venerdì 31 luglio 2009

Life in technicolor


Gazpacho, inserito originariamente da la tartina.

A differenza di quello di un gatto, di un cane o di un pipistrello, l'occhio umano, miopia e astigmatismo a parte, ha la caratteristica di vedere il mondo a colori (si escludono daltonismi di vario tipo). Ciò è dovuto al fatto che gli oggetti, investiti dalla luce solare, assorbono determinate lunghezze d'onda e ne riemettono altre: e così vediamo l'erba verde perché il verde è l'unico colore che in realtà è respinto dal nostro giardino, un crocus giallo perché la lunghezza d'onda del giallo non è assorbita dal fiore dello zafferano. Fin dall'epoca degli Egizi, si è attribuito un significato ad ogni colore; in età moderna, poi, è nata anche la cromoterapia, secondo cui i colori aiuterebbero corpo e psiche a ritrovare il proprio equilibrio. Sebbene non creda a "Dimmi il tuo colore preferito e ti dirò chi sei" perché, a mio parere, fa molto test di "Cioè", è interessante notare come invece il colore delle pareti di una stanza o semplicemente di una maglietta possa influenzare il nostro umore, e vedere il significato che si cela dietro quel determinato colore. Il colore che in assoluto preferisco è il rosso: questo è il primo colore dell'arcobaleno che il neonato riconosce, è il primo colore a cui i popoli abbiano affibbiato un nome. Il rosso è il colore che può muoversi più rapidamente tenendo a sé legato lo sguardo, ed è stato dimostrato che l'esposizione al rosso accelera i battiti cardiaci e stimola la produzione di adrenalina. Il rosso è il colore legato a Marte, dio della guerra, per la sua associazione al sangue; è inoltre simbolo di vitalità, fierezza, amore, passione e sensualità. Di contro il blu induce alla calma e si connota come placida e profonda soddisfazione, denota uno stato di soddisfatto adattamento. Fissando a lungo questo colore si produce un effetto di quiete, soddisfazione ed armonia: è infatti ciò che ci capita di fronte ad una placida distesa d'acqua, o ad un cielo estivo. Per i cinesi il blu è il colore dell'immortalità. Il blu è il colore del silenzio, della calma e della tranquillità. è il colore della contemplazione e della spiritualità; non a caso è associato alla forma geometrica del cerchio, simbolo dell'eterno moto dello spirito, insieme di quiete e dinamicità. In una stanza blu i battiti cardiaci diminuiscono e la sensibilità al freddo aumenta, mentre gli oggetti sembrano più piccoli e leggeri. Da piccola invece andavo matta per il verde, a cui corrispondono sensazioni di solidità, stabilità, forza e costanza ed un comportamento caratterizzato dalla perseveranza. L'energia del verde è un'energia potenziale raccolta in se stessa che denota una tensione interiore. L'effetto di stabilità prodotto dal verde rappresenta, da un punto di vista psicologico, i valori saldi che non mutano. La scelta del verde indica inoltre autostima. Il verde è il colore della vegetazione, della natura e della vita stessa, è il colore della rinascita primaverile, della forza della natura.
Il verde, secondo gli psicologi, significa forza, perseveranza, equilibrio e stabilità. Probabilmente questo deriva dal fatto che il cristallino focalizza la luce verde quasi correttamente sulla retina e l'occhio percepisce perciò tale colore molto facilmente.
Il verde è associato a Venere, dea dell'amore e della fertilità. Talvolta il verde è anche associato ad una simbologia negativa, in quanto è anche il colore della rabbia e della putrefazione, del veleno e dell'invidia; nel corpo umano il verde è segno di grave malattia e di morte. Il giallo è il colore caldo per eccellenza, rimanda alla radiosità che risveglia e dà calore. Suscitando una sensazione d'espansione e spingendo al movimento, il giallo corrisponde ad una condizione di libertà e autosviluppo. Il giallo, infatti, è il colore dell'illuminazione e della redenzione. Simbolo del sole, dell'oro e della saggezza, appartiene alla sfera dell'espansione, dell'idealismo ed dell'azione. In Oriente il giallo è il colore del sole, della fertilità e della regalità. Le associazioni che si ritrovano in tutte le religioni relativamente al colore giallo sono: oro, luce e parola. E ancora il viola, nato dalla mescolanza tra blu e rosso, è il colore della metamorfosi, della transizione, del mistero e della magia; il marrone corrisponde invece alla corporeità, e per questo motivo, un rifiuto assoluto o indifferenza verso tale colore, denota un preciso atteggiamento verso tutto ciò che è materiale e legato alla fisicità. E infine il nero può essere definito come l'impressione visiva che viene sperimentata quando nessuna luce visibile raggiunge l'occhio; in Europa ha assunto il significato di lutto, morte e tristezza. Al contrario, in Giappone è il bianco il colore del lutto: questo contiene tutti e sette i colori dell'iride, ed è il colore della purezza, della pulizia, dell'innocenza, della nascita, della precisione.

Oggi vi propongo una ricetta freschissima, ideale per la calura estiva che sembra essere più intensa che mai. Il piatto è di un bell'arancione brillante, colore dell'ottimismo ad oltranza, della creatività, dell'energia. Non a caso, rappresenta la percezione sensoriale legata all'appetito.


Gazpacho andaluso

Ingredienti

100 g pane raffermo
600 g pomodori non troppo maturi
1 cetriolo
1 peperone giallo e 1/2 peperone rosso
1 spicchio d'aglio
1 cipolla di Tropea di media grandezza
sale
50 ml olio extravergine di oliva
aceto di vino bianco
acqua
pepe

Procedimento

In una ciotola mettere il pane, unendo poi mezzo bicchiere di aceto e acqua fino a ricoprirlo. Nel frattempo lavare le verdure, mondarle e ridurle a pezzettini, avendo l'accortezza di togliere buccia e semi ai pomodori, e le costole bianche interne e i semi ai peperoni. Frullare col frullatore le verdure con l'olio, il sale e il pepe; infine strizzare il pane e frullare anche quello al tutto. Mettere il composto ottenuto in una ciotola, quindi far raffreddare in frigorifero per qualche ora. Servire il gazpacho freddissimo (se si vuole, unire dei cubetti di ghiaccio), e accompagnarlo con verdure a pezzettini (cetrioli, peperoni, pomodori, cipolle), oppure tocchetti di pane tostati o fritti, o ancora uovo sodo a pezzettini.

mercoledì 29 luglio 2009

Volta la carta - Muffins ai pomodori secchi


Muffins ai pomodori secchi , inserito originariamente da la tartina.

Tra gli odori più accattivanti dell'estate, oltre all'aroma di cocco dello shampoo Herbal Essence e il profumo Flora by Gucci, inserisco senza alcuna esitazione quello delle pagine di un libro appena acquistato. Profumo intramontabile poi, che va bene per tutte le stagioni senza passare di moda. La carta appena stampata ha infatti quell'aroma inconfondibile di bontà che rievoca librerie fresche dotate di aria condizionata, lunghi corridoi con un sacco di scaffali pieni dei volumi più disparati da poter consultare e in cui perdersi con piacere, trascurando lo scorrere del tempo. Rimasta affascinata fin dai tempi di "La Bella e la Bestia", soprattutto dalla scena in cui la Bestia regala a Belle un'intera biblioteca agevole solo per mezzo di una lunga scala, ho sempre considerato le librerie come dei cantucci, luoghi pieni di significato in cui rifugiarsi. Io potrei davvero perdere un pomeriggio completo standomene solo a leggere le trame dietro ogni copertina. La mia casa editrice preferita è l'Adelphi, le pagine le preferisco ruvide e porose che non lisce, perché mi fanno venire in mente il gesso che stride sulla lavagna di scuola, odio le recensioni che rivelano la fine e preferisco leggere il libro prima di vedere il film che ne hanno tratto (ormai è la regola). L'estate poi, sembra essere una stagione particolarmente conciliante per la lettura: anche al telegiornale fanno dei fantastici servizi intervistando donne di una certa età spaparanzate al sole col "Codice da Vinci" in una mano e una piňa colada nell'altra. Secondo me arrivano giusto a conoscere Robert Langdon e poi il libro lo chiudono. Comunque sia d'estate, dove sono minori, o in teoria almeno dovrebbe essere così, pensieri e preoccupazioni, sembra lecito concedersi una lettura. In realtà la lettura è un passatempo che andrebbe coltivato anche d'inverno: anche io, pur avendo meno tempo, cerco comunque di leggere qualche pagina al giorno. Innanzitutto è veramente interessante e stimolante: a mio parere nessun programma televisivo odierno appagherebbe come la lettura di un bel romanzo. Poi arricchisce il nostro vocabolario ed è un'ottima palestra per la mente e, con la penuria di cervelli che c'è oggi, è un'ulteriore aspetto da non sottovalutare. Non a caso, sembra ultimamente che leggere sia un passatempo per pochi, per gli "intellettuali". E i libri che trovano il maggiore consenso sono, ahimé, quelli che io utilizzerei per stabilizzare un tavolo traballante. Prendiamo "Twilight", per esempio, o i libri di Moccia. Infarciti di emerite stupidate, un linguaggio da scuola elementare e concetti da scuola materna. Tutto condito da una storia poco consistente, che non inviterebbe a proseguire neanche uno sceneggiatore di fotoromanzi. E io mi chiedo come si possa compiere l'abominio di perdere tempo con questo spreco di carta quando invece esistono romanzi, sia classici, sia moderni, un centinaio di volte più accattivanti. Non c'è bisogno di leggere i grandi pilastri della letteratura (molte persone, brutto a dirsi, lo fanno solo per apparenza: mentre sotto il cuscino nascondono "New Moon" dicono di essere quasi arrivati alla fine di "Anna Karenina"), basta solamente trovare un libro che non appartenga alla categoria delle storie prettamente adolescenziali, dei vampiri o dei grandi best-seller che suscitano scalpore e che leggono tutti. E anche stare sotto l'ombrellone diventerà più piacevole.

La ricetta che vi propongo, di questi muffins salati, vi consentirà di mangiare anche mentre state sfogliando le pagine di un libro.


Muffins ai pomodori secchi

Ingredienti per 12 muffins medi o per un cake 24x12

180 g farina
1/2 bustina di lievito istantaneo per torte salate
3 uova
10 cl olio extravergine di oliva
10 cl latte
100 g pomodori secchi
50 g capperi piccoli
4 cucchiai di basilico spezzettato
4 cucchiai di parmigiano grattugiato

Procedimento

Dissalare i pomodori secchi mettendoli in acqua tiepida e cambiandola tre o quattro volte. Sgocciolarli, asciugarli con carta da cucina (lo stesso procedimento va fatto se i pomodori sono sott'olio), tagliarli a filettini e poi a pezzetti. Sciacquare, sgocciolare ed asciugare anche i capperi. Sbattere le uova con il latte e l'olio; aggiungere il formaggio, la farina setacciata con il lievito e per finire i pomodori, i capperi ed il basilico. Non serve salare. Versare il composto nello stampo prescelto. Infornare in forno preriscaldato a 180° per 20 minuti per il formato muffins, 50 minuti per il formato cake. Aspettare che si raffreddino e gustare.

lunedì 27 luglio 2009

Organizer


Torta alla crema cotta e pesche, inserito originariamente da la tartina.

Uno degli aspetti che più urta il mio già precario-di-suo sistema nervoso quando mi ammalo, è il fatto di dover frenare la mia continua e instancabile iperattività. Io sono una persona - diciamo poliedrica, che si tiene occupata con le mille attività più svariate. Anche se sono conscia di dover passare del tempo in casa, trovo comunque qualche espediente, come farmi t-shirts da sola, o mettermi a disegnare; questo perché la creatività è indispensabile nella mia vita, ne ho dosi a volontà da esprimere come più mi piace (dicono che il segno astrologico dell'Acquario sia particolarmente incline a ciò). Oltretutto, sono anche una persona che tende a programmare ed organizzare costantemente tutto quello che fa. Sebbene non mi serva di un'agendina elettronica o di un romantico Moleskine, il mio cervello, diviso a settori e scomparti, funziona come un registro di eventi. Quando la mattina mi sveglio, la mia testa comincia subito a programmare il da farsi e le ore che mi separano alla sera. C'è anche ore 8:45/9:05 colazione. Sa un po' di ossessione compulsiva, ma se qualcosa non va come da previsto o se, che non succeda mai!, qualche orario non viene rispettato, la mia rabbia sale alle stelle. Devo avere tutto sotto controllo. Ovviamente ciò si rivela impossibile, quanti sono gli imprevisti che sorgono inaspettatamente! Detto questo, comprenderete meglio quando vi dirò le parole "febbre per una settimana intera, a 39 con bronchite e a fine luglio". Innanzitutto, tutte le mie pianificazioni appunto. Le giornate in piscina, feste patinate in ville sperdute, giornate al mare e festival di musica. Puff, cancellato. E, come se non bastasse, con la febbre a 39 e oltre, di certo non potevo mettermi a fare chissà cosa. Anche un libro un po' più impegnativo di Glamour mi sembrava un'impresa titanica, per non parlare della cucina! L'ho così trascurata da non avere praticamente ricette nuove da proporvi (ma rimedierò). La mia attività consisteva nello stare supina nel letto emettendo un costante lamento da appestata, oltretutto mentre tutti intorno a me insinuavano che avessi preso la suina (vedi post precedente), il che è stato abbastanza avvilente. Solo adesso ne sto uscendo, in compagnia di un pasticcone di antibiotico di quantità macroscopiche, e di uno sciroppo con "aroma di cannella" e "polvere di caramello". Tutt'altro che appetitoso. Mi pinzo il naso, lo butto giù, bicchiere d'acqua e poi qualunque cosa abbia un sapore più gradevole. Come questa torta. Vogliamo parlare del "pasto del malato"? Brodo, petto di pollo con verdure lesse e riso in bianco. Appena mi sono messa in piedi ho voluto provare questa splendida torta che in questi giorni troneggiava in diversi blog, tra cui Deliziando, Muffins, cookies e altri pasticci e C'era una volta, ma adesso non c'è più, ripresa da "Sale&Pepe" del mese di luglio.


Torta di pesche e crema cotta

Ingredienti per 6 persone

per la base:
60 g burro
60 g zucchero
1 uovo
80 g farina
5 g lievito per dolci vanigliato
un pizzico di sale

per la crema:
130 g zucchero
1/2 l latte
200 g fecola
1/2 l panna fresca
4 uova
la scorza grattugiata di un limone non trattato

inoltre:
4 amaretti morbidi di Sassello (la ricetta ne prevedeva 8 ma 4 sono stati sufficienti a ricoprire la base)
400 g pesche noci

Procedimento

Innanzitutto prepariamo la base. Utilizzando le fruste elettriche, montate il burro morbido con lo zucchero fino ad ottenere un composto cremoso, poi incorporate l'uovo, la farina setacciata con il lievito e un pizzico di sale.
Foderate il fondo di uno stampo a cerchio apribile di 22 cm di diametro con la carta da forno, incastrandola col bordo, e imburrate e infarinate i bordi. Versatevi l'impasto e, utilizzando il dorso di un cucchiaio leggermente inumidito, livellatelo accuratamente, quindi cuocete la base in forno caldo a 150° per 30 minuti.

Nel frattempo prepariamo la crema. Scaldate il latte con lo zucchero in una casseruola finché quest'ultimo non si scioglie. A parte, stemperate la fecola nella panna e, versandola a filo nel latte zuccherato e mescolando continuamente con una frusta a mano, cuocete la crema su fiamma bassa per 5-6 minuti o fino a quando risulta molto soda.
Lasciatela intiepidire, quindi incorporate la scorza grattugiata del limone, le uova, una per volta, e le pesche (tranne una che servirà per la decorazione), pelate, snocciolate e tagliate a dadini.

Lasciate raffreddare la crema, cospargete la base cotta con gli amaretti sbriciolati, poi versate la crema sulla base (non spaventatevi perché arriverà fino al bordo ma in cottura non cresce), trasferite nuovamente lo stampo in forno e proseguite la cottura per un'ora a 150° (verificando la cottura al centro della torta con uno stuzzicadenti che deve uscire praticamente asciutto.
Lasciate raffreddare la torta nello stampo in frigorifero per almeno 6-8 ore, sformatela sul piatto da portata e decoratela con la pesca rimasta tagliata a lamelle sottili.

giovedì 23 luglio 2009

In caso di emergenza si prema il pulsante rosso


Yogurt fatto in casa, inserito originariamente da la tartina.

Ogni anno viene spontaneo chiedersi quale sarà la prossima epimania. Il termine, da me appena coniato, va ad indicare la propensione - della popolazione in generale, al più puro e perfetto allarmismo. La bomba viene sganciata prima dai telegiornali: qualche morte sporadica in Olanda, a Tokyo o in Uzbekistan da far risalire a qualche ignota ma pericolosamente mortale malattia. Subito si crea il caos: già dai primi servizi passati in televisione, pare obbligatorio chiedersi se sia meglio mettersi la mascherina per andare a fare la spesa, o vaccinarsi contro la rosolia (o il morbillo, o l'epatite B). All'ordine del giorno è il divulgarsi di un nuovo e strano virus di cui ancora non si conosce il rimedio, e che potrebbe radere al suolo la popolazione mondiale. Mass media che ordinano alla calma, al non agitarsi, quando non fanno altro che parlare dell'atroce destino che ci si prospetta uccisi dai bacilli: è una parola stare calmi. Gli italiani, mammoni e ipocondriaci di fama, non se lo fanno ripetere due volte, "È pandemia, è pandemia" e "Un altro caso in Germania, la morte non è certa, ma secondo me..." pronunciati con aria di chi la sa lunga, sono il condimento di ogni conversazione che si rispetti. Il virus della mucca pazza è forse il primo caso di allarmismo sanitario (bisogna escludere la peste tra 1347 e 1353; il Millennium Bug è invece quello di maggiore allarmismo tecnologico): già dopo 6 mesi le trattorie toscane riprendevano beate a servire ai tavoli alte fette di chianina al sangue, e il Mc Donald's era già tornato all'ordine del giorno, tanto che venivano sfornati gadgets per l'Happy Meal con velocità supersonica. Poi è stata la volta della SARS, un'infezione respiratoria virale, che minacciava di propagarsi da Oriente ad Occidente. In seguito, prima dell'attuale suina o influenza di tipo A, c'è stata l'aviaria, colpevoli i volatili selvatici, da abbattere tutti. Adesso è arrivata la febbre del Messico. Non voglio sottovalutare tali malattie, anzi (bisogna anche specificare che le sopracitate erano molto più pericolose della suina, di cui è già stato trovato il vaccino e che ha provocato, rispetto alle altre, un minor numero di decessi). Vorrei solo che non si crei panico e terrore in sovrabbondanza, soprattutto nei poveri viaggiatori che si apprestano a visitare la meravigliosa Londra. La suina entrerà a fare parte del nuovo panorama delle malattie da cui difendersi e proteggersi a suon di vaccino, e non possiamo farci niente. Stamattina mi sono svegliata con la febbre a 39 e mezzo, temperatura che non avevo mai raggiunto in tutta la mia vita. Influenza, non ci posso fare niente, se non prendere gli antibiotici, disdire tutti gli impegni comprendenti piscina e feste varie - purtroppo. Alla continua e ripetuta domanda di mio padre "Ma hai anche la tosse?" sospetto che la tosse sia sintomo dell'influenza A e giungo alla conclusione che io, un cybercondriaco, mi sa che ce l'ho in casa.

Oggi posto la ricetta dello yogurt di Paoletta. Mi affascinava prendermi cura di quei graziosi fermenti lattici e, da buona amante dello yogurt quale sono, devo ammettere che il risultato è davvero sorprendente!

Yogurt fatto in casa

Ingredienti indispensabili:

1 lt di latte intero e freschissimo, quello della vostra centrale del latte, meglio ancora se latte crudo, cercate se volete il vostro distributore più vicino, qui.

2 bei cucchiai (sì, solo due!) di yogurt bianco e intero. Meglio se il coop bianco, quello nella confezione rosa, altrimenti il kyr della Parmalat. Giuro che non lavoro alla coop, ma ne ho provati tantissimi, e con questo viene saporito, dolce e non acido.

1 pentola in acciaio ovviamente pulitissima

1 contenitore per alimenti di plastica opaca e a chiusura ermetica

1 colino per filtrare

1 cucchiaio

1 copertina di pile morbida e calda, i fermenti, si sa, amano il caldo

Raccomandazioni:
Il latte deve assolutamente essere intero.
E' impensabile ottenere uno joghurt compatto col latte parzialmente scremato o peggio ancora, scremato.
E, vi assicuro che, quello che faremo, sarà così compatto che il cucchiaino conficcato dentro, starà diritto da solo,

Lo yogurt dovrà avere una scadenza il più lontano possibile, meglio se 30 giorni, ma va bene anche una ventina di giorni. Questo perchè, più lo yogurt è fresco, più i fermenti saranno attivi e quindi più golosi di lattosio.
E' per questo, infatti, che lo iogurt è tollerato benissimo anche da chi è intollerante al latte.

Cominciamo:

Prendiamo il latte e mettiamolo nella pentola a fuoco molto dolce sul fornello medio. Dopo una decina di minuti circa (ma ovviamente controllate spesso) comincerà ad alzare il bollore. Non appena la panna si alzerà, e starà per raggiungere il bordo della pentola, spegniamo immediatamente. Togliamo con un cucchiaio quella panna, e, se non abbiamo problemi di linea (io non posso, sigh, sigh.. ) ce la gustiamo tutta!!

Copriamo la pentola con un piatto, per evitare il più possibile contaminazioni e mettiamola a bagno in una pentola più grande piena di acqua fredda. In questo modo il latte raffredderà molto più velocemente.

Ecco, ora qui dobbiamo fare attenzione... il latte sarà perfetto quando raggiungerà una temperatura di 40°non oltre, meglio anche 38°
L'errore che facevo io, ma non avevo il termometro, era di aspettare che fosse tiepido e basta, ma sicuramente non riuscivo a regolarmi bene, per cui immagino che lo lasciassi troppo caldo.
Per cui, se non avete il termometro, aspettate pure che sia freddo o appena tiepido.

Prendiamo adesso la ciotola di plastica e versiamo dentro 2 cucchiai di iogurt, aggiungiamo qualche cucchiaio (5 o 6) del nostro latte filtrandolo da un colino, ma se abbiamo tolto bene la panna, non ce n'è bisogno.
Mescoliamo con cura, non ci dovrà essere il più piccolo grumo.

A questo punto, accendiamo il nostro forno ad una temperatura di 50°, contiamo fino a 60 e andiamo a finire di preparare il nostro yogurt.

IMPORTANTE: il forno NON deve raggiungere i 50° ma solo diventare tiepido! per cui dopo 60 secondi, ma anche meno, va subito spento!

Aggiungiamo ora dolcemente il resto del latte mescolando bene. Copriamo col coperchio ermetico e avvolgiamo bene il contenitore nella copertina di pile e mettiamo il nostro contenitore nella sua copertina dentro al forno, mi raccomando copritelo bene, i fermenti sono freddolosi!
Chiudiamo lo sportello del forno... e aspettiamo circa 6/8 ore senza assolutamente muovere la ciotola, i fermenti sono anche permalosi, se li muoverete, non mangeranno lattosio e non produrranno lo joghurt.
Per cui, sappiate già che se avete deciso di fare lo yogurt, per quel giorno non dovrete assolutamente accendere il forno ed essere costretti a smuovere la ciotola.

Dopo le 6 ore controlliamo, togliendo la copertina delicatamente, se muovendo appena, vedrete che il liquido all'interno sarà ben compatto e sodo, il nostro yogurt è pronto!
Altrimenti lasciamolo fino a 8 ore, se necessario anche 12 ore.
Dopodichè va messo immediatamente in frigo!

IN ESTATE: da controllare il frigo, con il caldo, fa fatica a stare alla stessa temperatura interna che aveva in inverno, va regolato di nuovo! la temperatura ideale è 4/5 gradi.
Perchè anche se appena fatto è leggermente sodo, in frigo lo yogurt finisce di "compattare", cioè il siero si separa dallo yogurt, ma se le temperatura interna del frigo è sopra quella consigliata, fa ovviamente fatica e "fila"!

Nella foto lo potete vedere con cereali e pesca a pezzettini.

martedì 21 luglio 2009

La filosofia del sorriso


Riso nero estivo, inserito originariamente da la tartina.

Da piccola andavo praticamente matta per le Spice Girls: avevo tutta la loro discografia, sapevo a memoria i balletti, desideravo ardentemente che si accoppiassero coi Backstreet Boys, guardavo anche i loro orrori cinematografici e leggevo ogni loro emozionante intervista (stando ben attenta a non tralasciare i particolari più succulenti come "Emma ama il rosa shocking" o "Mel C indossa slip elasticizzati"). Un giorno, su un giornaletto poco pretenzioso, trovai scritte le testuali parole: "Posh Spice (Victoria Beckham, per la cronaca) non sorride mai ai fotografi e alle telecamere per evitare che le vengano le rughe". Da tartina pensante qual ero, ripensai a tutte le pose di Victoria, ancora con qualche chilo in più e le tette non rifatte. In effetti, ogni sua espressione era decisamente seria, come se avesse appena visto il suo gatto essere investito da un TIR, quasi funesta. La bocca, sottile e spalmata di lip-gloss, si distendeva in una linea retta e piatta ogni qualvolta compariva in pubblico. Questa cosa mi dette da pensare: non mi sarei voluta ritrovare certamente a trent'anni già avvizzita come una prugna secca! Cominciai a limitare al minimo riso e sorriso, destinandone l'uso a casi particolari, momenti di intensa ilarità. La cosa durò circa un giorno, se si vuole esagerare. Mi accorsi che era praticamente impossibile eliminare questa particolare espressione dal volto umano, forse la più bella che ci caratterizza, distinguendoci da un gatto o da un ornitorinco (se si tralasciano peli e piume...). Prima dell'età di due mesi il sorriso, nel neonato, è solo ed esclusivamente un riflesso involontario dei muscoli del viso: in seguito il pargolo diventa consapevole di stare sorridendo ad una folla, magari per i baffi della Zia Genoveffa, magari per il costante "Pucci pùpùpù" che gli viene rivolto da visitatori sconosciuti in estasi mistica, magari solamente per empatia ed imitazione dei parenti che gli stanno intorno come avvoltoi. Tuttavia, quel riflesso, seppur involontario, diventerà parte integrante della vita dell'ignaro fanciullo. Ridere è una caratteristica propria dell'essere umano, un'espressione che, volenti o nolenti, ci accompagnerà fino alla morte. Quando si ride, non solo la bocca si piega all'insù, ma anche gli occhi si illuminano e tutti i muscoli del viso, in un meccanismo concertato, collaborano a trasmettere un'emozione, che può essere gioia, felicità, ma anche sarcasmo, cinismo, arrendevolezza, tenerezza. La risata è liberatoria, ci scarica dagli affanni, ci alleggerisce; e se è vero che "il riso abbonda nella bocca degli stolti", secondo me preso in buone dosi e con razionalità è assolutamente indispensabile per una vita migliore. Vogliamo mettere con un pianto disperato o con una fronte aggrottata? Quella sì che fa venire le rughe, mentre dicono che invece ridere allunga la vita!

Oggi la ricetta di un'altra fresca e versatile insalata estiva, perché il riso è importante anche a tavola, a patto di tenere la bocca chiusa se piena.


Insalata estiva di riso e fagioli neri

Ingredienti per 4 persone

320 g riso per insalate
150 g fagioli neri messicani secchi
2 scatolette grandi di tonno in olio extravergine di oliva
sale
olio extravergine di oliva
erba cipollina

Procedimento

Mettere i fagioli neri a bagno per almeno 8 ore, quindi farli cuocere in acqua bollente per 2 ore circa. Scolarli dell'acqua e mettere da parte. Lessare in acqua salata bollente il riso, quindi scolare e aggiungere un cucchiaio di olio, amalgamando. Sbriciolare il tonno nel riso, salare, e infine aggiungere i fagioli messi da parte. Sminuzzare nell'insalata dell'erba cipollina e concludere con olio extravergine di oliva a crudo. L'insalata può essere messa in frigo se gradita più fredda.


P.S.: decisamente meglio le fotografie aggiunte da flickr, non trovate? :)

venerdì 17 luglio 2009

Il volo del gabbiano



Se penso alla Libertà, mi immagino il grande gabbiano Jonathan Livingston che spicca il volo sopra l'Oceano. Il volo come metafora della libertà non può che essere più azzeccato, e bisogna riconoscere che è difficile interpretare in senso figurato un concetto così astratto e così soggetto ad essere interpretato in più modi. Ognuno ha la sua idea di libertà, e bisogna vedere a che tipo di libertà ci si riferisce: se poi è vero che "la libertà di ognuno inizia dove finisce quella degli altri", siamo tutti schiavi di qualcosa. E quanto è vero. Ognuno ha le sue fissazioni, le sue regole e le sue catene che gli impediscono di spiccare il Grande Volo ma che - forse, è meglio così. Senza dare interpretazioni cosmiche alla libertà, vi dico solo che io finalmente oggi mi sento libera. La sessione estiva è terminata ieri con successo, dopo due giorni di agonia, in cui sono dovuta scalare al giorno dopo. L'ultimo esame, e si apre l'estate. Non vorrei apparire superficiale, ma è così bello potersi godere l'estate adesso! Poter prendere il sole senza pensare "non ho finito la parte sulle arilammine". Poter stare ai fornelli senza pensare "sto sottraendo tempo prezioso allo studio". Io, poi ho un grande Vincolo: i sensi di colpa. Ultimamente me la sto cavando un po' meglio, cerco di spezzare certe orribili catene. Ma fino a poco tempo fa, la mia stessa vita procedeva a sensi di colpa. Verso la scuola, verso il cibo, verso gli altri. Un continuo donarsi, dare tutta me stessa fino allo sfinimento con scarsa fiducia poi nelle mie capacità, nel raggiungimento dei miei obiettivi. Oggi sto meglio: la prospettiva dell'estate, l'essere più grande e matura, più aperta al resto del mondo, mi fa sentire diversa. Un po' strana, direi, ma eccitata al pensiero di iniziare un nuovo capitolo. Molto probabilmente questi discorsi sono tutti dettati dalla gioia di poter bruciare quei libri, almeno per un po'. Tuttavia, quella che avverto, è una languida e piacevole sensazione di Libertà. Non so se mi spiego :)


Torta rustica di grano saraceno

Ingredienti

per la torta:
200 g farina di grano saraceno
50 g farina 00
1 uovo
30 g burro
acqua gassata

Procedimento

Mescolare le 2 farine e diluirle con 2,5 dl di acqua gassata. Incorporare l'uovo e, sbattendo con una frusta, unire i 30 g di burro fuso e una presa di sale; lavorare la pastella aggiungendo altra acqua gassata (circa 2 dl), finché sarà cremosa. Farla riposare per almeno 2 ore. Cuocere le crêpes versando un mestolino di pastella in un padellino di 18 cm unto di burro, cercando di farle il più sottile possibile e tenerle in caldo: con queste dosi si avranno circa 9 crêpes.
Farcire a piacimento, io ho utilizzato pomodori a pezzettini conditi con olio extravergine di oliva, sale e pepe, gamberetti al vapore, fiocchi di latte e rucola, ma l'impasto si presta a mille interpretazioni: mettere una crêpe su un piatto, spalmarla con la farcia, coprirla con un'altra crêpe e continuare così fino a raggiungere il numero di strati desiderato.

lunedì 13 luglio 2009

Ciak, si gira!



Si dice che la vita è come un film, di cui noi siamo i registi e gli attori principali. Ci piacerebbe. Voglio dire, possiamo anche immaginarci le più svariate colonne sonore durante alcuni momenti di vita vissuta: "Macho man" quando scorgiamo qualche bel fustacchione dall'altro lato della strada, l'inquietante jingle dello "Squalo" quando arriva un ospite sgradito, "Le tagliatelle di nonna Pina" quando prepariamo i paccheri per pranzo. Tuttavia, ciò non fa della nostra vita un film, nella quale purtroppo ci sono molti più imprevisti e fatti contingenti e problemi che neanche gli sceneggiatori di Lost riuscirebbero a risolvere. Inoltre, nei film, la realtà è decisamente messa da parte. Prendiamo il make-up delle attrici: il viso e i capelli sono perfettamente curati anche la mattina appena sveglie, dopo notti di intensa passione, escursioni nella giungla, bagni inaspettati, pianti melodrammatici, corse in automobile o su tacco 12. Di certo non hanno il mascara che cola miseramente, o il rossetto sbaffato, o le caccole agli occhi assonnati e gonfi. Tutti i letti sembrano avere delle particolari lenzuola a forma di L, che coprono l'ascella della donna, ma solamente la vita dell'uomo che le dorme accanto (in una posizione rigorosamente "a cucchiaio"). Al telefono non c'è mai bisogno di dire "Pronto" o di far capire chi è o di salutare, tanto l'interlocutore capirà lo stesso senza problemi quando la telefonata è finita e non penserà che gli è stato sbattuto il telefono in faccia. Perché se una vittima si rifugia nel buio più completo lei giustamente non vede una ceppa, mentre l'assassino vede tutto e la può uccidere a badilate? I ogni film, se viene acceso un portatile, è subito operativo ed in grado di prendere il controllo dei sistemi operativi di qualunque invasore alieno, e Mozilla Firefox non ci impiega 3 anni per aprirsi (maledetto). Basta volerlo, e si riesce addirittura a scansare i proiettili. In ogni busta della spesa sbuca una baguette; se la busta cade, conteneva per forza delle uova. In una casa infestata dai fantasmi, le donne devono svolgere le indagini rigorosamente in biancheria intima (casomai i fantasmi fossero di bella presenza...) Se in un film vi è una grande vetrata, prima o poi qualcuno andrà a sbatterci contro. Se il film è ambientato a Parigi, da ogni parte della città la torre Eiffel è visibile. Nei film polizieschi c'è sempre un poliziotto o un detective che va in pensione, nonostante abbia trent'anni. In America i vicini non utilizzano mai tende, persiane o avvolgibili: se devono svolgere azioni delittuose o libidinose lo fanno tranquillamente di fronte alla finestra, rivolti al mondo. Entrare in una casa che non ci appartiene, come rubare un'auto, non è mai un problema: basta avere una forcina per capelli e il problema è risolto. In ogni rispettabile ufficio americano non si può non andare in giro con una tazza di caffè nero in mano; se poi è bollente, è inevitabile che qualcuno te lo rovesci addossi. Se scatta la passione tra i due protagonisti, c'è subito un motel in grado di accoglierli, e lei non ha mai le mestruazioni. Le ragazzine sfigate verso metà film subiscono un'evoluzione: si tolgono gli occhiali, indossando lenti a contatto, aumenta loro il seno di circa una taglia, si vestono Valentino e si piastrano i capelli, diventando fighe. In un film d'azione è sempre presente un inseguimento tra automobili che ha queste dinamiche: le auto della polizia ululano e danno lavoro ai carrozzieri di mezza città con sbandate in controsterzo, camion in fiamme in mezzo alla strada, salti con scintille all'atterraggio e di circa 10 e 20 metri (tanto le sospensioni rimangono intatte), finché alla fine rimangono solo l'auto della polizia e quella del protagonista. Si può ordinare un drink al bar senza specificare cosa si voglia, o la marca della birra desiderata; inoltre, non c'è neanche bisogno di ritirare il resto. Tutti riescono a guidare un aereo, basta ci sia qualcuno che dica cosa fare dalla torre di controllo. Se il protagonista è assalito da un consistente numero di avversari esperti nelle arti marziali, non c'è problema: questi aspetteranno pazientemente il loro turno aspettando che egli abbia neutralizzato il loro predecessore prima di attaccarlo. Per disattivare le bombe, tutte dotate di un timer che indica i minuti all'esplosione, occorre semplicemente tagliare un filo, non importa di che colore, tanto sarà quello giusto. Gli uomini, anche se nel Neolitico, sono perfettamente depilati, e con sopracciglia perfettamente curate, mai col monociglio.
Ecco, in poche e pratiche righe, vi ho svelato l'impossibilità di vedere la vita come un film. E oltretutto vi dirò, penso sia meglio vivere piuttosto che recitare costantemente una parte che non ci si addice.

Un dessert di grande effetto e decisamente gustoso, che i protagonisti di un film riuscirebbero a mangiare senza la benché minima colatura di gelato. Ovviamente se il protagonista è maschio e si sporca, ci sarà subito una protagonista donna pronta a sottrargli la camicia per lavarla: finiranno col fare sesso sfrenato e il dessert verrà dimenticato.


Tacos alle mandorle farciti con gelato

Ingredienti per 6 tacos

80 g zucchero
20 g farina
20 g burro
80 g mandorle a filetti
2 albumi
800 g gelato al fiordilatte
4 cucchiai di pistacchi sgusciati

Procedimento

Sbattere leggermente con una forchetta gli albumi in una terrina, sena montarli; unire lo zucchero, la farina setacciata, il burro fuso e i filetti di mandorle. Disporre il composto a cucchiaiate su una teglia rivestita di carta da forno, ben distanziate tra loro, allargarle in modo da ottenere degli ovali lunghi circa 15 cm e larghi 8 cm.
Mettere nel forno preriscaldato a 180° per 15 minuti circa, finché il composto comincia a colorire. Sfornare gli ovali, staccarli subito con una spatola e disporli, ancora caldi, su un matterello sollevato dal piano di lavoro con degli spessori alle estremità; piegarli delicatamente con le mani affinché assumano la forma dei "tacos" e lasciarli raffreddare. Tritare grossolanamente i pistacchi. Farcire i tacos con il gelato al fiordilatte, cospargerli col trito di pistacchi preparato e servire subito.

sabato 11 luglio 2009

Gioventù bruciata



All'età di 11 anni io ancora giocavo con le Barbie, e cominciavo a rimanere affascinata dall'arrivo delle Bratz, le bamboline anoressiche fashion col testone più grosso di loro. Leggevo Topolino, e rimanevo incantata dai disegni Disneyani, e dalle storie moraleggianti. Con le amiche improvvisavo scettri di carta e giocavo alle paladine della giustizia. Con gli amici optavo per il nascondino, ma mi prestavo anche a giochi di battaglie e strategia. La sera guardavo con il babbo e la mamma la Gialappa's Band o qualche film impegnato, poi li salutavo con un bacino sulla guancia, e, quando facevo tardi, era mezzanotte. Mai avuta la Play Station, mai avuto il Nintendo, mai avuto il Tamagotchi, il giochino elettronico più stupido della storia, che portava il bambino a diventare un automa asociale, chiuso nel suo mondo col suo unico amico - un pulcino virtuale che cagava e moriva ad intervalli alterni; mi limitavo al Prato Fiorito del computer giusto quando non avevo niente altro di meglio da fare. Non ero ancora Donna, invece del reggiseno portavo un top, non mi ero mai depilata e i maschi li vedevo solamente come compagni di merende. Eccezioni a parte, in linea di massima era così, alla scuola che frequentavo. Classe 1990, mi sorge spontanea una domanda che potrebbe benissimo formulare mia nonna: cos'è successo ai giovani d'oggi? Non voglio scagliarmi in polemiche sulla gioventù che finisce nella droga, a guidare macchine sportive e senza un principio, né un ideale, figuriamoci. Piuttosto mi vorrei soffermare su quei "giovani" di 10 e 11 anni. Innanzitutto, è cambiato il significato del termine: prima in quella fascia d'età c'erano i bambini, giovani e teen-agers si diventava ad almeno 14-15 anni. Ora sembra di essere in una lotta contro il tempo: tutto è anticipato, le tappe più importanti della vita vengono bruciate senza che nessuno se ne accorga. Il bello è che i genitori, se da una parte si lamentano dei pargoli imbevuti di fertilizzante a crescita rapida, dall'altra sono loro stessi ad incrementare il processo. Perché, nell'occasione di una Comunione, regalare un cellulare? Il bambino ha 9 anni, cosa se ne fa del cellulare? Ci chiama gli amici immaginari? Il Telefono Azzurro? Sarebbe meglio optare per uno zaino, una macchina fotografica, una mazzata in testa. L'evoluzione forzata dei ragazzini di oggi ormai non ha più freni: il sabato sera è davvero inquietante vedere sfilare in centro dodicenni in abiti succinti (e anche volgari, vi dirò) e maschiotti brufolosi e ancora un po' tarchiati che gli corrono dietro. Io stessa, a volte, quando vado a ballare, mi sento fuori luogo, e ritrovo a chiedermi se devo essere io ad andare a casa o loro ad essere a letto a dormire. Accanto a televisori sparsi per tutta la casa che contribuiscono ad una regressione cerebrale, alla Nintendo Wii e ai palmari nelle tasche dei jeans, c'è anche proprio un diverso atteggiamento di approcciarsi alle cose, ma soprattutto agli altri. Innanzitutto si è perso il rispetto per le persone più grandi, poi si sta facendo largo un nuovo modo di vedere anche l'intimità e la sessualità. Ragazzine sveglie si prestano ad emozionanti video fatti col cellulare dove mostrano fiere le loro nudità, per poi inviarli agli amici, un po' come inviare la foto del nuovo animale domestico, o le foto che Fiammetta ultimamente non fa che inviare del suo soggiorno presso la band di deficienti della Tim. Strappare via i peli e truccarsi da transessuali da sbarco diventa la quotidianità fin dagli 11 anni, mentre io ancora a 14 anni me ne andavo in giro coi toupet sotto le ascelle; con le lampade si inizia dai 12, casomai dopo la pelle ne risentisse troppo (poco). Fare sesso è come fare un nuovo record a Pinball, il flipper offerto gentilmente dalla Microsoft. Una gioventù superficiale e precocemente cresciuta si sta affacciando alle soglie dell'età moderna. Il problema può essere scansato ed evitato, pensando forse che sia eccessivo arrivare a dire certe cose, che sono i tempi che cambiano, che non c'è niente di male. Solo una domanda: cosa fare quando, a ricreazione, i bambini delle elementari si nasconderanno in bagno a fumare? Scusate, ragazzi, non bambini.

In onore dei bambini che venivano beccati con le mani nella marmellata, la ricetta di questa spalmabile delizia che ha conquistato me e famiglia.


Marmellata di albicocche

Ingredienti

per ogni kg di albicocche mondate
550 g zucchero raffinato

Procedimento

Denocciolare le albicocche e privarle delle parti non edibili fino a raggiungere la quantità desiderata (uno o più kg). Tagliarle a pezzettini e metterle in una pentola antiaderente dai bordi alti e piuttosto capiente insieme allo zucchero. A fuoco medio-basso far cuocere per due ore circa, mescolando spesso con un cucchiaio di legno (questo tempo può essere perfettamente impiegato telefonando alla suocera o all'amica logorroica che non sentiamo da un bel po'). Per una marmellata più liscia, far cuocere di più; più soda, far cuocere di meno, anche se questa è una consistenza ottimale. La consistenza perfetta è raggiunta quando, posto un cucchiaino di marmellata su un piatto, inclinandolo la composta resta ferma o cola molto lentamente. Spegnere il fuoco e riempire di marmellata dei vasetti sterili precedentemente preparati, quindi lasciarla raffreddare all'interno di essi, senza chiuderli. Quando si saranno freddati, per conservare meglio i vasetti, chiuderli con i loro tappi e metterli in una larga pentola colmandola di acqua (l'acqua deve sommergere i vasetti). Portare all'ebollizione e farceli rimanere per 10 minuti circa. Trascorso questo tempo, farli raffreddare e poi prelevarli. In questo modo si conservano per moltissimo tempo; una volta aperto il vasetto però, conservare in frigorifero.

giovedì 9 luglio 2009

Sull'enigma del ravanello pallido - Petto di pollo con salsa allo yogurt



D'inverno è candida come la neve che si deposita sui tetti acuminati di montagna, ancora non sporcata dalle schifide zampette di uccello, né dalle ruote dell'automobile appena riposta in garage (successivamente alla caduta dalla grondaia). D'inverno è di un pallore unico, come se, invece dei raggi UVA, avesse assorbito i raggi lunari, sempre se esistono raggi lunari. D'inverno è marmorea, sempre fredda come il tavolino di cristallo in salotto. D'inverno è spettrale, che manco Mercoledì della famiglia Addams. D'inverno è pura, più delle Vestali, più o meno come la Levissima, (che è anche altissima).
D'estate trascorre un breve, iniziale periodo, in cui è tacchinacea, fuso o sovracoscia ancora non si è scoperto con esattezza: lievemente rossastra, un po' come la carta delle caramelle Rossana, quelle con cui la nonna ci riempiva le tasche e che avevano la cremina dentro che yum-gnam-slurp. Poi la svolta. Dal terra di Siena si passa in un batter d'occhio al Terra di Siena bruciata. E piano piano, la dipendenza.

Cos'è?

La pelle di tartina, ma è ovvio!
Come ogni anno, con la mente infarcita dai più svariati articoli di riviste patinate, mi riprometto di non prendere il Sole, perché fa venire le rughe. Il fatto è che detesto le persone fissatissime per l'abbronzatura, che anche in pieno inverno sembrano appena state alle Maldive, mentre in realtà hanno solamente trascorso tanto tempo alle Lampados (centro di lampade ed abbronzatura immediata)! Detesto questa gara di abbronzatura che fanno partire le donne, magari senza volerlo. Detesto dover trovare la forza di mettermi lì al Sole caliente, di spalmarmi di crema e di stare ad arrostire unta come una bruschetta. Ok, però forse giusto un pochino, solo per eliminare quella carnagione a Mortimer che mi ritrovo, e per diffondere un po' di salute sul volto senza l'ausilio del pennello del fard. Però mica sto male, un po' abbronzatina, quasi quasi mi ci rimetto, con la sdraio dietro casa, vicino ai campi dove - si spera - non mi veda nessuno, che l'ultima volta la ceretta mica l'ho passata tanto bene. Ma così perdo tempo: devo studiare, devo farmi la doccia, devo uscire, devo. Spatasciata sulla sdraio, giacendo in quel telone blu a stelle nere che fa così gotho, seppur sudando come la pora Sora Lella, sto di lusso. Il Sole che penetra nella mia pelle, nelle mie ossa, mi ricarica, mi rigenera, mi dà quell'ottimismo che mi fa sorridere senza motivo. Poi, verso mezzogiorno, penetra anche nella testa. Ed ecco che allora sono cavoli vostri.

Una carne semplice accompagnata da una salsa anch'essa semplice. Il pollo sta a tartina come la salsa sta alla crema protettiva.


Petto di pollo con salsa allo yogurt

Ingredienti

400 g petto di pollo
3 cucchiai di yogurt bianco
curry
cumino
olio extravergine di oliva
sale

Procedimento

(Di imbarazzante facilità) Preparare la salsa, mescolando allo yogurt 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, e abbondando di spezie. Porre in frigo ad insaporire per almeno un'ora.

Riscaldare una piastra antiaderente e cuocervi il pollo. Salarlo, versarvi un filo d'olio e mettere su un piatto.

Quindi, versare la salsa sul pollo, armarsi di pane e gustare.

martedì 7 luglio 2009

Non aprite quella porta


I brividi sulla pelle sono una reazione spontanea del nostro organismo in seguito ad una particolare emozione che avvertiamo e/o situazione in cui ci troviamo. Per esempio, se uscissimo di casa a dicembre senza indossare il cappotto, il freddo dell'inverno ci penetrerebbe nelle ossa, facendoci rabbrividire: in questo caso i brividi servono ad inspessire lo strato superficiale della pelle, in modo che la minor quantità possibile di calore venga disperso per conduzione. Quando riceviamo una carezza dalla persona amata, può accadere che veniamo percorsi da un brivido di piacere, dovuto alle farfalle che volano beate nel nostro stomaco da innamorati. Tuttavia, voglio puntare i riflettori su un altro tipo di brividi: quelli che possono scaturire dal cigolio di una porta, dallo sbattere di una finestra, dalla sensazione che ci stia per accadere qualcosa di male. I brividi di paura. La paura è un'emozione istintiva e quella che, proprio per questo, più ci accomuna al mondo animale, e che deriva dalla percezione di un pericolo: come un cane che si spaventa per i botti di Capodanno, un uomo si spaventa per il rumore assordante di un tuono durante un temporale. Il rischio può essere fondato come no: ci sono paure razionali, che possiamo provare quando cadiamo da uno scaleo alto 3 metri intenti a raccogliere ciliegie, ma anche paure irrazionali, che possiamo provare quando guardiamo un film horror. Il rapporto con la paura, inoltre, si evolve e cambia con la crescita dell'individuo, ed assume varie forme per ognuno di noi. Io da piccola non avevo paura di niente; mentre i miei compagni piagnoni strillavano al ronzare di un'ape, io imperterrita non mutavo la mia serena espressione, forse intuendo che è da persone sagge non provare paura per qualcosa di infondato. In realtà, non l'avevo intuito. Una volta, infatti, fui lasciata a casa della nonna di un mio amichetto: la suddetta vecchina, per fare stare buono l'agitatissimo nipote, lo intimoriva con terrificanti storie di pura invenzione. Trovandomi lì, assistetti alla scena. Sebbene a lui quel "lupo che si trovava nell'altra stanza" non facesse né caldo né freddo, a me invece segnò profondamente. C'è infatti la tendenza, del tutto sbagliata vi assicuro, di fare del terrorismo psicologico ai bambini, solo perché non si ha la forza di imporsi in quanto adulti. Non solo, è errato anche raccontare "se dici le bugie ti cresce il naso come è successo a Pinocchio". Perché infarcire le piccole testine di queste assurdità? La verità, sembra strano, ma è la strada migliore: il bambino capirebbe che dire bugie è sbagliato, e non si infilerebbe continuamente le dita nel naso cercando di farlo stare fermo e di impedirgli di allungarsi. Ciò è, per i piccoli, infinitamente deleterio, e ve lo dice una che, dopo la storiella dell'inquietante "stanza di là", ha avuto paura del buio fino all'imbarazzante età di anni 13 e mezzo. Fino a 10 anni, di sera, non riuscivo neanche a spostarmi da sola per andare al bagno, avevo sempre bisogno di qualcuno che mi accompagnasse. Il mio era terrore puro, mi immaginavo le cose più inquietanti nascondersi al di là del muro. Ovviamente dormivo con la coperta tirata fin sopra la testa (d'estate, anche con 40°, il lenzuolo non mancava mai) e lo zaino lo dovevo fare almeno prima di cena, per evitare di fare la sera il tragitto salotto-camera da letto, di circa 5 metri tra l'altro. Il colpo di grazia me lo inflisse la visione non voluta del film di Spielberg IT. Ovviamente da lì in poi la grata della doccia è stata guardata sempre con sospetto, e i pagliacci, tranne Krusty il Clown dei Simpson, mi hanno sempre un po' intimorita. Adesso, per esempio, questa strana fobia mi è del tutto passata. Mi muovo nel buio come un pipistrello senza troppi problemi. Anche se un film horror qualsiasi mi causa ancora una certa tachicardia, non riesco assolutamente a vederlo come qualcosa di pura finzione (mettete in conto anche la mia spiccata fantasia e immaginazione)! E anche gli specchi hanno quel non-so-che di spettrale, soprattutto quando sono in casa da sola (e l'immagine riflessa non è delle migliori ahah). Ho sviluppato altri tipi di paure, per esempio quella di farmi del male in qualsiasi modo, o che succeda del male alle persone a cui voglio bene. Per fortuna, però, non ho fobie che sfociano nella paranoia, come le gettonatissime aracnofobia (paura dei ragni) e claustrofobia (paura dei luoghi stretti e chiusi). Per esempio, sapevate che Madonna è brontofobica(paura dei temporali)?

Oggi la ricetta di questi deliziosi muffins, provenienti dal blog Fior di Frolla. Io li ho fatti con marmellata di ciliegie e di albicocche, ma potete scegliere il gusto che più vi piace. Ah, dimenticavo, non abbiate paura di abbondare, con la marmellata ;)


Muffins cuor di marmellata

Ingredienti

secchi:
250 g farina 00
140 g zucchero
2 cucchiaini di lievito per dolci
1 bustina di vanillina

umidi:
2 uova piccole
85 g burro fuso
200 ml latte

marmellata al gusto prescelto

Procedimento

Mescolare gli ingredienti secchi e quelli umidi in due ciotole separate, quindi unire i due composti mescolando poco, e lasciando l'impasto piuttosto grumoso, non liscio. Versarne un cucchiaio negli appositi stampini, unire un cucchiaino abbondante di marmellata, e coprire con altro composto, fino a riempire i 3/4 dello stampino. Cuocere nel forno preriscaldato a 175° per 20 minuti circa. Sfornare e, appena si saranno raffreddati, cospargere di zucchero a velo.

mercoledì 1 luglio 2009

Accidenti al diavoletto...



Se è vero, come dice il detto, che "gli opposti si attraggono", allora è ugualmente veritiero che "i simili si scontrano". Nonostante non sia bene generalizzare troppo, mi sono accorta che, spesso e volentieri, i litigi nascono proprio dal battibecco tra due caratteri troppo simili. Ovviamente ci sono anche - e sono numerosi, litigi che nascono per divergenze di opinione o incompatibilità di ideali e valori, e ancora i litigi che nascono per questioni stupide e superficiali; tuttavia bisogna ammettere che, perlomeno nell'ambiente familiare, le scenate che si scatenano sono principalmente causate da una convergenza di carattere, abitudini e inclinazioni. C'è anche chi afferma che litigare fa bene, che dopo il litigio i coinvolti ne usciranno più fortificati e più uniti. Minchiate, scusate il francesismo. Litigare non è certo una cosa piacevole, anzi, e se comunque poi lo scontro porta successivamente ad una riappacificazione e ad un rapporto maggiormente consolidato, c'è da dire che a volte purtroppo non è così, che i litigi si protraggono negli anni, che alcune fratture non possono essere risanate, e, allo stesso modo, che se tutto andava bene, manco c'era bisogno di litigare. I litigi nell'ambiente familiare sono i più frequenti: ovviamente siamo più capaci di dire a nostra sorella che il suo tailleur nuovo le sta malissimo, piuttosto che ad una collega, creando poi un ambiente di lavoro insalubre dove non riuscire a passare il resto dei nostri giorni senza il timore di essere pugnalati in pausa-caffè. Infatti il litigio è anche segno di maggiore confidenza con la persona con cui ci si scontra: in una coppia, il litigio avviene solitamente quando questa si è formata da un po' di tempo, mentre all'inizio si tende a passare sopra a tutto, credendo che alcuni difetti verranno smussati, o semplicemente che ci facciamo troppe paranoie. In casa, inoltre, ci sentiamo ovviamente più a nostro agio che in qualsiasi altro luogo e, quando vogliamo sfogarci, per un pretesto o per un altro, attacchiamo subito le persone che ci circondano. Molte volte capita di litigare solamente perché siamo insoddisfatti di qualcosa nella nostra vita, non perché il minestrone è troppo salato o perché non troviamo la custodia degli occhiali. Tuttavia, tornando al prologo iniziale, mi sono resa conto, quando litigo con i miei genitori (da figlia unica e non avendo nonni o animali in casa, sono gli unici abitanti delle mie quattro mura), spesso e volentieri è perché sono troppo simile a loro. Se ciò mi porta da una parte a non volerlo ammettere, dall'altra mi porta a riflettere. Più cresco e più mi accorgo di quanto assomigli a mia madre (sono testarda, non retrocedo tanto sulle mie posizioni!) e a mio padre (quando sono in difficoltà, tento di fuggire dai problemi; a volte mi innervosisco con poco). Gli scontri che nascono, quindi, sono solamente il frutto di una sorprendente compatibilità dei caratteri. E allora mi viene da sorridere, ripensando a quando, ragazzina adolescente ed inquieta (quando si è adolescenti non si riesce ad ammetterlo di essere intrattabili, anche questo si capisce solo in seguito grazie all'esperienza), in camera con la porta chiusa e serrata, pensavo risoluta "Non sarò mai come loro!" E solo col senno di poi riusciamo a capire quante cose vengono fatte solo per il nostro bene, solo a causa di quell'istinto protettivo che si ritrova in quasi tutti i genitori. E, via via che scorre il tempo, tendiamo sempre più ad assumere i loro atteggiamenti, anche quelli che mai avremmo sospettato di acquisire. Quanto fastidio ogni volta che, aperto lo scomparto della cucina, mi apparivano cartoni su cartoni di latte! Quel bisogno di mia madre di fare scorta di qualsiasi cosa, come se da un momento all'altro non si potesse più uscire di casa, o tutti i supermercati del mondo decidessero di chiudere inavvertitamente. E adesso? Adesso la ringrazio se, quando ho voglia di fare un dolce, il frigorifero è sempre pieno di uova e pacchetti di farina di ogni tipo, zucchero e lievito si moltiplicano indisturbati nello sgabuzzino. Non solo, grazie alle mie scorte, nella casa a Firenze, io e le mie coinquiline non manchiamo mai di tovaglioli o sapone per lavare i piatti.

Tra un dissapore e l'altro, vi propongo oggi un sapore che invece vi sarà gradito, un'originale idea di primo piatto in cui il kamut può essere tranquillamente sostituito con dell'orzo o del farro.


Kamut allo zafferano con zucchine e scalogni fondenti

Ingredienti

350 g kamut (precotto)
una bustina di zafferano
10 scalogni
8 zucchine
un litro di brodo vegetale
parmigiano reggiano
20 g burro
olio extravergine di oliva
sale

Procedimento

Scottare gli scalogni in acqua bollente per due minuti, scolarli e spellarli: tritarne fini 2, farli soffriggere in una casseruola con 3 cucchiai di olio, unire il kamut e lo zafferano e portare a cottura come se fosse un risotto, aggiungendo il brodo bollente poco alla volta. Tagliare a metà gli scalogni rimasti, sciogliere 10 g di burro in una padella antiaderente, unire gli scalogni con la parte tagliata rivolta verso il basso e cuocerli su fuoco dolce per 5 minuti circa. Girarli, proseguire la cottura per altri 2-3 minuti, regolare di sale e tenere da parte in caldo. Mondare le zucchine lavate, quindi tagliarle a rondelle sottili, aggiungendole al kamut a metà cottura. A cottura ultimata, togliere il kamut dal fuoco, unire il burro rimasto e abbondante parmigiano reggiano grattugiato, lasciar mantecare per due minuti circa e servire con gli scalogni dorati.