lunedì 30 novembre 2009

Il decalogo dei foodbloggers - Frollini allo zucchero


Frollini allo zucchero, inserito originariamente da la tartina.

Non appena si apre un proprio foodblog, occorre seguire attentamente i 10 comandamenti dei foodbloggers, da me appena decretati:

1. Non avrai altro chef all'infuori di me. Col primo post che inaugura una prolifica serie a seguire, i parenti e i cari del foodblogger in questione devono farsi consapevoli che, da ora in poi, il suddetto comincerà a cucinare senza sosta, che la cucina è di sua proprietà, che si ritroveranno, volenti o nolenti, ad assaggiare una sterminata varietà di ricette (e magari ad ingrassare).

2. Non nominare il nome di Sigrid Verbert invano. È lei la capostipite di tutti quei foodblogs di cucina che prolificano come una colonia di funghi: ricette e fotografie impeccabili, un libro appena pubblicato. Inoltre, tener ben presenti i nomi dei più rinomati guru e rappresentanti di cucina: da Pierre Hermé, il pasticcere francese dei noti macarons, a Ferran Adrià, rappresentante della nuova cucina molecolare; da Anthony Bourdain, conosciuto per il suo libro "Kitchen Confidential" a Nigella Lawson, figlia di un lord e cuoca apprezzatissima d'oltremanica; dallo chef francese Christophe Felder alle riviste di cucina di Donna Hay.

3. Ricordati di santificare le feste. Che si tratti del Natale o della Pasqua, di un compleanno o del buffet per una festa di laurea, di un tè con le amiche o della merenda del pargolo, gioire per la ricorrenza in arrivo e sfruttarla per imbastire una tavola da gourmet, dando sfogo alle proprie competenze eno-gastronomiche.

4. Onora la frusta e il matterello. Amare e rispettare gli strumenti della cucina, imparando ad impiegarli al meglio della loro funzionalità, pulendoli con cura dopo averli utilizzati e riponendoli nel loro luogo di appartenenza.

5. Non utilizzare ingredienti scadenti e/o fuori stagione. Cercare sempre di usare, nella preparazione dei nostri cibi, gli ingredienti più genuini e biologici che abbiamo, meglio se non sottoposti ad alcun tipo di trattamento e coltivati da noi in persona, rispettandone il corso naturale. Il burro al posto della margarina, le fragole solamente a primavera e le arance solamente d'inverno, le spinaci in foglia e non surgelate... ecc.

6. Non lasciarsi prendere dallo sconforto. Se il soufflé si affloscia miseramente su se stesso non appena tolto dal forno, se non si riesce a trovare al mercato quel grammo di "pepe mantecato ai 24 sapori dei Pirenei" indispensabile per eseguire la ricetta dello "spezzatino di pollo australiano al sapore di menta con fave gratinate all'atmosfera di pepe mantecato", se hanno tolto dalla produzione quei meravigliosi stampi di silicone a forma di gasteropode Eudolium crosseanum (una conchiglia rara del Mediterraneo), non bisogna scoraggiarsi, ma perseverare provando a risolvere i problemi in questione e trovando soluzioni alternative (che ne pensate di uno stampo a forma di cervo volante?).

7. Non rubare. Assolutamente vietato è plagiare le ricette degli altri: se ci si accinge a postare una ricetta o una fotografia scovate in un altro blog, segnalarne immediatamente il nome. Rispetto e cortesia sono indispensabili per mantenere un comportamento corretto nei confronti degli altri foodbloggers.

8. Non dire falsa testimonianza. Comportarsi correttamente con le cavie dei nostri esperimenti in cucina e con gli altri foodbloggers, rivelando i segreti del successo del nostro piatto e condividendoli con gli altri, così da spargere la Buona Novella in giro per il mondo.

9. Non dimenticare di fotografare ogni piatto. Passare oltre le lamentele dei commensali, che vedranno sottrarsi il risotto fumante da sotto il naso perché abbiamo da metterlo in una posizione luminosa, sistemarlo con cura tra stoffe colorate per ricreare l'immagine di un fiore che sboccia e fotografarlo con impostazione "macro" servendosi della nostra digitale compatta o Canon che sia e scattando circa 25 foto prese da angolazioni diverse. Il risotto verrà restituito ghiacciato e incollato, ma la fotografia da mettere sotto il nome della ricetta sarà pronta per essere ritoccata con Photoshop.

10. Non desiderare i foodblogs altrui. Ogni blog di cucina è bello a suo modo, perché nobile è l'intento con cui questo viene aperto. Quindi non invidiare i blogs dei "colleghi", dall'header più accattivante, dalle foto più seducenti e dalle ricette più ricercate e complesse: tutti i foodblogs vanno apprezzati, seguiti e ammirati, e ciascuna ricetta postata dev'essere fonte di ispirazione.

Concorde al terzo comandamento, vi lascio la ricetta di biscottini friabili, golosi e rapidi: qualità che ne fanno, se impacchettati con cura, un grazioso e ottimo dono in occasione di questo Natale.


Frollini allo zucchero

Ingredienti

250 g farina 00
65 g zucchero a velo
55 g burro
65 g latte
6 g lievito per dolci
un uovo
un pizzico di sale
un pizzico di vanillina
zucchero semolato

Procedimento

In una ciotola lavorare la farina, lo zucchero, il burro leggermente ammorbidito, il lievito, il sale e la vanillina, impastandoli con il latte. Quando si sarà ottenuta una pasta liscia e compatta, porre in frigorifero per almeno un'ora. Riprendere l'impasto e stendere una sfoglia sottile, tagliando dei biscotti della forma preferita e disporli su una teglia rivestita da carta da forno. Spennellare i biscotti con l'uovo sbattuto diluito con poca acqua e spolverizzarli di zucchero semolato. Cuocere in forno preriscaldato a 175° per 10-12 minuti.

sabato 28 novembre 2009

Ana non è amica Mia


Crackers, inserito originariamente da la tartina.

Piaga sociale dei nostri tempi, problema relativo soprattutto agli adolescenti, è purtroppo quella dell'anoressia: campagne su campagne pubblicitarie (da ricordare quella di Nolita) si impegnano a combatterla e a cercare di arginare la sua pericolosa diffusione, all'estero e in Italia. Intanto però lo stilista tedesco Karl Lagerfeld della maison Chanel dichiara, lasciando tutti a bocca aperta per lo stupore (ci si chiede se la sua genialità nel campo della moda sia inversamente proporzionale al suo buon senso), "Il mondo della moda è fatto di sogni e illusioni e nessuno vuole vedere donne rotonde" e anche "Solo alle grasse non piacciono le modelle che sfilano in passerella sul piccolo schermo". Carolina Reston è la modella ventunenne morta per anoressia nel novembre 2006: la madre rilascia una commuovente dichiarazione sul fatto di non lasciare che questa moderna malattia prenda campo, di stare attenti ai primi segnali che possiamo captare dai nostri figli, i mass media si scaldano, la questione è rovente, basta con questa angosciante situazione, è morta una ragazzina, cristosanto, una ragazzina. Intanto però la modella Filippa Hamilton viene licenziata da Ralph Lauren perché "troppo grassa"; tengo a precisare che è alta 177 cm per un misero peso di 54 kg, pelle e ossa insomma. Lo stilista Mark Fast, in occasione dell'ultima Settimana della Moda ha portato sulla passerella tre modelle poco più in carne delle ragazze che siamo abituati a veder sfilare abitualmente. Si è gloriato di applausi e critiche positive sulla lotta all'anoressia e alle modelle taglia zero, dichiarando di essersi innamorato del carisma delle tre ragazze in questione. Intanto però, insieme a loro, ha fatto sfilare una schiera di piccoli scheletri, e allora ci si chiede se la sua sia più un'ipocrisia o un nobile proposito. La prestigiosa rivista di moda Vogue si fa portavoce di una campagna contro l'anoressia, "rimpolpando" le modelle fotografate grazie all'utilizzo di Photoshop: ci si limita, cioè, a riempire di poco le guance scavate e a coprire con un po' di epidermide le sporgenti ossa dello sterno, niente di più. Per il Times di Londra, che riesce a mettere le mani sulla lettera scritta da Alexandra Shulman inviata ai maggiori stilisti in cui dichiara "I vestiti che le case di moda ci inviano sono sempre più piccoli. Siamo al punto che le modelle più famose -come Naomi Campbell, Linda Evangelista o perfino la magrissima Kate Moss - non riescono più a indossarli", questo è un enorme passo avanti. Intanto però le stime sono raccapriccianti: anoressia e bulimia sono le malattie che causano il maggior numero di vittime tra le ragazze di età compresa tra i 12 e 25 anni; di anoressia e bulimia nervosa soffrono in Italia tra le 150 e le 200 mila ragazze. Da parte di queste c'è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo "normale" per età e statura, un'intensa paura di diventare grassi anche quando si è sottopeso, l'alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o l' eccessiva influenza del peso e della forma del corpo su i livelli di autostima, il rifiuto di ammettere che c'è un serio problema e di essere aiutate, l'amenorrea (assenza di mestruazioni per almeno 3 mesi) che può provocare gravi danni all'ipofisi. Il disturbo alimentare si può articolare in due modi: con restrizione (il soggetto smette praticamente di mangiare); con abbuffate/condotte di eliminazione (bulimia: ingurgitare quantità di cibo esagerate per poi espellerlo nei modi più disparati). Tali disturbi derivano sicuramente da una buona componente psicologica, da un rapporto sbagliato con la famiglia, da una situazione critica personale: tuttavia come passare sopra al fatto che il mondo che ci circonda offre continuamente immagini di ragazze-stecchini, donne che di femminile hanno giusto gli abiti e a volte neanche quelli? Ultimamente, poi, sembra che l'anoressia sia diventata quasi una moda tra le giovanissime. Proliferano i siti e i forum in Internet in cui vengono esaltate figure femminili scheletriche (le Olsen, Nicole Richie, Victoria Beckham), ci si riferisce alle patologie in maniera affettuosa, come fossero delle amiche (Ana è l'anoressia, Mia è la bulimia), si sentono lamentele da parte di chi ha un fisico pressoché perfetto. Non importa se poi gli uomini quelle modelle avrebbero quasi disgusto a toccarle, se i danni fisici e psichici a cui portano malattie di questo genere sono irreversibili, e il vortice che creano è senza fine. Belle le clavicole che sporgono come lame affilate, bella la galleria che si forma tra le cosce, così larga che ci potrebbe passare un Eurostar, belli i capelli sfibrati, sedere e seno inesistenti. Quando milioni di persone muoiono di fame, si sceglie di non mangiare: il problema infatti caratterizza paradossalmente i paesi più industrializzati. Inutile combattere questa voragine se poi viene nello stesso tempo incentivata, mettetevi d'accordo! Retoricamente parlando, forse, il consiglio che viene spontaneo è di preferire la salute, magari con un lardellino in più, piuttosto che un'inquietante silhouette da Sposa Cadavere; di sentirsi bene con se stessi e con gli altri, non cadendo in questi errati meccanismi psicologici; di optare senza indugi per un appagante piatto di pasta piuttosto che per un'insalatina scondita.

Oggi vi propongo la ricetta diffusa a suo tempo da Adina, poi ripresa da Francesca e infine da me. Questi crackers saporiti e friabili, sono perfetti per un aperitivo o semplicemente come spezza-fame: ebbene sì, caro Lagerfeld, da mangiare nel corso della giornata, alle ore più disparate, con l'unica prerogativa che si avverta il naturale stimolo della fame!


Crackers saporiti

Ingredienti

250 g di farina
8 cucchiai di olio extravergine di oliva
un cucchiaino di sale fino
acqua per amalgamare
paprika, semi di lino, di sesamo, di girasole, di zucca... (scegliere gli ingredienti preferiti)

Procedimento

In una ciotola impastare la farina con il sale, l’olio e aggiungendo a filo acqua fino a formare un impasto morbido ed elastico. Coprire con un telo di cotone e far riposare in un luogo asciutto per 30 minuti. Riprendere l’impasto e stenderlo con il mattarello su una spianatoia di legno spolverizzato con poca farina per non far attaccare l’impasto. Stendere una sfoglia fine. Tagliarla a rettangoli (ma potete sbizzarrirvi con le forme o i tagliabiscotti), ne verranno fuori circa 18. Spolverizzarli con un pizzico di sale e porvi sopra gli ingredienti prescelti (nel caso dei semi fare una leggera pressione sull'impasto per farli aderire bene al crackers). Disporre i crackers su una leccarda rivestita di carta forno e mettete in forno già scaldato a 180° per circa 12 minuti. Mangiare freddi. Si conservano bene avvolti nella pellicola trasparente o posti in una scatola di latta.

lunedì 23 novembre 2009

CH3OH - Torta di ricotta e amaretti


Torta ricotta e amaretti, inserito originariamente da la tartina.

Io li invidio, quelli là. Sì, proprio loro: quei personaggi raffinati che riescono, agitando dolcemente il bicchiere, annusando impercettibilmente il liquido contenuto in esso, portandosene alla bocca una sola stilla, e assaporandola con ogni senso a disposizione, dare un congruo ed ineccepibile giudizio sul vino che hanno appena degustato. Gli esperti di vigneti, di bollicine, di metodo classico o champenois, di terroir e zone di produzione: quelli che sanno riconoscere l'annata del Barolo che stanno bevendo. I sommelier, insomma. Se prima questo era un mestiere poco affermato o del tutto sconosciuto, oggi invece sta tornando alla ribalta. Io sono estremamente affascinata da questa figura, che fa dell'alcol non un vizio, ma una virtù. Nonostante la dissacrante interpretazione che è stata fatta di tale mestiere dal comico Antonio Albanese (come non ricordare il suo spassoso "E’ un grave del Friuli, senz’altro. Non può che essere il '98, non c’è dubbio. Millesimato. E’ un vitigno di Cormons, questo è chiaro. Esposto senza alcun dubbio a Nord-Ovest, stiamo trattando con le cantine Tubarelli. Il tutto stagionato in botti di Ciliegio"?), è stato addirittura istituito un Ordine dei Sommelier. La mia ammirazione infatti, piuttosto che a David Fishman (celeberrimo critico gastronomico), va a Luca Gardini, ventottenne milanese che si è aggiudicato da poco tempo il titolo di miglior sommelier d'Europa. Non voglio togliere nulla agli scrupolosi critici gastronomici che si ritrovano a visitare anche 100-150 ristoranti all'anno (pro: assaggio dei piatti più disparati e succulenti della cucina mondiale contro: evidenti problemi di linea), ma diciamo che la mia stima va più a questi amanti del vino e dell'alcol. La spiegazione razionale in tutto ciò, sta nel semplice fatto che io e l'alcol non andiamo proprio d'accordo. Innanzitutto non so mai come scrivere questa maledetta parola: alcol, alcool, alcohol? Ma soprattutto, sono proprio le mie papille gustative che non lo accettano di buon grado. Solo negli ultimi due anni mi sono data a bere spumante, champagne, birra e drink da aperitivo: prima anche solo l'odore mi faceva venire il mal di testa. Tuttavia, i superalcolici o il vino io proprio non li sopporto! Appena ingerisco anche una minima quantità delle sostanze sopracitate, la mia faccia si contrae come una prugna secca, iniziando a fare smorfie come se fossi stata appena avvelenata. Il sapore forte dell'alcol decisamente non mi si confa. Per questo ho elaborato una strategia: non respirare e buttare giù il contenuto (a piccole dosi, ovviamente), come se fosse uno sciroppo contro la tosse! La strategia è volta a salvaguardare aperitivi e eventi di social life in cui chiedere un'acqua tonica o un Crodino è decisamente fuori luogo. In realtà mi piacerebbe pasteggiare con un bicchiere di vino, ritenuto, oltre che buono, anche chic ed estremamente salutare. Ma è più forte di me, io e l'alcol non andiamo granché d'accordo. Su un fatto però saremo sicuramente d'accordo: cosa è più buono, un bicchiere di Pinot grigio, o due bicchierini di rum&pera bevuti alla velocità della luce sul bancone di un bar squallido? Poiché la risposta è scontata, viene anche da domandarsi come possa essere l'alcolismo una piaga dei giorni nostri. Perché - mi chiedo, i giovani non vedono l'ora che sia venerdì o sabato (o tutti e due) per ubriacarsi e andare completamente di fuori? Io non mi riferisco ad una leggera ebbrezza, che può essere anche piacevole facendoti apparire tutti simpatici e bendisposti verso la tua persona. Io parlo di coma etilici, riguardanti anche ragazzini molto, molto giovani e piccole realtà, ben distanti da metropoli, capitali e perfino capoluoghi. Non si può più parlare di gusto, e neanche di divertimento nell'ingerire una spropositata dose di alcol e non ricordarsi più nulla il giorno dopo della serata appena trascorsa. Quindi brindiamo alla riscoperta del gusto dell'alcol, bevuto con piacere e moderazione. Cin-cin.

Vi ricordate la mia assennata ricerca al dessert perfetto? Ebbene, la ricetta che sto per proporvi si colloca sul podio, in forte contrasto con la pluripremiata crostata ricotta e marmellata. Prima di poco tempo fa non sopportavo una goccia di alcol neppure nei dolci! Ho vinto questo stupido pregiudizio ieri mattina, versando nell'impasto della base un bicchierino di Cointreau (al posto del rum, previsto nella ricetta originale che ho trovato sul forum di Cookaround), che ha donato alla base soffice quanto un pan di spagna un sapore unico (che si dia il via ad una lunga serie di impasti liquorosi)! Sopra la base, la crema di ricotta e amaretti rimane morbida, fresca e scioglievole al palato; per finire, la croccantezza dello strato di granella di mandorle, che si tostano dopo essere state in forno. Assolutamente da rifare.


Torta di ricotta e amaretti

Ingredienti

per la base:
200 g farina 00
100 g zucchero
100 g burro
50 g latte
un bicchierino di rum o di Cointreau (o di caffè)
1 uovo
mezza bustina di lievito per dolci
una bustina di vanillina
un pizzico di sale

per la crema:
250 g ricotta fresca
200 g amaretti
100 g zucchero
1 uovo

per la copertura:
50 g mandorle
zucchero a velo

Procedimento

per la base:
Servendosi delle fruste elettriche, montare l'uovo con lo zucchero fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Aggiungere il burro quasi fuso senza sbattere troppo. Quindi, unire anche il latte, il liquore prescelto, il sale e la vanillina. Mescolare con un cucchiaio e infine incorporare anche la farina ed il lievito. Mettere subito la crema ottenuta in uno stampo (se rettangolare 24x24 cm, se rotondo di 26 cm di diametro) rivestito da carta da forno, affinché si stenda meglio.

per la crema:
Montare l'uovo con lo zucchero utilizzando le fruste elettriche. Aggiungere quindi la ricotta e gli amaretti sbriciolati, mescolare e versare sull'impasto precedente.
Cospargere la granella di mandorle, distribuendola uniformemente.

Infornare in forno preriscaldato a 180° per 40-45 minuti circa. Una volta cotto, far raffreddare il dolce, poi spolverizzare di zucchero a velo.

sabato 21 novembre 2009

Scontri epici: campagna vs città - Biscotti alla panna


Macine, inserito originariamente da la tartina.

Che sia attribuita ad Esopo, che sia attribuita a Fedro, o ancora che sia attribuita alle Satire di Orazio, la favola del topo di campagna e di città si svolge sempre allo stesso modo: il topo di città, invitato a casa del topo di campagna, trova ripugnante cibarsi sempre di cibi poveri come lardo e fagioli, e trova scomoda ed inappropriata la vita campestre; per questo motivo, invita il cugino che abita in campagna per un breve soggiorno nella sua abitazione in città. Qui il topo di campagna può godere dei lussi dati da dolci e marmellate, cibi lussureggianti e svariate comodità. L'unico inconveniente è dato dal cane presente nella dimora, da cui i due topolini sono costretti continuamente a scappare. Il topo di campagna, con la lapidaria frase "Meglio lardo e fagioli in pace che dolci e marmellata nell'angoscia!" abbandona il cugino per tornarsene alla sua vita decisamente più tranquilla e meno movimentata. Mentre la morale de La volpe e l'uva è decisamente più ovvia e scontata (spesso gli uomini disprezzano apparentemente ciò che sanno di non poter ottenere), questa della favola dei topolini è soggetta a più interpretazioni. Secondo molti punti di vista, la ragione è del topo di campagna: lode quindi alla vita campestre, molto più sicura ed appartata di quella cittadina. Io opto per una visione più relativista: che ognuno viva secondo il suo stile di vita, dove si trova meglio. Il contrasto tra campagna e città è stato oggetto, da sempre, di varie interpretazioni o di accesi dibattiti. C'è chi si ostina infatti a sostenere l'una, e chi l'altra parte. Meglio una casa solitaria tra le valli, circondata dal silenzio e dai campi o un monolocale in centro, nel bel mezzo della mondana e frenetica vita cittadina? Anche stavolta, rimango giudice imparziale: con me il processo potrebbe durare tutta la vita senza che riesca a prendere una decisione. Per quanto mi riguarda, ho vissuto fin da piccola in una grande casa in campagna. Se durante l'infanzia quest'oasi immersa nelle colline toscane - col giardino enorme in cui poter correre fino a perdere un polmone, abbastanza sicura - le poche automobili che passavano avevano giusto il tempismo di mettere sotto i miei poveri gatti, e molto silenziosa - ogni scricchiolio era percepibile, la mia para per il buio decisamente persistente diventa a questo punto comprensibile, cresciuta ho cominciato a trovare questa situazione abbastanza stretta. Per andare in città, quando ancora non ero provvista di patente di guida, dovevo usufruire dell'autobus: passiamo oltre il fatto che gli autobus avevano degli orari impossibili e non erano mai in orario, e anche oltre il viaggio dura(va) 25 minuti minimo; tuttavia, non posso non dire che la fermata dell'autobus è a circa 10 minuti a piedi da casa mia, che mi dovevo sorbire quando non avevo a casa i miei genitori che potessero accompagnarmi. In più mettiamoci il fatto che, nel corso dell'adolescenza, mi sono staccata dal paese natio, e che sempre più frequente era il mio bisogno di andare in città: per stare con le amiche, fare vasche per il corso e mangiare lo yogurt con la Nutella e la granella di nocciole. Insomma, questo insieme di cose ha fatto sì che, nel periodo in cui si odia tutti e siamo in rivolta contro il mondo, io lo fossi anche contro la mia dimora. Non mi pareva giusto che le mie amiche abitassero tutte in centro, o comunque sia vicino alla città, e che io dovessi sottostare a tutta una serie di condizioni per uscire. Ovviamente, ho rivalutato la mia posizione soprattutto negli ultimi due anni, quando, trovandomi a passare più di metà settimana a Firenze e il restante a casa, mi sono accorta che la pace della campagna è unica. Nonostante questo, non riesco a far vincere del tutto la campagna, nello scontro City Vs Countryside. La città sarà piena di smog, frenetica e caotica, ma volete mettere la comodità? Scendere ed entrare in un negozio, uscire la sera e permettersi di fare più tardi. Poi in realtà la vita cittadina mi affascina, ma probabilmente sono i retaggi dei troppi telefilm visti. Poi dipende anche da che città si prende in considerazione, in che quartiere abitiamo, come siamo inseriti nella realtà in cui viviamo, la nostra indole. Un tipo solitario, per esempio, vivrà meglio nella sperduta campagna circondato da vigneti e olivi piuttosto che in una metropoli all'avanguardia. Il tipo costantemente al passo coi tempi e desideroso di vivere appieno la sua nitelife, si troverà a suo agio in un attico minimal e alla moda in città. Il tutto dipende cioè da molti fattori. Il top è poter vivere un po' nell'una, un po' nell'altra realtà, in modo da godere appieno dei vantaggi di entrambe, ma anche di provare gli aspetti negativi di ciascuna. Io per ora trascorro così la mia settimana: sono diventata una "campagnina" o una "cittaiola (fate voi), anche se, onestamente, vorrei poter trascorrere più tempo ferma in una sola situazione, evitando lo sbattimento delle valigie, del treno, delle corse, degli autobus, dei viaggi. E ancora, nonostante ciò, ieri, non appena sono tornata, non ho potuto sottrarmi dal pensiero: Casa dolce casa.

Direi che è giunto il momento anche per me di iniziare con la produzione biscottifera del periodo pre-natalizio. Questi biscottini sono profumati e friabili; si conservano perfettamente anche per una settimana se conservati all'interno di una scatola di latta (tuttavia solitamente alla settimana non ci arrivano per altri ovvi motivi). Da gustare con un tè mentre si guarda fuori scendere le fredde sere d'inverno (che scendano sui campi di grano o sul parcheggio del supermercato di fronte casa, a questo punto è irrilevante).


Biscotti alla panna

Ingredienti

200 g farina 00
50 g fecola
100 g burro
75 g zucchero
mezzo uovo
35 g panna fresca
un cucchiaino di lievito vanigliato per dolci
una bustina di vanillina

Procedimento

In una ciotola mescolare la farina, la fecola e lo zucchero, quindi unire anche il burro freddo tagliato a piccoli pezzetti. Lavorare il composto con la punta delle dita, finché questo comincerà a sbriciolarsi. Per ultimi, unire la panna e l'uovo (per il metà uovo: aprire un uovo intero in una scodella, quindi sbatterlo leggermente con una forchetta e aggiungere all'impasto metà dell'uovo sbattuto). Impastare fino ad ottenere una palla liscia e compatta. Avvolgere nella pellicola trasparente e riporre in frigorifero per un'ora. Trascorso questo tempo, stendere l'impasto dello spessore di 6 mm circa (i biscotti in forno si alzeranno a 1 cm) e ritagliare i dolcetti servendosi di stampini a forma di cerchio; utilizzando la bocchetta della sac à poche, praticare dei piccoli cerchietti anche all'interno. Porre i biscotti su teglie rivestite da carta da forno, quindi farli riposare ancora in frigorifero per 20 minuti. Riscaldare il forno a 175° e cuocere per 10-11 minuti circa: i biscotti devono rimanere bianchi e non scurirsi.

lunedì 16 novembre 2009

Unidentified Flying Object


Riso verde, inserito originariamente da la tartina.

Che l'uomo non si senta solo, nel vastissimo Universo, è ormai un dato di fatto. Ci deve essere per forza un qualcosa o un qualcuno che abiti i pianeti, le galassie, i buchi neri. Su che forma, colore, dimensioni abbia sono state fatte mille ipotesi, e chissà quante altre ancora se ne faranno. Basti pensare all'inquietante Alien di Ridley Scott o al più tenero E.T. - Telefono Casa di Steven Spielberg (la mia infanzia è stata segnata da quella bicicletta volante con sfondo lunare e bambino che pedala come un disperato). Poi ai mille interrogativi sorti a proposito dei crops circles, cioè i famosi cerchi sul grano trovati in Inghilterra, in America e in Italia a Brugherio (?!), che hanno anche ispirato un film interpretato da Mel Gibson in veste di ex-sacerdote alle prese con fatti inquietanti. E a Futurama, la geniale serie creata da Matt Groening a seguito dei ben più geniali Simpson o all'ultimo film d'animazione Dreamworks, Mostri contro alieni. Per non parlare poi di fumetti o di letteratura: il famoso La Guerra dei Mondi di Wells, per esempio, da cui è stato tratto il film con Tom Cruise, americanata per eccellenza insieme a The day after tomorrow. Insomma, le interpretazioni dei nostri cugini che si trovano (forse) oltre l'atmosfera sono le più svariate. Nell'immaginario comune, l'alieno si raffigura come un mostriciattolo dalla pelle verde e squamosa, gli occhi fluorescenti e il casco per guidare la navicella sotto braccio e un'irrefrenabile voglia di conquistare la Terra. A mio parere, la cosa più inverosimile è che l'alieno voglia conquistare il nostro pianeta. Che se ne farebbe di una situazione ecologica/economica/politica disastrosa? Non vorrei essere in lui a metterci le mani (palmate, di sicuro). Tuttavia, se ci spostiamo dal tòpos comune dell'extraterrestre che ho appena descritto, e meditiamo sul fatto che ci potrebbe essere veramente vita nello spazio, la cosa si fa molto più interessante. Per vita si intende anche microorganismi, un po' come è successo a noi grazie ai batteri, cellule procariotiche alla base della nostra esistenza. Lasciando però per adesso queste vaghe speculazioni a Mistero di Enrico Ruggeri e a L'alieno di Mario Giordano (spero lo abbiano tolto dai palinsesti, e magari eliminato dalla faccia della Terra. Giordano, intendevo), in realtà secondo me gli alieni esistono eccome! Dove? Non occorre andare sull'anello di Saturno o su uno dei satelliti di Giove per trovarli, ma basta restare dove siamo. La nostra società è piena zeppa di alieni, e forse anche noi stessi qualche volta lo siamo. Chi si aliena nel vero senso del termine, disinteressandosi totalmente della realtà che lo circonda. Donne talmente modificate da botulino e chirurgia plastica da sembrare tutto, tranne che esseri umani. Quelli che hanno le loro stranezze o manie, e per questo un po' alieni lo sono. Chi ancora si distingue troppo dalla conformità della società in cui vive e, emergendosi da essa, allora sì che può essere considerato alieno! (purtroppo quest'ultima tipologia è morta e sepolta con gli anni '60 e la beat generation e con gli anni '70) Insomma, siamo praticamente circondati da alieni, e neanche ce ne rendiamo conto. Aveva proprio ragione Guzzanti quando, alla domanda C'è vita su Marte?, rispondeva beato Sì, ma solo il sabato sera.

Non c'è risotto che più si addice al post odierno. Un primo piatto tipicamente invernale che potete benissimo offrire a E.T., quando viene a trovarvi. Il colore c'è, no?

Riso verde

Ingredienti per 4 persone

320 g riso Carnaroli
250 g spinaci
150 g gorgonzola
brodo vegetale
2 scalogni
sale
olio extravergine di oliva
pepe bianco

Procedimento

Lessare gli spinaci, strizzarli, quindi frullarli col minipimer e mettere da parte. Mettere in una padella dell'olio, poi tritarvi finemente lo scalogno. Porre sul fuoco a fiamma bassa: quando comincerà ad appassire, aggiungere il riso, alzare la fiamma e farlo tostare per un minuto e mezzo circa. Quindi, cominciare ad aggiungere il brodo vegetale caldo. A metà cottura, unire gli spinaci preparati precedentemente;salare, pepare e seguitare a cuocere, continuando ad unire il brodo mano a mano che cuoce. Solo quando il riso sarà quasi pronto, aggiungere anche il gorgonzola, mescolando per farlo sciogliere bene. Prima di servire, se si vuole, aggiungere dell'altro pepe.

sabato 14 novembre 2009

Mutans mutandis


Pangoccioli, inserito originariamente da la tartina.

Le cose fatte in casa sono le più sane e genuine. Questa frase semplice e concisa andrebbe scolpita su una targa d'oro e posta sul caminetto di casa, da quanto è veritiera. Da che mondo è mondo, ciò che viene realizzato/preparato/confezionato con le proprie mani acquista un sapore migliore. Per esempio, a Natale fa più piacere ricevere un biglietto fatto con le proprie mani (a proposito, per spunti e quant'altro vi consiglio di fare un salto sul blog di Eli) piuttosto che un biglietto comprato nell'edicola sotto casa, magari con un infelice Gatto Silvestro vestito con divisa rossa e scarponcini che urla "Buon Natale... e buon San Silvestro!" Se si è bravi a lavorare a maglia, si sarà capaci anche di confezionarci una sciarpa sicuramente più originale e più bella di quella venduta nei negozi, e ad un prezzo sicuramente inferiore. Ovviamente, è facile estendere la Regola soprattutto a quello che mangiamo. Vogliamo mettere una pizza fatta in casa con quella in cartone acquistata take-away o addirittura con quella del ristorante? Non c'è paragone, sia per bontà, sia per sicurezza, sia per salubrità dell'alimento. Tuttavia, va anche riconosciuto che, certe volte, quelle merendine impacchettate piene di conservanti che si vedono in televisione, stuzzicano proprio l'appetito! Colpa è dell'infinito potere coercitivo che ha la pubblicità su di noi che, ignari, guardiamo quegli spot così colorati e inverosimili che si susseguono uno dopo l'altro nell'infinito spazio televisivo dedicato alla pubblicità. Da una parte siamo consapevoli che quelle sono tutte schifezze: non corrispondono all'immagine presentata dagli spot, sono piene di additivi/coloranti/conservanti dannosi, apportano eccessive ed inutili calorie. Dall'altra ne siamo enormemente attratti: come dev'essere gustoso quel pollo all'arrabbiata spatasciato direttamente dalla busta alla padella e pronto in 5 minuti! E quel saccottino cremoso addentato dal bambino ebete? Una poesia. Ed è così che ci precipitiamo al supermercato, girovagando per i diversi scaffali in cerca del prodotto illusorio che ci ha incuriositi. Se poi il pacchetto, dopo il primo assaggio, giacerà indisturbato nella credenza, questa è un'altra storia: intanto abbiamo comprato il prodotto, con grande gioia della casa distributrice. Per esempio, io sono nella fase dei cereali ai frutti rossi: quelli integrali col riso mi parevano troppo scarni e la ragazza della pubblicità che zampetta come una locusta alle 8:00 di mattina sembra così appagata delle ciliege e fragole liofilizzate che trova nella sua scodella! C'è da dire però che, questa "febbre da alimento confezionato" tende a coinvolgere i primi anni di età, quando si è bambini e si fanno laute merende e non sappiamo neanche che cos'è un mestolo o un tegame. Ricostruendo il mio percorso passato, posso distinguere tra diverse fasi:
- la fase Haribo (anni 5/9): amavo srotolare le rotelle di liquirizia, sebbene la liquirizia non mi facesse impazzire; uccidere gli orsetti gommosi tra le fauci; tenere in bocca i ciucci frizzanti finché il palato non diventava disidratato. Quando poi scoprii i barattolini prêt-à-porter trasparenti, impazzii letteralmente.
- la fase Polaretti e Fruttolo ghiacciato (anni 6-7): i pinguini della pubblicità dei rinomati ghiaccioli erano troppo teneri. E il Fruttolo col bastoncino da ficcare dentro il vasetto aspettando che lo yogurt si trasformasse in gelato era troppo avanti (così tanto che lo hanno tolto dal commercio).
- la fase Bucaneve Doria (anni 8): a) staccare con gli incisivi i pallini di glassa b) zuppare il biscotto nel caffelatte finché non sarà morbidissimo c) addentare e gustare. L'operazione è stata ripetuta per almeno 190 volte.
- la fase Trancino (anni 8-9 con successive riprese più brevi): innanzitutto spiegatemi la differenza dall'altrettanto noto Tegolino. Poi come facevo ad inglobarmene uno a colazione, uno dopo pranzo e uno a merenda (nella stessa giornata).
- la fase acqua San Benedetto aromatizzata (anni 9-10): al gusto di arancia o di limone. Nonostante in realtà sapesse di poco più che di acqua naturale, aveva anche l'estremità "a biberon" e a ricreazione faceva la sua porca figura.
- la fase Kinder Délice (anni 10): ne ho mangiate talmente tante che mi è passata la voglia, di queste splendide merendine cioccolatose. Esilarante il "più latte, meno cacao" che si legge sulla busta.
- la fase piadina confezionata (anni 11-12): secondo me aveva "il vero sapore della piadina romagnola". Ovviamente è da tralasciare il fatto che non fossi mai stata in Emilia-Romagna fino a quell'età.
- la fase Kraft Lunchables (anni 12-13): in concomitanza dell'orario scolastico che mi obbligava a stare a scuola fino alle 14:30, nella seconda colazione era mia consuetudine di ingozzarmi di queste pratiche vaschette di plastica trasparente contenente una pila di crackers che sapevano di formaggio, di formaggio cheddar che sapeva di mortadella e di salamino o mortadella tagliati a cerchietti regolari che erano di un colore vieto e anomalo e sapevano di formaggio cheddar. Ogni volta cercavo di realizzare una torre di diversa combinazione, per poi infilarmela direttamente in bocca, sforzando l'apertura mandibolare. Il top era cracker-formaggio-mortadella-formaggio-cracker.
- la fase Kellog's extra (anni 14): la cereali-mania solitamente scoppiava in estate. Ne portai una confezione anche nella casa al mare della mia amica. Contagiai anche lei: le colazioni light di agglomerati di cereali, tocchi di cioccolato fondente e nocciole intere aiutavano a mantenerci in forma per la prova-costume.
- la fase Panatine (anni 14): forse la canzoncina dello spot aveva esercitato su di me un potere ammaliante. Fatto sta che era il mio piatto preferito da consumare al rientro dagli allenamenti serali di pallavolo, rigorosamente gustato davanti a "Una mamma per amica". Il formaggio che si rapprendeva dopo soli 5 secondi aver tirato fuori le Panatine dalla padella antiaderente, era per me un fattore del tutto secondario.
- la fase Gocciole (anni 15-16): era inconcepibile che facessi colazione senza inzuppare i suddetti frollosi biscottini nel caffelatte. La fase si è evoluta in quella Gocciole extra-dark quanto prima.
Queste sono le delizie Mulino Bianco, Rovagnati & co. più importanti del mio trascorso da inabile in cucina. Il mio unico consiglio è però quello di cercare di resistere alla tentazione offerta da quelle psichedeliche ed ingannevoli pubblicità, che regalano mondi fatati e improbabili e personaggi ancora più improbabili, e di cercare la ricetta per farsi da soli i manicaretti decantati (anche se, ogni tanto, qualche schifezza d'emergenza ci vuole, magari nascosta sulla mensola, dietro lo zucchero di canna tanto salutare e il succo di jojoba ancora più salutare).

Per l'appunto, oggi vi posto la ricetta dei Pangoccioli (nota bene: non rientrano in nessuna delle mie fasi!), che ho sperimentato la scorsa domenica e che riproporrò sicuramente. I panini, morbidi e gustosi, si conservano alla perfezione avvolti in un foglio di pellicola trasparente. "Oh, ma sono anche meglio di quelli del Mulino Bianco!", ha esclamato una mia coinquilina azzannandone uno compiaciuta.

Pangoccioli

Ingredienti:

250 g farina 00
250 g farina 0 Manitoba
65 g burro morbido
1 uovo intero
1/2 cubetto di lievito di birra
150 g latte
100 g acqua
90 g zucchero
un pizzico di sale
100 g gocce di cioccolato

Procedimento:

Fare il lievitino mescolando 150 grammi di farina 00 e l'acqua; quindi, sbriciolarvi il lievito ed impastare. Porre il piccolo impasto ottenuto in un luogo tiepido per un'ora circa (deve raddoppiare).
Al termine dell'operazione, aggiungere al lievitino il resto degli ingredienti, avendo cura di sbattere leggermente l'uovo prima di unirlo al composto e di unire le gocce alla fine, dopo averle passate in un po' di farina (in modo da amalgamarle meglio al composto). Impastare bene finché non si attaccherà più alle dita (per 15 minuti circa). Porre a lievitare in un luogo tiepido (consiglio all'interno del forno) per un'ora e mezzo circa, fino al raddoppio dell'impasto.
A lievitazione avvenuta, formare delle palline (con queste dosi ne vengono circa 18), disporle su una teglia ricoperta da carta da forno, spennellarle con del latte, coprirle e lasciarle lievitare per un'ora circa.
Trascorso questo tempo, cuocere in forno preriscaldato a 200° per 10 minuti circa, finché non saranno coloriti al punto giusto. Far raffreddare e gustare.

sabato 7 novembre 2009

L'ABCibario - Torta di melagrane


Torta di melagrane, inserito originariamente da la tartina.

Direttamente dalle pagine del numero di OK di questo mese, giornaletto farmaceutico alquanto interessante e collezionato gelosamente da mio padre nell'armadio, riporto (riadattato) un simpatico - e utile, voCIBOlario (termine da me coniato per l'occasione), cosicché i vostri piatti non siano solo belli e/o buoni, ma anche sani.

A come arancia: previene i tumori di esofago e stomaco.
Le arance facilitano i processi di detossicazione dell'organismo dalle cellule cancerogene, in particolare prevengono i tumori del tratto digestivo.

B come banana: via i crampi muscolari.
Reintegrando il potassio, presente in questi frutti in grande quantità (ma anche nelle patate!), si riequilibrano liquidi e sali minerali nel corpo da cui dipendono quelle contrazioni che di solito colpiscono cosce e polpacci.

C come cipolla: riduce il rischio d'infarto.
Da uno studio dell'Istituto Mario Negri di Milano, risulta che mangiare una cipolla cruda (80 grammi circa) alla settimana riduce il rischio di infarto fino al 20%. In tutte le cipolle, infatti, sia bianche sia rosse, sono presenti composti solforati che migliorano la circolazione periferica, proteggono le pareti dei vasi dai danni ossidativi, riducono i lipidi plasmatici e modulano le funzione delle piastrine: svolgono cioè una funzione antiaggregante in grado di prevenire la trombosi. (n.d.tartina: senza infarto, ma anche senza amici con questo rimedio!)

D come dieta mediterranea: allontana la depressione.
Secondo un recente studio spagnolo, la dieta mediterranea giova, oltre che alla salute del corpo, a quella della psiche. Dalla ricerca, condotta per sei anni su diecimila persone, è emerso che chi segue un regime alimentare ricco di frutta, verdura, pesce, olio d'oliva e cereali integrali è meno incline a sviluppare sintomi depressivi.

E come erbette: favoriscono la memoria.
Le erbette, come le verdure a foglia verde, gli asparagi e i broccoli, contengono la vitamina B9, che è importante per il mantenimento della memoria.

F come finocchio: combatte la stipsi.
Per chi soffre di stitichezza, una scodella di finocchi è l'ideale, in quanto contengono una buona percentuale di fibra che stimola la velocità del transito intestinale. Funzionano bene anche sedano, spinaci e carote.

G come gelato: manda via la tristezza.
Uno studio britannico ha provato che basta una sola cucchiaiata di gelato per essere più felici. Grazie alla risonanza magnetica, si è visto che il gelato attiva i centri di piacere nel cervello. In particolare, mesencefalo e corpo striato, le stesse aree stimolate da una vincita di denaro.

I come insalata: per mantenere la linea.
La lattuga, con le sue 20 cal per 100 grammi, ma anche i cetrioli (14 cal) o i ravanelli (11) sono fra i cibi più dietetici in assoluto. In un regime dimagrante, un'insalata a base di lattuga Iceberg è perfetta come antipasto spezzafame o come contorno.

K come kiwi: rimedio per le caviglie gonfie.
Se la caviglia è gonfia, significa che i vasi si sono dilatati e faticano a spingere la massa sanguigna a monte, verso il cuore, cosicché il liquido ristagna e si diffonde nei tessuti, che aumentano di volume. I bioflavonoidi, di cui è ricco il kiwi (ma anche gli agrumi e i frutti di bosco), tonificano la parete dei piccoli vasi e così arginano la trasudazione dei liquidi.

L come limone: contro la carenza di ferro.
Come tutti gli agrumi, il limone è ricco di antiossidanti (che rallentano l'invecchiamento cellulare), tra i quali la vitamina C, che facilita l'assorbimento del ferro contenuto nei vegetali che ingeriamo. Quindi è una buona abitudine condire con il limone tutte le verdure che sono fonte di ferro; lo è a maggior ragione per le persone con carenza di ferro nel sangue.

M come mela: fuga la paura dell'Alzheimer.
Mangiare mele è un buon sistema per combattere l'azione ossidante dei famigerati radicali liberi, responsabili di molti processi degenerativi. Le sostanza contenute nella mela sembrano aiutare a rallentare i processi di invecchiamento cerebrale che possono condurre allo sviluppo dell'Alzheimer o di altre malattie degenerative neurologiche.

N come noce: un sonnifero naturale.
Le noci sono ricche di triptofano, l'aminoacido che entra nella sintesi della serotonina, sostanza importante per indurre e mantenere il sonno. Contro l'insonnia vanno bene tre noci al giorno.

O come olio: abbassa il colesterolo cattivo.
Grazie ai particolari acidi grassi di cui è composto, l'olio extravergine di oliva, se usato al posto di altri grassi (come il burro), permette una riduzione del colesterolo cattivo e invece un aumento di quello buono. Quanto consumare? Tre cucchiai d'olio al giorno, usati per condire, sono più che sufficienti.

P come pomodoro: lotta alla ritenzione idrica.
Il pomodoro ha un elevato contenuto di acqua (il 95% del totale) e un buon effetto diuretico, ideale per combattere la ritenzione idrica. In un regime alimentare ipocalorico, è un alimento basilare. Basti pensare che contiene soltanto il 3,5%di zuccheri, l'1% di proteine, lo 0,2% di lipidi e un'ottima quantità di fibra, 2 grammi per etto.

Q come quartirolo: dà una mano alle ossa.
Il quartirolo, come tutti i formaggi, è un'ottima fonte di calcio, essenziale per la crescita dello scheletro e la prevenzione dell'osteoporosi. Anche la frutta secca e alcuni vegetali (radicchio verde, rucola, cicoria o spinaci) contengono molto calcio. Tuttavia, l'assorbimento del calcio presente in questi alimenti, è molto inferiore a quello che si ottiene dai latticini.

R come radicchio: scaccia l'arteriosclerosi.
Le verdure rosse come radicchio e rape possono avere un buon effetto contro le malattie cardiache. Contengono le antocianine, pigmenti della famiglia dei flavonoidi che proteggono i capillari e contribuiscono a ridurre i processi infiammatori lungo le pareti interne dei vasi, favorendo la circolazione e riducendo l'accumulo di grassi, causa principale dell'arteriosclerosi.

S come sgombro: d'aiuto contro gli eczemi.
Il pesce azzurro, dalle sarde agli sgombri, ha una componente che lo rende speciale: la ricchezza di omega 3. Oltre a tutti i benefici per l'apparato cardiovascolare, i ricercatori hanno scoperto di recente che questi acidi grassi producono sostanze ad azione antinfiammatoria (leucotrieni e prostaglandine), che possono essere d'aiuto in patologie dermatologiche, come eczemi e psoriasi.

T come tè verde: per scansare l'influenza A.
Il tè verde bevuto tutti i giorni permette di tenere lontano il virus dell'influenza A. Il merito è delle epigallocatechine gallate, un tipo di molecole, contenute in abbondanza nel tè verde, che favoriscono l'azione del sistema immunitario.

U come uova: una provvista di energie.
Dietologi e nutrizionisti sono concordi nel promuovere l'uovo al primo posto nella scala dei nutrienti ad alto valore biologico: perché è ricco di proteine, di grassi buoni, di ferro, di zinco, di fosfolipidi, di vitamine. "Se ne consiglia la presenza in tavola anche tre volte la settimana, specie a colazione, come fanno gli inglesi, quando si fa provvista di energie per tutta la giornata", suggerisce Maria Letizia Petroni, dell'Istituto auxologico italiano di Milano.

V come vino rosso: blocca la progressione dei tumori.
Il vino rosso contiene resveratrolo che in laboratorio ha dimostrato essere efficace sia nel bloccare la progressione dei tumori sia nel prevenirne la comparsa. Detto questo, mai superare un bicchiere a pasto per gli uomini e uno al giorno per le donne.

X come xilitolo: dolcificante anticarie.
Da un recente studio condotto dalle Università degli Studi di Milano e di Sassari, risulta che masticare gomme dolcificate con lo xilitolo (un dolcificante) riduce la concentrazione nella saliva di streptococcus mutans, la specie batterica maggiormente responsabile della carie. Non bisogna esagerare, però: non oltre quattro chewing gum al giorno.

Y come yogurt: depura l'organismo.
Lo yogurt è latte fermentato che contiene batteri amici dell'intestino. Consumato tutti i giorni, è utile a sgonfiarsi e a depurarsi, ripristinando quei processi intestinali spesso alterati da un'alimentazione eccessiva o ricca di grassi.

Z come zucca: toccasana per la pelle.
La zucca contiene betacarotene, la sostanza che in parte viene trasformata dal nostro organismo in vitamina A. Queste molecole aiutano a riparare le cellule della pelle o proteggono dai danni dei raggi ultravioletti.

La ricetta di oggi è ripresa dal fantastico blog Fior di Frolla, complice un secchio di melagrane che altrimenti se ne sarebbero andate a male, con mio grande rammarico, vista la mia particolare propensione verso questi frutti rossi dal bellissimo colore. La riporto pari pari, con delle leggere modifiche che ho apportato: il risultato è una torta ottima, umida e morbida, in cui si incontrano l'asprezza del succo di melagrana e la dolcezza dello zucchero a velo.
(Tra l'altro beccatevi le proprietà della melagrana, tiè: La melagrana contiene zuccheri, vitamine A, B e C e altri preziosi antiossidanti, come l’acido ellagico. Bere infusi con i suoi grani macinati permette di purificare l’intestino. Questo frutto, inoltre, rafforza le difese immunitarie ed è benefico per l’impianto vascolare in generale. Si ritiene inoltre che 50 ml al giorno di succo di melagrana aiuti a frenare la formazione del colesterolo. Ma non è finita: secondo l’American Journal of Clinical Nutrition il succo sarebbe anche efficace contro l’arteriosclerosi. La presenza di tannino, poi, gli conferisce proprietà astringenti, mentre il potassio in esso contenuto aiuta contro il gonfiore. È infine un ottimo antiemorragico.)


Torta di melagrane

Ingredienti: (per uno stampo da 22 cm di diametro)

1 bicchiere di succo di melagrana*
125 g di burro fuso (io 80 g, ottimo risultato)
125 g di farina 00
125 g di zucchero semolato
2 uova
1 cucchiaino di lievito per dolci
la scorza di 1 limone bio grattugiata
100 g di zucchero a velo (io 70 g, risulta meno stucchevole)

Procedimento:

*Preparate il succo di melagrana: tagliate in due alcune melagrane (io ne ho utilizzate circa 3) e spremetele così come si fa con un'arancia utilizzando lo spremiagrumi. Prendete il succo ottenuto e filtratelo, facendolo passare attraverso un colino a maglie fitte o una garza pulita.

In una ciotola lavorate con le fruste elettriche le uova insieme allo zucchero semolato fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Incorporate il burro fuso ormai freddo e fatelo amalgamare, quindi unite la farina setacciata insieme al lievito e azionate le fruste fino ad ottenere un composto omogeneo. Aggiungete metà del succo di melagrana insieme alla scorza del limone e mescolate di nuovo con cura.
Trasferite il tutto in una teglia circolare da 22 cm di diametro, opportunamente imburrata e infarinata, e livellate. Fate cuocere nel forno già caldo a 180° per circa 30 minuti, verificando la cottura attraverso uno stecchino, che infilerete nel centro del dolce e che dovrà risultare asciutto.
Mentre la torta cuoce preparate la bagna mescolando il resto del succo di melagrana insieme allo zucchero a velo setacciato in un piccolo contenitore. Se notate comparire dei piccoli grumi vi basterà filtrare il liquido facendolo passare attraverso un colino a maglie fitte. Con un cucchiaino schiacciate i grumi rimasti per farli sciogliere.
Appena il dolce sarà cotto, sformatelo lasciandolo all'interno della teglia e con uno stecchino praticate tanti fori sulla superficie. Versate ora la bagna che verrà così assorbita dalla torta e fatela raffreddare. Poco prima di servire spolverizzatela con lo zucchero a velo e decorate con alcuni chicchi di melagrana, non fatelo con troppo anticipo altrimenti lo zucchero si inumidirà troppo e sarà esteticamente poco piacevole a vedersi.

lunedì 2 novembre 2009

Trick or treat?


Torta soffice di zucca farcita, inserito originariamente da la tartina.

Uno dei film che ha caratterizzato la mia infanzia, che noleggiavo non appena rimanevo costretta a casa dalle prime influenze di stagione, era "Nightmare Before Christmas", ideato e prodotto dal genio cinematografico Tim Burton. Diciamo che è da quella pellicola di fortunato successo che è stata alimentata la mia curiosità verso la festa di Halloween. A me piacevano le lucine e la neve che sembra panna montata del Mondo del Natale (o Nachele), però mi attiravano anche i calderoni e le streghette del Mondo di Halloween! La simpatia verso questa festa particolare è rimasta in me immutata col passare degli anni, se non alimentata (complice la canzoncina ad inizio film "Questo è Halloween, Halloween, Halloween!" con tanto di fantasmi danzanti e bambini inquietanti). Il nome "Halloween" deriva da "All Hallows Eve", che vuole dire appunto "Vigilia di Tutti i Santi", perciò "Vigilia della festa di Tutti i Santi", festa che ricorre, appunto, il primo giorno di novembre. Questa festività, che trova una grandissima risposta soprattutto in Canada e negli Stati Uniti, fu introdotta in Europa dai Celti, che festeggiavano così la fine dell'estate, credendo che in quella notte i defunti venissero a fare visita ai vivi sulla terra (è proprio dall'usanza di lasciare del cibo ai non-morti che deriva l'attuale "dolcetto o scherzetto?" esclamato da bambini mascherati sulla soglia di casa). Sebbene Halloween non faccia proprio parte della tradizione italiana, io ne rimango comunque... stregata e non mi va proprio di demonizzarla. Nel nostro paese non ha attecchito per il tempestivo intervento della Chiesa, che l'ha subito additata come festa pagana e quindi eretica. La stessa Chiesa che oggi continua a proclamarsi indignata nei confronti della ricorrenza del 31 ottobre. È assolutamente scandaloso intagliare una zucca ottenendo così un Jack O'Lantern come si deve, ma va bene che un parroco si intaschi i soldi destinati alla comunità ed utilizzati dai fedeli per accendere quei flebili lumi rossi vicino alla sacrestia. È un'ignominia che i bambini se ne vadano in giro per le case in cerca di dolcetti, ma i chierichetti che accompagnano il prete durante il giro di benedizione delle abitazioni vicino alla Pasqua devono essere riempiti di cioccolatini e rotelle di liquirizia. È sconcertante festeggiare vestiti da Sposa Cadavere o da mummia perché sembra di inneggiare al Demonio, però rientra nella norma che un frate molesti sessualmente un semplice redento che va a confessare i suoi peccati. Queste contraddizioni proprio non le capisco. Halloween è una festa pagana, è vero, e sicuramente è sfociata nel più puro dei consumismi. Ma il Natale? Vogliamo parlare del Natale? Solo per pochi rimane qualcosa di strettamente legato alla fede e alla religione, per gli altri (io compresa!) rimane una piacevolissima ricorrenza per passare più tempo in famiglia, mangiare panettoni scartando le uvette e/o i canditi (non c'è mai nessuno che lo apprezzi così com'è, poverino), addobbare la casa e scartare regali più o meno apprezzati. Secondo me Halloween fa parte di quelle feste così tipicamente british (come a Pasqua, i bambini americani e inglesi cercano le uova colorate che i genitori hanno nascosto) che dovrebbero essere incentivate e festeggiate come si deve. Ma forse è perché adoro le feste in maschera e sabato mi sono divertita troppo a vestire i panni di una moderna Mercoledì Addams, con tanto di codine e orsacchiotto di peluche impiccato. Black is back: si dice così, no?

Comunque sia, le zucche non devono essere usate solamente come inquietanti lanterne: queste cucurbitacee dallo spiccato colore sono infatti ottime in cucina. Per ora le avevo impiegate solo per ricette salate (vedi il risotto di zucca e rosmarino), ma quest'anno mi sono avventurata anche nella variante dolce, e con ottimi risultati, per altro. Questa torta è stata fatta di testa mia. Mentre la farcia è ripresa pari pari dal blog di Muccasbronza che però la utilizza come crema di accompagnamento, la torta di zucca in sé nasce dalle modifiche opportunamente da me adattate alla ricetta dell'Antro dell'alchimista . Il dolce, anche senza farcia, è ottimo persino a colazione: il gusto ricorda quello delle Camille del Mulino Bianco, a mio avviso anche più della torta di carote! La crema, invece, ricorda il gelato allo yogurt. Temendo di ottenere un orrido risultato (sarebbe stato in tema), penso invece che riproporrò la ricetta, che è stata gradita da tutti in famiglia.


Torta soffice di zucca farcita

Ingredienti:

per la torta:

3 uova
200 g zucchero
220 g farina 00
50 g fecola
50 g mandorle tritate
200 g polpa di zucca napoletana
60 g olio di semi di arachide
40 g latte
10 g lievito per dolci

per la farcia:

un vasetto di yogurt greco 0%
125 ml panna fresca
5 cucchiai di zucchero a velo

Procedimento:

Tagliare la zucca in piccoli pezzi e cuocerla al vapore, quindi frullarla insieme ad una tazzina da caffè piena di acqua col minipimer. Montare gli albumi a neve ferma e lasciarli da parte. In una ciotola, lavorare con le fruste elettriche per una decina di minuti anche i tuorli con lo zucchero e un cucchiaio d'acqua, sino a renderli chiari e spumosi. Incorporare quindi la farina, la fecola, il lievito, l'olio, le mandorle tritate finemente e la crema di zucca. Mescolare bene e riprendere a montare fino a d ottenere un composto ben amalgamato. Infine, incorporare con delicatezza gli albumi tentui da parte. Versare in una tortiera di 26 cm di diametro imburrata e infarinata. Cuocere in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti circa (fare la prova-stecchino). Una volta estratta dal forno, farla raffreddare, quindi sistemarla su un vassoio.
Preparare la farcia, mescolando un cucchiaio di zucchero a velo con lo yogurt greco. Montare la panna insieme allo zucchero a velo rimasto, ed incorporarla delicatamente allo yogurt, facendo attenzione a non smontarla.
Tagliare la torta di zucca longitudinalmente in due parti (poiché il dolce è abbastanza alto, soprattutto al centro, se si vuole togliere un po' di impasto servendosi sempre del coltello) e spalmarvi la crema di yogurt, quindi richiudere la torta. Porre in frigorifero a raffreddare per almeno due ore. Ottima anche il giorno dopo.