martedì 30 giugno 2009

Una promessa è una promessa



Fare delle promesse è come stringere un patto: mantenerla diventa in seguito un obbligo morale e categorico. La promessa può essere di diverso tipo, più o meno importante. Se uno spot pubblicitario ci promette capelli lisci e setosi e poi ce li ritroviamo crespi e stopposi, ha tradito la promessa fatta (non parliamo poi delle proteine di diamante). Se Umberto promette di sposare Adelina e poi non si presenta all'altare, per esempio, è un problema grave e serio, e la promessa infranta era pure grave e seria. Tuttavia può ferire anche un'amica che, pur avendo promesso di portarsi un nostro segreto nella tomba, lo vende al primo curioso acquirente di gossip. In ogni caso, fare una promessa implica il rispettarla. Fare una promessa e poi non mantenerla non serve a niente: tanto vale ammettere subito che è impossibile riuscire a fare ciò che si è giurato, così si evita la delusione in chi ha sperato e confidato in noi. Molte volte commetto l'errore di fidarmi troppo e dare delle promesse per scontate, ma purtroppo non sempre è così, spesso le promesse vengono fatte a cuor leggero, sta a noi stabilire se dare loro peso oppure no. Anche Arnold Schwarzenegger, nel film che dà il titolo al mio post di oggi, fa di tutto per portare Turbo-Man al figlio trascurato (come se poi l'affetto si potesse pagare con un pupazzo in PVC, ma va beh...) che lo ha chiesto come regalo di Natale, e se anche Schwarzy riesce a mantenere una promessa, ce la possiamo fare anche noi.

Per questo, meglio tardi che mai, mi appresto a mantenere la promessa fatta a babi di room 4 desserts, rispondendo alle domande del premio-gioco che postò circa una settimana fa :)

Enjoy yourselves



Le 5 cose che desidero:

* passare il test per Medicina a settembre;
* stare in salute;
* che l'Italia diventi un posto migliore in cui vivere;
* che i miei sforzi, in qualunque campo, vengano ripagati;
* riuscire a realizzare le mie aspirazioni, anche se ciò comporta sacrificio.

Le 8 cose che vorrei fare di qui all'eternità:

* andare a New York e a Tokyo (sì, babi, pure io!);
* provare bungee jumping;
* riuscire ad essere più estroversa;
* trovare una persona giusta che stia al mio fianco;
* coltivare le mie passioni senza rinunce;
* imparare ad usare correntemente l'inglese (babi, di nuovo ci intendiamo troppo!), e magari riuscire a pronunciare anche quella erre moscia francese così chic;
* riuscire a diventare un po' più tollerante e paziente con chi mi circonda;
* mantenere le mie amicizie, a cui voglio un sacco bene, e intrecciarne di nuove.

Per carenza di tempo non passo il gioco a nessun altro, anche se se lo meriterebbero un sacco di persone che commentano il mio blog ogni qualvolta posto. Davvero, i vostri commenti mi riempiono di gioia, mai avrei sperato in una tale riuscita del blog! Grazie di cuore.

Per oggi, uno dei miei dolci estivi preferiti, fresco, gustoso e leggero (almeno secondo le papille gustative).


Torta-mousse ai frutti di bosco

Ingredienti

per la base:
200 g biscotti al malto e miele Osvego
100 g burro

per la mousse:
375 ml yogurt magro ai frutti di bosco (3 vasetti)
4 cucchiai colmi di zucchero a velo
250 ml panna fresca
12 g fogli di colla di pesce
1 bustina di vanillina
2 cucchiai di acqua

per la copertura:
3 fogli di colla di pesce
e a scelta
300 g fragole o altra frutta, 4 cucchiai di zucchero semolato
oppure 200 g marmellata, 3 cucchiai di acqua

Procedimento

Preparare la base, tritando i biscotti nel mixer ed unendoli al burro sciolto. Foderare una tortiera del diametro di 26 cm con della carta da forno, quindi disporre sul fondo il composto di biscotti, appiattendo bene col dorso di un cucchiaio. Porre in frigorifero a raffreddare.

Per la mousse, far reidratare in acqua fredda per 10 minuti la gelatina e mettere in frigo le fruste elettriche ed il contenitore dove montare in seguito la panna (in questo modo monta più velocemente e con una migliore resa). Nel frattempo, mescolare in una terrina lo yogurt con lo zucchero e la vanillina. Quando la gelatina sarà pronta, tirarla fuori e strizzarla, poi farla sciogliere con due cucchiai di acqua in un piccolo tegamino; unirla al composto di yogurt e mescolare bene. Adesso togliere dal frigo il tegame, le fruste e la panna, e procedere montandola non a neve fermissima. Unirla delicatamente al tutto e mescolare lentamente. Tirare fuori la tortiera dal frigo e disporvi sopra la mousse, livellandola bene con una spatola. Riporre in frigorifero a solidificare per almeno 4 ore.

Per la copertura, procedere secondo gli ingredienti scelti. Se si tratta di fragole o altra frutta, passarle col passaverdura, quindi porre in un tegame la purea ottenuta insieme allo zucchero, scaldarla appena e farci sciogliere i fogli di gelatina precedentemente reidratata.
Se si è scelta la marmellata, metterla in un tegame con l'acqua, scaldarla leggermente ed aggiungere la gelatina fatta reidratare, finché si scioglie.
Versare la copertura sulla mousse, e mettere di nuovo in frigo a compattare per almeno altre 2 ore.

domenica 28 giugno 2009

Fattore S



Nei tempi in cui viviamo, dove la Pizia è un ricordo lontano, così come l'oracolo di Delfi e le streghe sul rogo, le persone tendono a non essere più superstiziose. Perlomeno a non esserlo più di tanto, o ancora a "non far vedere che sono superstiziose". Se nel marciapiede su cui stiamo camminando, stanno ridipingendo l'insegna di un negozio servendosi di una scala, viene spontaneo non passarci sotto. Se per sbaglio si incrina lo specchietto da borsetta, ci guardiamo intorno guardinghe, sperando che la promessa di sfiga si riduca dai 7 ai 3 anni (soprattutto se ricorriamo immediatamente allo scotch per ripararlo). E allora se, inavvertitamente, si rovescia il sale sulla tavola, bisogna correre al riparo gettandosene un pizzico dietro le spalle. La mattina, quando leggiamo il giornale, corriamo furtivi all'ultima pagina per verificare cosa ci prospetta l'oroscopo del giorno, sempre così criptico e vago che si potrebbe adattare benissimo alla Regina d'Inghilterra e a Paris Hilton contemporaneamente: però noi lo adattiamo alle nostre situazioni, o verifichiamo che è tutta una bufala, o ci barrichiamo in casa tutto il giorno se il suddetto promette "litigi con familiari ed amici" e "incontri sospetti" e "incidenti sul lavoro". Insomma, nonostante ci premuriamo di mostrarci incuranti di mistero e magia, in realtà, sotto sotto (ma proprio sotto) un po' ci crediamo. Magia e superstizione sono insite nella storia dell'umanità, a partire dagli antichi Greci, che vedevano la Vera Divinità come la Tìche (la Sorte) - mica quel maniaco sessuale di Zeus e quella gran bella donna di Afrodite! , fino ad arrivare al Medioevo: dietro quel gatto nero che, se commette l'errore di attraversare una strada, comporta scongiuri e toccate di ferro (se non di altro), ci stava la supposizione che si nasconda una strega, o Satana in persona. Il soprannaturale ha sempre affascinato l'uomo, forse perché è più facile pensare che tutto accada secondo un preciso disegno voluto dal Fato, forse perché, come Ulisse non riuscì a fermarsi in pianta stabile nella sua Itaca intraprendendo un nuovo viaggio verso le Colonne d'Ercole, così anche l'uomo si sente incentivato a scoprire cosa si cela dietro l'Ignoto, qualcosa che sfugge alle leggi della fisica e della razionalità. C'è da dire che rimane comunque interessante ricordare i modi in cui l'uomo pensa di poter interagire col Destino e modificarlo, appigliandosi a stratagemmi quotidiani. E allora via, a Capodanno continuiamo a mangiare lenticchie e acini d'uva, perché la prosperità economica è assicurata per l'anno nuovo. Se troviamo un quadrifoglio sentiamoci un po' Gastone Paperone. Se vinciamo al Lotto, diamo il merito al piccolo elefantino che teniamo segretamente in borsa. Non distruggiamo le tradizioni che riguardano la nostra cultura, però per favore, non attacchiamoci a queste neanche più di tanto. Ve lo dice una che, nonostante fosse la diciassettesima iscritta all'esame di fisica di venerdì, adesso si ritrova un gran bel voto sul libretto (sarà stato il pronto "Crepi!" dopo ogni "In bocca al lupo" ricevuto?).

Il pane che sto per proporvi è ottimo per accompagnare un pasto, ma anche la mattina a colazione semplicemente spalmato di marmellata.
Ovviamente è nero (sfiga).


Pane nero ai cereali

Ingredienti

250 g. Farina Molino Spadoni per pane nero ai 7 cereali (si trova rigorosamente all'Esselunga)
140 g. acqua tiepida
semi di girasole, zucca e sesamo
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva

Procedimento

Versare la farina in una ciotola , aggiungere la metà del lievito in polvere che si trova dentro la confezione di farina, l’olio e l’acqua tiepida. Lavorare l’impasto per 10 minuti, aggiungendo un po’ di farina integrale o bianca sulla spianatoia. Unire 70 g. di semi di girasole e 70 g. di semi di zucca (naturalmente senza guscio…) che trovate nei negozi specializzati in alimenti biologici, macrobiotici e integrali. Lavorare l’impasto fino a quando i semi saranno ben incorporati. Lasciare lievitare dentro il forno riscaldato a 30° circa per 15 minuti. Trascorso questo tempo, dare una forma allungata alla pasta lievitata e adagiarla su uno stampo da plum cake unto con olio di oliva, disporvi un pizzico di semi di sesamo e lasciarla dentro il forno spento per 2 - 3 ore, finché le sue dimensioni non saranno triplicate. Cuocere in forno preriscaldato a 200° per 25 minuti circa.

domenica 21 giugno 2009

"La moda passa, lo stile resta"



Per alcune ragazze, l'indice di femminilità è già evidente dall'infanzia. Piccole bambine dagli abitini deliziosi si preoccupano se il vestito della Barbie è male abbinato ai tacchi di plastica, o se lo smalto che ha messo loro la mamma è scheggiato. Il loro colore preferito è ovviamente il rosa, come segnaposto alla scuola materna scelgono un fiorellino. Per altre, l'indice di femminilità è inversamente proporzionale all'età che hanno: più gli anni passano, e più queste acquistano confidenza con il mondo rosa, gaio e confettoso dell'Essere Donna. Ovviamente io appartengo alla seconda categoria: il mio colore preferito era il verde; odiavo le gonne perché non riuscivo a correre bene quando le indossavo (tant'è che ho iniziato a metterle solamente da due anni); non ci tenevo per niente al mio aspetto, mi sentivo cool con i capelli a Santa Maria Vergine e indossavo tute acetate Adidas; giocavo con le Barbie, va bene, ma preferivo correre fuori a inventarmi qualcosa non appena fosse sbucato dal cielo un raggio di sole. Io la Femminilità, intesa nel vero senso del termine, l'ho acquistata solamente da poco. Ora amo i fiocchi (li metterei dappertutto, un'ossessione), mi piace che il make-up sia impeccabile, leggo Glamour ed Elle, ho lo specchietto e il rossetto sempre in borsa, ho capito cosa significhi Eleganza. L'Eleganza, vi spiego, non è la collana di perle o il tailleur. Ci possono essere tailleur che eleganti non sono per niente, per esempio. Secondo me, essere eleganti significa in realtà sapere affrontare il mondo con classe. L'eleganza è, insomma, uno stile di vita: gli Eleganti sono raffinati e colti, e non lo sono solamente perché vestono Chanel e Jimmy Choo. A proposito di questo ci tengo a precisare che non sempre la marca fa acquisire stile ad una persona, anzi. Molte volte il marchio in evidenza è sinonimo di rozzo, di voler dimostrare "chi può" e "chi non può". L'eleganza è un atteggiamento: vuol dire sapersi comportare bene nel mondo, con gli altri, con gentilezza ed educazione, una qualità che ormai sembra persa nella notte dei tempi, e dimostrare una particolare sensibilità verso ciò che ci circonda. Avere classe non vuol dire alzare il mignolo mentre si sorseggia una tazza di tè (giammai, per favore!), ma magari, questo tè, offrirlo ad un'amica che sta attraversando un momento difficile. Non è apparenza, è un modo d'essere che si riflette in ciò che facciamo, nel modo in cui ci atteggiamo e affrontiamo la realtà. Coco Chanel, a cui devo il titolo di questo post, è riuscita dal nulla a crearsi un impero, sfuggendo da una non di certo rosea situazione: lei per me è un'icona, un modello di vita, mica tanto per il tubino nero (però guadagna punti), quanto per come ha saputo sollevarsi da una vita difficile, uscirne fuori a testa alta ed essere ricordata per l'eternità.

La ricetta di un dolce semplice, ma raffinato a suo modo. Un dolce haute-couture.


Mattonella allo yogurt

Ingredienti

500 ml yogurt bianco
120 g zucchero a velo
300 g panna fresca
100 g frutta a piacere, o marmellata

Procedimento

Porre lo yogurt in una ciotola, quindi farvi sciogliere, mescolando bene, lo zucchero a velo. Montare la panna a neve ben ferma, ed aggiungerla delicatamente e gradualmente al composto. Foderare uno stampo da plum-cake con della carta da forno, trasferirvi metà della crema allo yogurt e livellarla con una spatola. Passare lo stampo in freezer per una mezz'ora, il tempo per far rassodare un po' il composto. A questo punto, scegliere il "ripieno": si può schiacciare in un colino 100 g di lamponi o fragole facendo cadere il passato sulla crema; si può versare della marmellata al gusto prescelto, facendola prima sciogliere in un tegamino con un cucchiaio di acqua; si può tagliare albicocche e pesche mature a pezzi, scottarle in acqua e zucchero e passarle al setaccio, quindi unirle alla crema (io ho scelto della marmellata di more fatta in casa). Coprire il ripieno con la rimanente crema, livellarla, riportare sul dolce la carta che sborda e rimettere il tutto in freezer per almeno 4 ore.
Consiglio di sformare il dolce almeno 20 minuti prima di servirlo, in modo che non passi dall'essere un semifreddo all'essere un ghiacciolo. Sfilarlo dallo stampo sollevando la carta, oppure appoggiarvi sopra un piatto che lo contenga bene, quindi rovesciarvi il tutto. In ogni caso, attendere qualche minuto prima di staccare la carta dal dessert.
Per affettare il dolce, utilizzare sempre un coltello a lama larga bagnato di volta in volta in acqua fredda.

venerdì 19 giugno 2009

© come Copyright



Se dovessi comporre una classifica delle 10 tipologie di persone che più mi urtano, che non sopporto, che vorrei si estinguessero una volta per tutte, metterei sicuramente al primo posto non i bugiardi approfittatori (magari alla seconda postazione, eh?), non gli ipocriti (facciamo medaglia di bronzo?), bensì i... COPIONI. Le persone che rientrano nella categoria possono essere le più disparate, si va dal vicino di banco al vicino di casa, dalla cognata all'amico. I cosiddetti copioni, secondo la mia personale definizione, sono coloro che, privi di originalità, buttano l'occhio verso le idee degli altri, appropriandosene ingiustamente. I copioni possono in seguito comportarsi in due modi:
a) facendo finta che sia "tutta farina del loro sacco" e gloriandosi dell'oggetto del furto;
b) facendo finta di niente, con nonchalance, non ammettendo mai di aver commesso un'ingiustizia.
Ecco, le ingiustizie possono essere le più disparate: possono derubare un'opinione su qualcosa (Ho riflettuto a lungo, e sono arrivato alla conclusione che è Yoko Ono la vera causa della morte dei Beatles... letto mezz'ora prima su "Rolling Stones"); un'idea particolarmente brillante (Vedi la mia borsa tutta piena di bottoni? L'ho fatta io, è bastato solo ingegnarsi un po', ma alla fine guarda che risultato originale! vista 3 ore prima ad un'amica o ad una conoscente); un atteggiamento o un comportamento (esatto: non lo dite a nessuno, ma Martina ha imparato da me ad armeggiarsi i capelli in quel modo, e Alessandro la battuta sulle libellule coreane l'ha sentita da Gianluca). È che io proprio i copioni non li posso vedere! Già durante la mia infanzia, alla scuola materna, ogni qualvolta armeggiavo con penne, matite e pennarelli e qualcuno allungava il collo e l'occhio porcino per carpire indicazioni su come eseguire bene la scheda e prendersi il plauso della maestra oppure su come semplicemente riempire il foglio (le mie case-albero erano molto gettonate: su ogni piano diverse stanze con tanto di famiglie Scoiattolo o famiglie Topo intenti alle mansioni quotidiane domestiche), io mi indignavo a tal punto di risultare odiosa, tappando il mio operato con le manine, indignata dell'affronto subito. Per favore, si prega di non trarre conclusioni affrettate: io alle elementari, alle medie e ancor più al liceo, non ero una di quelle secchione tignose e pignole che non passava mai niente, anzi! Mi sono sempre fatta in quattro per riuscire a far approdare pezzi di versione all'altro capo dell'aula. In realtà è tutta una questione di principio. Cioè, perché non chiederlo? Perché ostinarsi a trafugare le idee altrui senza chiedere con gentilezza "Mi piace il tuo profumo! Quasi quasi me lo compro anch'io..." Ecco, io risponderei educatamente "Infatti è buonissimo, compralo pure!" O anche "Scusa, ci ho seriamente provato,a studiare quella roba! Tutto il pomeriggio, ma niente... non è che mi potresti prestare i tuoi appunti?" E io, prontamente "Almeno ci hai provato... tieni pure, per quanto ti pare!" (quante volte è capitato, anche in classe, di aiutare gente a cui in realtà non fregava niente di niente, gente pronta a pugnalarti alla prima interrogazione!) Ovviamente tutto ciò non vale solo per l'ambito scolastico. È che alla mia creatività ci tengo davvero, e mi dà enormemente fastidio che qualcuno possa appropriarsene senza il mio permesso. E poi, andando di questo passo, altro che globalizzazione! La massa è sempre più massa (informe e poco variegata), i comportamenti e i pensieri sempre più standardizzati, conformi ed uniformi ad una realtà piatta. Suvvia! Ritorniamo a pensare con la nostra, di testa! Se l'erba del vicino è sempre più verde, non andiamo a portargli via ettari di terreno, piuttosto diamo del fertilizzante alla nostra! Sebbene sia difficile, cerchiamo di far valere la nostra individualità, non appoggiandosi a ciò che già gli altri hanno scoperto ed esplorato!

Detto questo, vi lascio con una ricetta che ultimamente sta impazzando nei foodblog. Beh, sì ecco, l'ho copiat... cioè, diciamo che l'ho presa in prestito da Alex di Cuoche dell'altro mondo, che a sua volta, come ha fatto anche Virginia di Lo spilucchino, l'ha presa in prestito dalla Cucina di Calycanthus.
Detto così sembra andare tutto contro i dettami del post, ma posso giustificarmi agiungendo che l'importante è riportare le fonti, e poi il bello dei foodblogs è proprio l'ispirarsi a vicenda, no? :)


Penne al pesto di finocchietto selvatico e ricotta

Ingredienti per 2 persone

260 g penne rigate
un mazzetto di finocchietto selvatico
una manciata di pinoli
2 piccole specce di aglio fresco
una grattata di parmigiano reggiano
60 g ricotta
olio extravergine di oliva

Procedimento

Per il pesto, frullare il finocchietto precedentemente lavato e spigato insieme ai pinoli, all'aglio e al parmigiano. Aggiungere poco a poco l'olio fino ad ottenere la cremosità desiderata. Lessare la pasta e mescolarla a qualche cucchiaiata di pesto e alla ricotta.
Il pesto può essere conservato in frigorifero per qualche giorno coperto del suo olio.

lunedì 15 giugno 2009

tartina all'anagrafe



Se siete nati di venerdì 13, in una notte buia e tempestosa, e l'ambulanza per vostra madre tardava ad arrivare, e vostro padre non riusciva a guadagnare abbastanza per il sostentamento della famiglia e siete nati perché vostra madre (sì, sempre lei) si è dimenticata di prendere la pillola o è accaduto un altro incidente di percorso e neanche eravate desiderati e i vostri genitori vi hanno messo il nome di Fortunato, allora sì. Si tratta di una forte presa... in giro.
Se invece siete di colore e vi hanno messo nome Bianca, allora sì. Anche questa lo è.
Per non pensare poi a chi si chiama Rosa o Viola ed è allergica ai fiori.
Ho conosciuto delle Gaia che piangevano sempre, da piccole.
Eviterei di mettere anche il nome Fido ad un cane - magari si dimostra feroce ed opportunista, pronto a sbranarvi alla prima pappa non somministrata, o anche Lassie, casomai gli vengano complessi di inferiorità.
Conosco un Giampiero che, a causa di una buona dose di ignoranza di chi quel giorno era all'anagrafe a registrargli il nome, si ritrova col nome di "GiaNpiero".
Gertrude potrebbe dare luogo a infelici battutine con tanto di rima, invece.
Tarta e Ruga per due tartarughine domestiche sono da tempo nomi inflazionati, carenti di originalità.
Pensate poi ad un Achille affetto da fascite plantare (una patologia che riguarda i fasci fibrosi del piede, compreso il tallone)! E ad un Benedetto ateo e miscredente.
Non vorrei che mio figlio Ambrogio diventasse il maggiordomo della signorina dei Ferrero Rocher, però vorrei che mio figlio Neri avesse la stessa simpatia di Marcorè.
E infine Silvio. Beh, quello non lo metterei mai per ovvi motivi.

Esagerazioni a parte, affibbiare i nomi alle persone e alle cose, è sempre difficile. Si rischia di cadere nel banale, si rischia di affibbiare significati nascosti che deludono ed eludono la realtà. Non so voi, ma io da piccola studiavo accuratamente anche solo il nome da mettere alla mia collezione di peluche Trudi.
Anche dare nomi alle pietanze cucinate è difficile! Volete mettere un "pasta alla crema di burro mantecata con parmigiano reggiano e arricchita da una spolverata di pepe nero" con uno schietto "pasta in bianco"? Per non parlare poi dei piatti che, al ristorante, annoverano mille e mille ingredienti, a volte anche ricercati, che poi nel suddetto piatto non si presentano, o si vedono solamente con l'ausilio di un potente binocolo. I piatti che dovrebbero comprendere il tartufo sono tra questi: il più delle volte del tartufo c'è solo il profumo, o sfoglie della consistenza della filigrana e dell'ampiezza di un'unghia del mignolo. E il risotto alla pescatora? Sarebbe certamente più poetico un "risotto al sapore di mare". Quanto è poco suggestivo il nome risotto alla pescatora? Viene in mente una grande e grossa scaricatrice di porto che pesca calamari con le mani. Gli stessi che andranno a finire nel vostro risotto.
Nonostante ciò è così buono che sul nome possiamo anche passarci sopra.


Risotto alla pescatora

Ingredienti: per 4 persone

400 g riso carnaroli o arborio
150 g seppioline
150 g polipetti
150 g calamaretti
150 g moscardini
400 g. circa scorfano
300 g gamberetti
500 g tra vongole e cozze
2 cipolle
2 spicchi aglio
2 mazzetti di prezzemolo
4 pomodori maturi
olio extravergine di oliva q.b.
un bicchiere vino bianco
1 peperoncino
sale q.b.

Procedimento:

Sfilettare lo scorfano, e con la testa e i resti preparare un brodo con una cipolla, un mazzetto di prezzemolo e un pizzico di sale. In un tegame a bordi alti far appassire una cipolla tritata, aggiungere poi seppioline, polipetti, calamaretti e moscardini. Dopo circa 3 minuti unire il bicchiere di vino bianco e lasciare evaporare. Aggiungere i filetti di scorfano e, quando è cotto, i pomodori scottati e passati al passaverdure. Lasciare cuocere per 10 minuti circa, quindi unire cozze, vongole e gamberetti. Cuocere il tutto per 3-4 minuti, poi aggiungere il riso. Cuocere per 3 minuti circa girandolo spesso, aggiungere quindi il brodo preparato e filtrato in precedenza. Quando il riso è quasi cotto unire gli spicchi di aglio tritati finissimi e, a cottura ultimata, il mazzetto di prezzemolo tritato.

martedì 9 giugno 2009

Estasi culinaria



L'esimio critico gastronomico Monsieur Arthens, nel romanzo "Estasi culinarie" della scrittrice francese Muriel Barbery, trovandosi in punto di morte, cerca di recuperare con la memoria il Sapore Unico e Primordiale, il Sapore per eccellenza che vorrebbe assaporare di nuovo prima di andarsene per sempre. Ecco, io me lo sono sempre chiesta: qual è il MIO Sapore? Io sono onnivora, non ho preferenze di sorta, ogniqualvolta mi chiedono quale sia il mio cibo preferito mi ritrovo a dire "pasta" oppure, molto più originale "pizza", come uno straniero appena arrivato in Italia. Cose che adoro, infatti. Però, a mio parere, il Sapore deve essere qualcosa di raffinato e di ricercato, qualcosa che un po' mi rispecchi, qualcosa di sublime, difficile da soppiantare con solamente l'ausilio di un vol-au-vent alla crema di gamberetti. Innanzitutto è sicuramente un dessert, perché il dessert ti dà sempre quel qualcosainpiù di cui faresti anche a meno, ma che in realtà si rivela indispensabile per concludere meglio un pasto, per spezzare la fame del pomeriggio, per sentirsi appagati e felici. Alla domanda "Qual è il tuo dolce preferito?" i miei amici sciorinano dolci di ogni sorta, mentre io rimango con la faccia a pesce lesso tra un "tiramisù", un "crème caramel" e un "Nutella a cucchiaiate!" Ho deciso basta, voglio sapere anch'io qual è il mio Sapore. È iniziata un'affannosa ricerca, tra bustate di farina 00, zuccheri, creme e panne. Ne ho provati ormai molti: lievitati, al cucchiaio, glassati, morbidi, croccanti, e chi più ne ha più ne metta! Poi, la Rivelazione. Tutto è iniziato da sabato mattina, quando, dopo una mattinata di studio intenso, ho preparato una frolla, con tutte le accortezze e le cure possibili. Ha riposato, è stata in frigo. Poi, sabato pomeriggio, ho completato questo dessert, che si è rivelato quasi una rivisitazione della celeberrima torta laziale alla ricotta e alla marmellata di visciole (solo che al posto di quella ho messo la marmellata di ciliegie fatta da mia mamma, e invece della ricotta di mucca, quella di pecora). E gli ingredienti un po' a caso, un po' dettati dal buonsenso, un po' dalle ricette, un po' dal gusto personale. Cosa è uscito fuori? Lui, ma è ovvio! Il Sapore, il MIO Sapore, gente, l'ho trovato,e lo voglio condividere con voi. Gustatevela, perché questa è la torta preferita di tartina.


Crostata delicata al sapore di ciliegia
(anche detta Crostata tartina)

Ingredienti

per la pasta frolla:
250 g farina 00
100 g zucchero
100 g burro
1 uovo
4 g lievito vanigliato per dolci
1 punta di sale
1 bustina di vanillina

per la farcia:
300 g ricotta
1 uovo
125 g zucchero
2/3 di un barattolo di marmellata di ciliegie (a mio parere, si può fare con qualunque altro tipo di marmellata)

Procedimento

Per la pasta frolla: Tagliare a pezzi non troppo piccoli in una ciotola il burro, precedentemente messo a temperatura ambiente (per almeno 20 minuti). Unire vanillina e zucchero e strizzare velocemente il composto con le mani, finché burro e zucchero si saranno ben amalgamati tra loro. Aprire l'uovo nel composto, e lavorarlo grossolanamente servendosi di una frusta a mano. Aprire la farina a fontana sulla spianatoia, e versare all'interno il composto. Compattare con le mani molto velocemente, in modo che il burro non si scaldi. Formare una palla e porla in frigorifero per almeno 2-3 ore.

Per la farcia: Servendosi delle fruste elettriche, lavorare la ricotta, l'uovo e lo zucchero.

Togliere la pasta frolla dal frigo, prelevarne 2/3 e stenderla sulla carta da forno, poi metterla in una tortiera del diametro di 26 cm. Bucherellarla coi rebbi di una forchetta e precuocerla in forno già caldo a 175° per 7 minuti circa. Toglierla dal forno, spalmarvi sopra la marmellata, quindi versarvi la crema di ricotta. Completare decorandola con strisce ricavate dalla pasta frolla rimasta. Cuocere in forno preriscaldato a 175° per 35-40 minuti circa, finché i bordi risultano dorati.

sabato 6 giugno 2009

Tra le braccia di Morfeo - Gnocchi di patate ai pomodorini



Pasta? Domandavo laconica all'età di quattro anni quando, ancora intorpidita dal sonno, sbattevo le palpebre stancamente, consapevole di aver dormito per più di 12 ore, svegliandomi a mezzogiorno - a volte addirittura all'una. Sì, perché i bambini hanno le molteplici tendenze a:
A. dormire 10 ore come minimo;
B. dormire a qualunque ora del giorno, meglio se dopo essersi dondolati sull'altalena per due ore ed aver giocato a "Strega Impalata" per altre tre;
C. addormentarsi nei posti più disparati: sulla spalla del babbo, seduti, distesi, in piedi, a bocconi, in automobile (un po' come quei giocattoli dalla testa assurdamente pesante che riesce a compiere una rotazione completa di 360° a mo' di Regan de "L'esorcista").
Passati i 9-10 anni di vita, diciamo, il punto B ed il punto C esauriscono la loro efficacia. Arrivati ai 14 anni, il punto A ci dice anch'esso addio, lasciandoci a notti di 8 ore quando tutto va bene e a dosi di caffeina da iniettarsi nelle vene nel corso della giornata. Ovviamente c'è chi, anche a 50 anni, riesce a dormire fino a tardi, ma si tratta per lo più di eccezioni. Io ho perso la facoltà di riuscire a dormire per più di 9 ore. I motivi sono i più svariati: innanzitutto, se dormo fino a tardi, anche se sono tornata a notte fonda, mi sembra di sprecare così la mia mattinata, standomene a letto (invece quanto sarebbe meglio recuperare la stanchezza accumulata invece di tentare di studiare con la testa che ciondola vuota!); poi, mentre ho iniziato mettendo la sveglia (quanto sarà fastidioso quel BIP BIP da attacco epilettico?), adesso ho la Sveglia Biologica, incorporata. Anche volessi, non riuscirei a dormire più di quel tot, il mio imperativo morale mi costringerebbe comunque ad alzarmi. Comunque questa volta lo giuro davvero: non appena sarà terminata la sessione estiva, GIURO solennemente di concedermi una mattinata di sonno intenso, senza sveglie, corse, preoccupazioni e iperattività.

Pasta? No, gnocchi!


Gnocchi di patate ai pomodorini

Ingredienti per 4 persone

per gli gnocchi:
1 kg patate
1 uovo
200 g farina 00
150 g fecola di patate

per il condimento:
350 g pomodorini ciliegia
aglio fresco
olio extravergine di oliva
pesto di peperoncino o peperoncini secchi
basilico fresco

Procedimento

Per il condimento:
Far appassire l'aglio in un po' di olio extravergine di oliva, quindi aggiungere i pomodorini tagliati a metà. Far andare a fuoco vivace per dieci minuti circa, quindi aggiungere anche il pesto di peperoncino (in alternativa, del peperoncino secco sminuzzato) e un mazzetto di basilico, ultimando la cottura.

Per gli gnocchi:
Lessare le patate con la buccia in acqua salata, spellarle e passarle allo schiacciapatate (utensile indispensabile per gli gnocchi, che non può essere sostituito col passaverdure!) Nel frattempo, mettere una pentola di acqua salata sul fuoco. Quando le patate sono tiepide, aggiungere l'uovo sbattuto, quindi la fecola e la farina poco alla volta. Lavorare l'impasto, che deve risultare morbido e spumoso (se è troppo tenero, aggiungere dell'ulteriore farina). Dare al composto ottenuto una forma allungata. Con la spatola, prelevarne poco alla volta, e dargli una forma allungata a "rotolino", il cui spessore deve essere scelto in base al gusto personale (mettere sulla spianatoia un po' di farina per aiutarsi a stenderlo). Con la spatola tagliare il serpentello di pasta della dimensione desiderata. Aiutandosi con la spatola, gettare gli gnocchi nell'acqua bollente. Non appena vengono a galla, significa che sono cotti: recuperarli con la schiumarola e mescolarli al condimento. A fine cottura aggiungere abbondante parmigiano.

mercoledì 3 giugno 2009

Under pressure



E ci risiamo. Puntuale come un orologio svizzero, puntuale come un buisness-man inglese, puntuale come il giornalino delle promozioni Coop, arriva inesorabilmente la tanto temuta sessione estiva. Si torna sui libri, sì, ma stavolta accompagnati dalla calura estiva che, straziante ed implacabile, renderà ogni pagina un tormento (l'unica speranza è che non ritorni quel caldo assassino di una settimana fa, almeno non subito, per favore! Richiesta accorata di una povera studentessa universitaria alle prime armi). Che poi, in realtà, non considerando l'esame di maturità, per me è la prima volta stare sui libri fino a luglio inoltrato. Quando, gli anni passati, la campanella suonava verso il 10 di giugno, cori d'esultanza, machicipensaoraaicompiti, tre mesi davanti di pura nullafacenza, la prospettiva di una dorata tintarella, la sera si fa tardi, la mattina anche. E adesso? Adesso sveglia presto, sotto con lo studio, la sera si esce, ma poco perché "la mattina c'è da studiare". Si arriva al punto che i momenti dei pasti o della pausa-Internet sono attesi come una vincita alla lotteria, e osannati più di "C'era una volta in America". Che poi, davvero, gli esami non finiscono mai. Tutta la nostra vita è costantemente sotto pressione, come se un gas si dovesse contrarre (scusate la similitudine, ma... ehm... lo studio...). Esami su esami si accavallano implacabili, e non sto parlando solo di quelli universitari, appunto. L'esame per l'idoneità alla patente di guida, un esame medico, l'esame a cui ti sottopongono certe persone, interessate ad osservare come sei vestita, quanto è pulita la tua casa. I professori si susseguono, e sono i più svariati. È un esame anche un'amicizia: bisogna dimostrare di esserne all'altezza, attraverso le prove che la vita ci propone. Un esame è anche se la suocera ci chiede di preparare delle lasagne al forno perché lei ha troppo mal di testa: se non vi tirerete indietro e saranno buone, vedrete che l'esame vi avrà fatto guadagnare punti verso la conquista del nuovo maritino. Che poi il voto ci piaccia o no, quello è un altro conto: sta a noi accettarlo, oppure rifiutarlo, prendendone semplicemente atto.
Insomma, tutto questo per dirvi che continuerò a postare sul blog, purtroppo però non accompagnandole più con le consuete elucubrazioni partorite dalla mia mente, o almeno non sempre, o almeno non così lunghe. Comunque sia, il blog rimarrà sempre una piacevole distrazione tra un'ora di intensa attività e l'altra.

Detto questo, vi lascio oggi la ricetta di una crostata particolare. Attenzione, non è indicata proprio a chi non gradisce un aroma floreale nei cibi, e a chi pensa che sarebbe meglio non mischiare tavola e vasi da giardino :)


Crostata alla crema di rose

Ingredienti

per la pasta:
250 g farina 00
150 g burro
1 uovo
50 g zucchero
1 uovo + 1 tuorlo per spennellare

per la farcia:
2 cucchiai di gelatina di albicocche
20 petali di rose del giardino non trattate
150 gr di zucchero
1 cucchiaio di scorza di limone
5 tuorli
2 cucchiai di rosolio o liquore a piacere (io l'ho omesso)
40 gr di farina
500 gr di latte
6/7 rose

Procedimento

Lasciar andare nel mixer l'uovo e lo zucchero, quindi aggiungere anche il burro tagliato a tocchetti e la farina. Appena la pasta comincia ad ammassarsi, creando una specie di palletta, toglierla dal mixer, compattarla e porla a riposare nel frigorifero per almeno mezz'ora.
Trascorso questo tempo, prelevare la maggior parte della pasta, lasciandone un poca da parte: quindi stenderla, ricordandosi di farlo sempre in un verso, in orizzontale o in verticale, altrimenti in forno potrebbe ritirarsi. Rivestire con la pasta stesa una tortiera e porla di nuovo in frigorifero a raffreddare. Con la pasta rimasta, fare dei rotolini piuttosto lunghi ed intrecciarli. Prendere la tortiera dal frigo e bucherellare la pasta coi rebbi di una forchetta, per non farla alzare in cottura. Col tuorlo sbattuto, spennellare i bordi della pasta e attaccarvi le cordine.
Adesso tagliare 2 fogli di carta d'alluminio lunghi circa 50 cm, arrotolarli per lungo e disporli attorno al bordo. Mettere in forno a 200° finché non è cotta, per 20 minuti circa.
Per preparare la crema, mettere innanzitutto a scaldare il latte. Col frullatore a immersione frullare i petali a cui precedentemente deve essere tolta l'unghia (cioè la parte che è attaccata al gambo), insieme a due cucchiai di zucchero, il rosolio e le scorzette di limone. Aggiungere un po' di latte.
In una ciotola mettere 5 tuorli, sbatterli ed aggiungere lo zucchero rimasto, la farina, il "frullato" di rose, il latte e fare addensare mescolando velocemente, portando la crema ad ebollizione. Quando è pronta, farla raffreddare.
Spalmare con un pennello, nella base della crostata, la gelatina di albicocche diluita in un pentolino con un po' d'acqua, aggiungere la crema e decorare il tutto coi petali di rosa spolverati di zucchero a velo.