesta contro Photoshop: un Basta pronunciato in coro a fotoritocchi eccessivi, make-up virtuali, eccessivi dimagrimenti, imperfezioni occultate. Inoltre, nelle copertine di questo gennaio, sembrano più frequenti fotografie scattate a modelle plus-size. Un nuovo anno all'insegna di immagini reali e non modificate? Sembra impossibile, penso che questo sia proprio il classico buon proposito che non verrà rispettato.
Con l'anno nuovo, gli italiani si ritroveranno costretti a stare attenti al loro portafogli più di quanto non debbano farlo adesso: secondo un'indagine di Federconsumatori-Adusbef, l'esborso aggiuntivo sarà di 596 euro a famiglia, tra bolletta della luce e dell'acqua, canone Rai, rate dei mutui, carburanti e ricorso al Giudice di Pace per multa. La ripresa economica tanto proclamata, sembra essere decisamente lontana, nonostante la televisione e i politici ci vogliano convincere che "la crisi è scongiurata". Come possa essere accaduto in un anno, sembra inspiegabile, a meno che non sia avvenuto il miracolo.
L'eta pensionabile per le donne passa dai 60 ai 61 anni: la mèta da raggiungere è quella dei 65, nel 2018. Ci si chiede se si arriverà a morire sul posto di lavoro. La risposta è sì.
Si prevedono inoltre maggiori iscrizioni alle scuole italiane: classi più affollate, dispersione, stress di alunni ed insegnanti, e ci si chiede chi abbia veramente voglia di lavorare, sia nel corpo Studenti, sia nel corpo Docenti. Arduo è capire dove verranno piazzati tutti questi studenti in più, visto che già oggi gli edifici scolastici italiani non sono attrezzati e/o adeguati.
Il premier promette invece di attuare delle riforme entro la fine del 2010: c'è quanto mai da temere, visto che purtroppo i propositi di Papi solitamente (ed inspiegabilmente) trovano tutti un compimento.
Sul fronte salute, i cardiologi europei chiedono la legge antifumo (divieto di fumare nei luoghi pubblici) per tutti i Paesi europei. Questo sarebbe proprio un bel traguardo, anche se, nonostante la legge sia attiva qui in Italia, ogni volta che passo una serata in un locale chiuso, c'è chi inevitabilmente fuma dentro senza essere punito. Il giorno dopo, mia madre si lamente per i miei abiti impregnati, necessariamente da lavare.
Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo, scelgo un proposito quanto meno realizzabile, e sicuramente buono: provare a preparare, entro la fine dell'anno appena cominciato, i celeberrimi macarons, dolcetti golosi ed accattivanti d'aspetto (forse più scenografici che realmente buoni) che, l'anno scorso, impazzavano in ogni foodblog italiano e non. Non mi sono mai presa la briga di aspettare che invecchiassero gli albumi, di pesarli, di comprare un termometro da cucina e di pensare a che gusto realizzare la ganache. Prometto che entro dicembre ci provo (voi mi sarete testimoni!).

La prima ricetta dell'anno è quella dei cavallucci, dolcetto tipico di questo periodo di origine senese. Pensando di non riuscire nell'impresa, sono rimasta piacevolmente sorpresa quando aspetto, gusto, forma e profumo dei suddetti ha evocato in me il ricordo di quelli che da piccola mi facevo comprare al forno (quelli home-made però sono meno duri e anche più buoni!). La ricetta che ho utilizzato è quella di Paoletta del blog Anice&Cannella, a cui ho apportato leggere modifiche in seguito al commento che le è stato lasciato da un senese d.o.c. La consistenza ottenuta è proprio quella fondente dei cavallucci originali, morbidi e consistenti; si conservano perfettamente nelle bustine di solito utilizzate per il congelatore e addirittura, più passano i giorni, più questi migliorano.


Cavallucci

Ingredienti per circa 18 pezzi

250 g farina 00
3 g ammoniaca
70 g canditi (cedro e scorze d'arancia)
100 g gherigli di noce spezzettati
250 g zucchero
75 g acqua
scorza di un'arancia
3 g cannella
5 g semi di anice passati al mixer

Procedimento

In una terrina, mescolare la farina, l'ammoniaca, i canditi, le noci, le spezie e la scorza d'arancia grattugiata non troppo finemente. Preparare il caramello, ponendo in un tegame lo zucchero e l'acqua e facendo andare a fuoco medio, fino a quando l'ultima goccia "fila" (prendendo il caramello tra pollice ed indice senza scottarsi, deve fare un filo, appunto): il caramello, infatti, non dovrà imbrunire eccessivamente, altrimenti i cavallucci risulteranno granitici. Incorporare velocemente il caramello ancora caldo nella terrina dove si avevano uniti precedentemente gli altri ingredienti, aiutandosi con un mestolo. Amalgamare bene l'impasto, e aggiungere più farina se dovesse risultare troppo molle (un massimo di 70 g circa, solo se necessario). Formare delle palline del diametro di 7 cm e dallo spessore di 3 cm, rotolarle in abbondante farina, quindi posizionarle su una teglia rivestita da carta da forno, schiacciandole leggermente al centro con il pollice Distanziare i cavallucci l'uno dall'altro e non schiacciarli troppo, dal momento che in cottura tenderanno a dilatarsi e ad allargarsi. Cuocere in forno preriscaldato a 200° per 12 minuti circa (devono rimanere bianchi senza imbrunire!), quindi sfornare e far raffreddare bene. Sono più buoni i giorni a venire.